Rock e cinema cover

È in libreria e negli store digitali “ROCK & CINEMA. 70 anni di colonne sonore, film concerto, documentari, biopic”, il nuovo libro di FRANCO DASSISTI e DANIELE FOLLERO, edito da HOEPLI (www.hoepli.it/libro/rock-e-cinema/9788836020478.html).

Il volume, che fa parte della collana di musica Hoepli a cura di Ezio Guaitamacchi, si propone di raccontare la storia del rock attraverso i lungometraggi, le colonne sonore, i film-concerto e i documentari che meglio l’hanno rappresentata negli ultimi settant’anni, scandendone i momenti fondamentali attraverso il trasferimento di sensazioni ed emozioni mediante suoni e immagini. La storia è sempre frutto di selezioni, punti di vista, percorsi, approcci, che giustificano determinate scelte, e questa è la nostra storia.

Intervista a Franco Dassisti e Daniele Follero, il nuovo libro “Rock & Cinema”

1. Rock & Cinema racconta settant’anni di storia attraverso suoni e immagini. Qual è stata la scintilla iniziale che vi ha spinto a intraprendere un progetto così ampio e ambizioso?

FRANCO: Settant’anni di film rock hanno attraversato diverse generazioni, segnando l’immaginario di giovani e meno giovani e generando una storia lunga, che chiedeva e meritava di essere raccontata. La scarsa bibliografia, spesso poco attenta all’aspetto musicale e, tranne rari casi, votata all’elencazione enciclopedica o alla logica del “greatest hits”, ha rafforzato la nostra convinzione a portare avanti il progetto. E poi va detto che i pochi testi già presenti sul mercato erano abbastanza datati, e avevano un taglio molto accademico, quasi sociologico. Noi abbiamo cercato un linguaggio più divulgativo, rafforzato da un’iconografia ampia e accattivante, pur nel rigore della ricerca, che ha portato via due anni di lavoro, e di (re)visione di film.

DANIELE: I film rock sono un po’ come i concept album: tutti li conoscono ma pochi (o nessuno) ne parla. E spesso sono stati considerati come un sottogenere cinematografico o come un’appendice al disco. In questo libro abbiamo provato a donare un’esistenza propria al cinema rock, partendo dalla musica.

2. Nel sottotitolo parlate di colonne sonore, film-concerto, documentari e biopic. Da quale esigenza nasce la scelta di non limitarsi a un solo formato cinematografico?

DANIELE: Nel raccontare il rock per immagini, il cinema si è avvalso di diversi strumenti espressivi. Negli anni ’60, quando il rock era già entrato di prepotenza nelle sale cinematografiche, il documentario musicale, che dal celebre “Woodstock” di Michael Wadleigh acquisirà un ruolo fondamentale nella storia del rock, è ancora in fase sperimentale. Il biopic nasce negli anni ’70, ma è oggi, quando si sente la necessità di guardare al passato e attingere al pantheon delle divinità rock, che esplode come fenomeno commerciale. Per non parlare del videoclip, che negli anni ’80 dà una svolta alla promozione nell’ambito della popular music, coinvolgendo anche famosi registi e condizionando inevitabilmente anche le tecniche del lungometraggio. Ogni fase di questo lungo percorso ha avuto la sua forma espressiva.

3. Molto è stato scritto sul rapporto tra rock e cinema, ma voi scegliete una prospettiva dichiaratamente musicale. In che modo questo punto di vista cambia la lettura dei film rispetto agli approcci più “accademici” o enciclopedici?

DANIELE: Cosa sarebbe “Easy Rider” senza “Born to Be Wild” degli Steppenwolf? Che impatto ha avuto sul movimento dei biker e sulla nascita dell’hard rock? Come è cambiata la carriera della band dopo il successo del film? In che modo il cinema ha raccontato il fenomeno grunge? Quando il rock ha smesso di essere un mero oggetto per trasformarsi nel vero protagonista di film e documentari? Qual è il motivo del recente successo commerciale dei biopic ispirati alle grandi icone del rock? E’ dalla risposta a interrogativi del genere che siamo partiti, senza velleità enciclopediche, provando a mettere insieme i vari “pezzi” del puzzle attraverso una narrazione che seguisse la successione temporale degli eventi prendendosi, però, la libertà di deviazioni, parentesi, approfondimenti, associazioni tematiche.

4. La storia che raccontate è frutto di selezioni e scelte precise. Quali criteri vi hanno guidato nel decidere cosa includere e cosa, inevitabilmente, lasciare fuori?

FRANCO: Siamo partiti dall’idea di raccontare la storia del rock attraverso i film che meglio l’hanno rappresentata, partendo dal punto di vista della musica. La nostra narrazione segue un percorso cronologico, ma ricco di ramificazioni e che spesso si muove per aree tematiche. Non ci interessava elencare film in successione, ma creare connessioni, porci interrogativi e rispondere provando a costruire un racconto storico coerente e interessante.

DANIELE: Citando Margaret Atwood: “C’è la storia, poi c’è la vera storia, poi c’è la storia di come è stata raccontata la storia. Poi c’è quello che lasci fuori dalla storia. Anche questo fa parte della storia”. In una prospettiva così ampia come quella della storia del cinema rock, è naturale dover fare molte selezioni, scelte anche dolorose. Questa è la nostra storia del cinema rock, che abbiamo costruito seguendo criteri di pertinenza storica, rilevanza storico-culturale e innovazione.

5. Se doveste indicare un periodo di massima sintonia tra rock e cinema, quale decennio rappresenta secondo voi il momento più creativo e rivoluzionario di questo dialogo?

DANIELE: Le innovazioni del cinema rock sono andate di pari passo con quelle della musica a cui fa riferimento. Così come il decennio tra il ’65 e il ’75 ha rappresentato per il rock il picco di sperimentazione e ambizione artistica, anche per il cinema che lo ha tradotto in immagini è stata una fase molto produttiva. Dai film dei Beatles a quelli di Frank Zappa, passando per il documentario di Wadleigh su Woodstock, il cinema rock ha creato un suo proprio linguaggio ed è probabilmente questo il periodo più denso di novità e innovazioni.

6. Nel libro emerge spesso come il cinema abbia influenzato non solo il pubblico, ma anche gli stessi musicisti. C’è un film o una colonna sonora che, più di altri, ha cambiato il modo di fare o percepire il rock?

FRANCO: Ci sono parecchi esempi, ma volendone scegliere un paio potremmo dire Born to Be Wild degli Steppenwolf nella colonna sonora di easy Rider, che ha avuto un impatto enorme sulla cultura dei biker e resta uno degli esempi migliori e più riusciti di complementarietà tra rock e cinema in un film di argomento non musicale. Quanto ai film c’è “The Wall” dei Pink Floyd, dal film di Alan Parker. Per la generazione nata negli anni Sessanta è stato scioccante vedere rappresentato sul grande schermo, con le straordinarie animazioni di Gerald Scarfe, quel manifesto sull’alienazione che fin lì avevano era stato “solo” grande musica.

DANIELE: Stesso discorso potrebbe valere per i primi quattro film di Elvis, per il documentario di Wadleigh, che ha mostrato al mondo la magia della tre-giorni di Woodstock o per “A Hard Day’s Night” che ha dato una forte spinta all’esplosione della Beatlemania.

7. Molti artisti rock hanno attraversato il grande schermo anche come attori. Quanto conta la presenza fisica della rockstar nel cinema, rispetto all’uso della musica come semplice colonna sonora?

FRANCO: Ha contato molto all’inizio del rapporto fra cinema e rock. Senza Elvis nei film “di” Elvis, la storia sarebbe stata diversa. E chissà cosa avrebbe potuto fare “The Pelvis” nella settima arte, se il colonnello Parker non gli avesse cassato la carriera drammatica, in favore dei “musicarelli”. Ma il cinema, oltre a sfruttare la popolarità delle rockstar, ne è anche stato un grande amplificatore, fino agli anni ’80 il più efficace. Poi ci sono le rockstar che hanno interpretato ruoli “altri” da se’, come ad esempio Mick Jagger, protagonista di un’ottima prova drammatica in “Performance” di Nicolas Roeg, o il Bob Dylan di “Pat Garrett & Billythe Kid”. Non tutti avevano talento, ma qualche caso riuscito c’è. Anche se il miglior attore-rocker resta David Bowie.

8. Dagli anni Ottanta in poi il videoclip e poi MTV hanno ridefinito il rapporto tra musica e immagini. Pensate che questo abbia ridimensionato il ruolo del cinema o lo abbia costretto a reinventarsi?

FRANCO: Certamente. Il videoclip ha reso più veloce, diretta ed economica la promozione musicale in ambito popular, imponendo al cinema rock una nuova prospettiva. I registi si sono gettati a capofitto nel nuovo (e decisamente più redditizio) business e sono stati inevitabilmente influenzati dalle tecniche del nuovo formato (uno su tutti John Landis, passato con disinvoltura, nei primi anni ’80, da The Blues Brothers al video di Thriller di Michael Jackson). Nei lavori di Julien Temple o David Mallet questa contaminazione è molto evidente. Però va detto che il videoclip non ha sicuramente ucciso le Rock Star. Anzi ne ha moltiplicato la popolarità, preparando così la base per l’affermazione dei moderni biopic.

9. Oggi il cinema rock sembra guardare spesso al passato, tra biopic e documentari celebrativi. È solo nostalgia o c’è ancora qualcosa di urgente e contemporaneo da raccontare attraverso queste storie?

DANIELE: Credo dipenda molto dall’approccio del regista e dalla qualità dell’operazione. Il rock è ancora materia viva, pur avendo un lungo passato già storicizzato. Quando il cinema, piuttosto che rievocare, si concentra sull’aspetto creativo, facendo rivivere lo spirito del rock, vengono fuori biopic di qualità come “Elvis” di Luhrmann o meravigliosi film come il recente “Perfect Days” di Wim Wenders in cui il rock degli anni ’60, dai Velvet Underground ai Rolling Stones, ascoltato rigorosamente in analogico, diventa l’unico suono capace di rompere il silenzio nella vita di Hirayama, un sessantenne giapponese che lavora come addetto alle pulizie dei bagni pubblici di Tokyo.

10. Avete background diversi ma complementari: cinema per Franco Dassisti, rock e storia della musica per Daniele Follero. In che modo questo “doppio sguardo” ha arricchito la narrazione del libro?

FRANCO: I nostri approcci sono stati complementari e questo ci ha permesso, pur trattando la stessa materia, di conservare il nostro punto di vista senza che ciò intaccasse minimamente la narrazione.  I nostri racconti si intrecciano senza necessariamente fondersi.

DANIELE: Come dire: rappresentiamo due facce della stessa medaglia, Yin e Yang della storia del cinema rock! E questa complementarità credo sia il valore aggiunto del libro.

11. C’è un film o una colonna sonora che, lavorando al libro, avete rivalutato profondamente rispetto alle vostre percezioni iniziali?

DANIELE: Più che un singolo film, lavorare a questo libro è stata l’occasione per comprendere meglio il valore enorme dei rockumentary, troppo spesso considerati prodotti secondari rispetto alla discografia di una band. In realtà, film-concerto come “The Last Waltz” di Scorsese o “Stop Making Sense” sono capolavori che vanno ben oltre la semplice finalità documentaristica.

12. Guardando al futuro: quale potrebbe essere, secondo voi, la prossima evoluzione del rapporto tra rock e cinema? Esiste ancora spazio per nuove forme narrative davvero innovative?

DANIELE: Molto dipenderà dall’interesse che il rock continuerà o meno a suscitare. Il videoclip continua ad essere un punto di riferimento imprescindibile per la promozione musicale in ambito popular. Il film non ha più questa funzione da molto tempo e offre sufficiente spazio alla narrazione e alla sperimentazione. Di cose da raccontare, in settant’anni di rock, ce ne sono ancora tante.

13. Il libro arriva in un momento di grande attenzione per i biopic musicali. Rock & Cinema può essere anche uno strumento per leggere con maggiore consapevolezza le produzioni contemporanee?

FRANCO: Assolutamente sì, soprattutto ora che il biopic rock sembra avere trovato una strada interessante per il futuro: quella di evitare una narrazione che è la “stesa” del percorso di un artista, per concentrarsi invece su un periodo, su un evento, su qualcosa che ne caratterizzi il cambiamento e ne racconti l’anima vera. É stato così per il Dylan di “A Complete Unknown”, il racconto del cosiddetto ‘Dylan goes Electric’, o ancor più per lo Springsteen di “Liberami dal nulla”, che si concentra su un passaggio temporale ancora più limitato ma anche più profondo, quello della genesi di “Nebraska”. In entrambi i casi, guidati dal talento di due attori fra i migliori della loro generazione, Timothée Chalamet e Jeremy Allen White.

14. Dopo settant’anni di storie rock sul grande schermo, se doveste riassumere il senso ultimo di questo legame in una frase, quale sarebbe?

DANIELE E FRANCO: Parafrasando i Buggles, si potrebbe dire “Video Helped the Rock’n’roll Stars”

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