A dieci anni dalla vittoria a X Factor, Giò Sada guarda indietro senza rimpianti. Il cantante barese, classe 1989, oggi ha scelto la strada dell’autenticità, lontano dai riflettori e vicino alle persone, alla sua città e alle battaglie sociali. “Pochissimo”, risponde quando gli chiedono quanto rimpianto abbia. “Quel microcosmo così patinato lo ritengo molto diverso da come sono oggi, e forse anche da com’ero un tempo. Non ho mai cercato lì la definizione di quello che volevo diventare”. Spiega a Repubblica.
“Dopo X Factor? Mi sono allontanato per restare fedele a me stesso”
Nel 2015 trionfò al talent con Il rimpianto di te, disco d’oro e successo nazionale. Ma quel periodo, ammette, non lo rappresentava davvero. “I miei produttori avevano idee su di me che non condividevo. Io volevo fare il meglio che potevo per creare qualcosa di bello. Così mi sono allontanato. Ci ho perso tanto a livello economico, ma arrivati a un certo punto dovremmo poter fare delle scelte”.
Scelte che lo hanno portato verso nuovi suoni e nuove sfide, fino a fondare Comrad, la band hardcore che lo riporta alle origini. “Non volevo prendere in giro chi ascolta dando una cosa tecnicamente fatta bene ma molto vuota. E il vuoto è dove stiamo tutti sprofondando. Non lo sopporto, specialmente se fatto in certe dinamiche come sfruttare l’ignoranza altrui”.
“La mia etica musicale nasce in famiglia”
La musica, racconta, è sempre stata di casa. “Mio padre suonava, aveva la sua band. Mia madre pure e anche mia sorella. È nato tutto per questo. La mia etica musicale si è formata completamente in famiglia”.
Da quella base autentica, Sada ha costruito un percorso fatto di live, autoproduzioni e tanta voglia di restare libero, lontano dalle regole dell’industria.
Dalla musica al sociale: “Non posso restare indifferente”
Oggi Giò Sada è impegnato anche nel sociale, con un’attenzione particolare ai diritti umani e alla solidarietà. “Quello che sta succedendo nel mondo mi toglie il sonno: la Palestina, il Sudan, il Myanmar. C’è un sistema che schiaccia le persone e noi stiamo qui a guardare. Non posso restare indifferente. A me interessa l’aspetto umano, provare a capire le persone”.
Un impegno che porta anche nelle scuole e nel suo quartiere, Enziteto, a nord di Bari, dove è nato e dove ancora vive. “Faccio parte di un’associazione di volontariato, Disaccordi, con cui abbiamo organizzato un corso di musica per i ragazzi del quartiere. Con uno di loro abbiamo prodotto il secondo album. Diamo ai ragazzi la possibilità di fare cose che altrimenti non potrebbero fare. Organizziamo concerti, eventi, abbiamo anche acquistato un palco. Siamo una bella realtà di riscatto”.
“Bari è popolare, ma anche molto borghese”
Giò Sada non risparmia una riflessione sulla sua città. “Bari è strana: è popolare ma anche molto borghese. C’è sempre questo ‘oddio il Cep, oddio Enziteto’, come se fossero ghetti da tenere lontani. C’è una tendenza a marginalizzare alcune realtà con estrema semplicità”.
Eppure, proprio da lì nascono le storie più vere, quelle che finiscono nei testi dei Comrad, tra rabbia e speranza.
“La mia felicità? Sentirmi parte di qualcosa”
Tra un concerto e l’altro, la vita di Giò Sada scorre sui furgoni della band, tra chilometri di strada e condivisione. “Il furgone della band è il mio posto del cuore. È lì che ci sentiamo vivi, in viaggio insieme”.
E alla domanda su quale canzone lo rappresenti, cita senza esitazione Lingua ferita di Lord Bean e Segnali di vita di Battiato. Ma anche Il mio rifiuto, brano della sua band.
“La mia idea di felicità è sentirsi parte di qualcosa. Vedere che c’è gente che dice basta a certe cose e sapere di non essere solo.”

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