Federico Stragà

Intervista a Federico Stragà, che lo scorso 7 novembre ha pubblicato su etichetta Alman Music il nuovo album “È Così”.

Con “È così”, Federico Stragà conferma la sua maturità artistica e umana. Un disco intimo ma universale, dove ironia e malinconia convivono in equilibrio. È il racconto di un uomo che ha imparato a guardarsi dentro e a dire, con semplicità e verità, “è così”.

L’album arriva dopo la pubblicazione del singolo omonimo già disponibile in tutte le piattaforme digitali e in radio accompagnato da un videoclip.

Realizzato da Simone Casadio Pirazzoli presso il Teatro Goldoni di Bagnacavallo (RA), il videoclip mostra Stragà seduto in platea mentre davanti ai suoi occhi scorrono immagini e momenti di vita, un flusso che richiama i ricordi legati a lui e a suo fratello.

Il singolo “È Così” nasce infatti come una dedica al fratello del cantautore, un ragazzo speciale raccontato attraverso le parole e le frasi che era solito ripetere quotidianamente. Tra queste, “è così” era una sorta di risposta spontanea, una formula di accettazione davanti a ciò che non poteva essere spiegato o controllato. Una frase semplice, ma capace di custodire un significato profondo, che diventa ora il cuore di questa nuova canzone e del suo racconto per immagini.
Il brano è stato scritto, testo e musica, da FEDERICO STRAGÀ, prodotto da Valerio Carboni al “Safe&Sound Studio” (RE) e masterizzato da Marco D’agostino al “96Khz.it” di Milano.

Nel disco, inoltre, la preziosa collaborazione con Fabio Concato in Automobilisti, brano accompagnato  da un video con la partecipazione straordinaria di Gioele Dix

Intervista a Federico Stragà

Federico, bentrovato! Questo nuovo progetto discografico arriva in un momento importante del tuo percorso. Cosa rappresenta per te “È così”?
Rappresenta il mio secondo album da cantautore. Ai tempi dei miei Sanremo, ero soprattutto un interprete delle canzoni che cantavo. Con il tempo ho sentito l’esigenza di scrivere e raccontarmi. Dopo Guardare fuori (2018), È così segna un nuovo traguardo: quasi tutti i brani sono scritti da me, tranne uno co-firmato con Valerio Carboni, che ne è anche il produttore.

Il titolo “È così” è anche quello di una canzone che ha toccato molto il pubblico. Da dove nasce e perché è così importante per te?
È un brano molto personale, dedicato a mio fratello. L’ho scritto qualche anno dopo la sua scomparsa, immaginando che fosse lui a parlare. È nata così, in modo spontaneo, e credo che proprio questa sincerità sia arrivata alle persone. Ricevo messaggi da chi non conosce la mia storia ma si riconosce nelle emozioni del pezzo: questo mi ha sorpreso e commosso.

Nel brano si percepisce un delicato equilibrio tra malinconia e tenerezza. Come sei riuscito a bilanciare questi sentimenti?
In modo naturale. Ho cercato di far parlare mio fratello attraverso gesti, parole e ricordi. Era una persona vera, diretta, uguale con chiunque. Ho provato a restituire quella verità, lasciando che fosse la spontaneità a guidarmi.

Il disco si apre con “Bella Bologna”. Un tributo ironico e affettuoso alla città in cui vivi da oltre vent’anni. Che rapporto hai oggi con Bologna?
È una città meravigliosa, piena di arte e musica, ma viverla è diverso dal visitarla. La amo e a volte la soffro, proprio come racconto nel brano. Citando Luca Carboni, vivendo qui ho capito sia “La mia città” sia “La primavera”: due lati opposti della stessa medaglia. “Bella Bologna” è un po’ questo — un amore sincero ma non cieco.

Nel singolo “Automobilisti” duetti con Fabio Concato. Cosa vi ha uniti artisticamente in questo brano?
Fabio ha colto subito l’essenza del pezzo: un invito alla gentilezza, anche nella frenesia della vita quotidiana. È stato un punto d’incontro naturale. Il videoclip con Joele Dix, “l’automobilista per eccellenza”, aggiunge un tocco ironico e umano, ricordando che anche chi predica calma può arrabbiarsi nel traffico.

La tua scrittura oggi è molto riconoscibile: poetica ma concreta. Come si è evoluta nel tempo?
All’inizio non scrivevo, poi ho deciso di provarci. Ho capito che devo scrivere solo di ciò che conosco, che ho vissuto e che sento vero. La scrittura è diventata un esercizio costante: ogni canzone nasce spontaneamente, ma si completa con disciplina ed esperienza. Come diceva Mogol, scrivere è anche allenamento.

Uno dei momenti più intensi del disco è “Abbastanza grande”. Cosa significa per te sentirti “abbastanza grande”?
È un brano che parla di consapevolezza e di libertà dal consumismo, non solo materiale ma anche emotivo. Mi fa sentire “abbastanza grande” riuscire a dare valore alle cose senza doverle sostituire continuamente. Come una giacca che porto da dieci anni e amo ancora: rappresenta un modo di vivere più autentico.

In “Meno male che” affronti il tema del desiderio e degli obiettivi. Possiamo considerarlo un manifesto del disco?
Sì, in un certo senso. È un brano che riflette su come la serenità non coincida sempre con la staticità. Mi sono accorto che avere ancora qualcosa da rincorrere dà senso alle giornate. È un pensiero un po’ frustrante, ma anche molto umano: finché abbiamo sogni, siamo vivi.

Nel disco non mancano ironia e leggerezza, come in “Non sono un re”. Quanto è importante per te mantenere questo equilibrio?
Fondamentale. Un autore tempo fa mi disse che il segreto di una buona canzone è saper mescolare il nero con l’azzurro. Credo che in questo disco ci siano entrambi i colori: la profondità e la leggerezza, la malinconia e il sorriso.

Ti capita di riascoltare i tuoi brani storici, come “Cigno Macigno”?
Raramente. Sono legato a quel periodo, ma oggi preferisco guardare avanti. Quando però qualcuno, dopo 25 anni, mi scrive per ricordare quelle canzoni, non può che farmi piacere: significa che ha lasciato qualcosa.

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