Laila Al Habash

Intervista a Laila Al Habash che, dopo quasi quattro anni dal suo esordio con Mystic Models, torna con Tempo, un disco maturo, riflessivo e dal forte respiro live.

L’artista racconta un percorso di crescita personale e musicale, dove ironia e introspezione convivono in equilibrio. Pensato per la dimensione live, l’album esplora il rapporto con il tempo, l’ansia e il desiderio di vivere il presente. “Tempo è il mio modo di capire chi sono diventata”, racconta la cantautrice.

Intervista a Laila Al Habash, il nuovo album ‘Tempo’

Ciao Laila. “Tempo” arriva a quasi quattro anni da Mystic Models. Cosa rappresenta per te questo nuovo album?

Tempo è il mio secondo album vero e proprio, ed è arrivato dopo un percorso piuttosto lungo. Già dal titolo si capisce che di tempo ce n’è voluto parecchio — è stato quasi profetico. In questi anni sono cresciuta molto, come persona e come artista. Mi sento di aver fatto un passo avanti da tanti punti di vista, soprattutto nei testi. Ora so meglio come voglio esprimermi.

Ci sono state tante date, tanti concerti, e questo mi ha spinto a voler superare ciò che avevo fatto prima, mantenendo una direzione pop ma con una certa raffinatezza, un pop che avesse un minimo di ricerca. Ho voluto conservare ciò che mi appartiene da sempre — le citazioni agli autori degli anni Cinquanta e Sessanta, ad esempio — ma allontanandomi dai temi dell’amore e della rabbia, che avevano caratterizzato il mio primo disco.

Il tempo, appunto, è il filo conduttore dell’album. Hai detto di sentirti “vecchia e precoce” allo stesso tempo: come hai trasformato questa sensazione in una forza creativa?

È una sensazione che mi accompagna da sempre. Fin da bambina mi dicevano che sembravo più grande della mia età, ma allo stesso tempo avevo l’aspetto di una ragazzina. Crescendo, questo mi ha messo spesso in difficoltà: avevo tante cose da dire, ma non venivo presa sul serio. Mi sentivo come intrappolata in un corpo o in un tempo che non corrispondevano a ciò che ero dentro.

A un certo punto ho deciso di osservare meglio questa cosa, di capirla. Tempo è stato il modo perfetto per farlo. Ho iniziato un esercizio di osservazione su di me, sui miei pensieri, come se fossi uno spettatore esterno. Mi sono accorta che non stavo mai nel presente: rimbalzavo come un flipper tra il passato e il futuro, tra la nostalgia e l’ansia. Non ho trovato una risposta, ma da quel viaggio sono nate delle canzoni. Non mi interessava la destinazione, ma il percorso.

Nei tuoi testi parli spesso di ansia, fragilità e desiderio, ma con un tono lucido e ironico. Come riesci a mantenere questo equilibrio tra introspezione e leggerezza?

L’ironia per me è tutto. È il mio giubbotto di salvataggio. Se non riuscissi a ridere di me stessa, vivrei una vita terribile. L’ironia mi permette di affrontare anche le cose più difficili o dolorose, e credo che questo avvicini le persone.

Io non riesco ad essere amica di qualcuno se non capisco cosa lo fa ridere. È un linguaggio emotivo potentissimo. Più ancora della sofferenza o dell’ansia, è l’ironia che ci unisce. E poi, diciamolo: viviamo in un’epoca nervosa, ansiosa, iper-performativa. È naturale che noi, come generazione, scriviamo di questo. È il nostro modo di dire “ci siamo anche noi”.

Tempo è un disco che ha una forte connessione con la dimensione live. È qualcosa che hai voluto fin dall’inizio?

Assolutamente sì. È un disco pensato per il palco, perché oggi il live è la cosa a cui voglio dedicarmi di più. Voglio migliorarmi, voglio offrire esperienze memorabili a chi viene ai miei concerti. È lì che si crea il legame vero, quello che resta nel tempo.

Anche la tracklist del disco è stata costruita pensando a un ordine che potesse funzionare come un concerto. Ti faccio un esempio: la chiusura con Sogno 86 e Tuareg non è casuale. Le ho messe una dopo l’altra perché si chiamavano, si cercavano. Tuareg è stato il primo pezzo che ho scritto, e si chiude con il suono del mare registrato da Niccolò a Sperlonga, fuori stagione. Il mare è sempre presente nella mia musica, come il sogno. Dovevano stare insieme, era inevitabile.

In effetti il disco si chiude su due tracce molto diverse: una onirica, l’altra intima e acustica. Hai detto che volevi che il disco fosse ascoltato in ordine. Perché?

Perché l’ordine racconta una storia. Mi piacerebbe che chi ascolta Tempo per la prima volta lo facesse seguendo la sequenza originale, dall’inizio alla fine. Poi, ovviamente, ognuno è libero di ascoltarlo come preferisce, ma la prima volta è importante. È come un viaggio: se salti delle tappe, rischi di perderti il senso del percorso.

In Tempo ci sono anche brani più solari, come Timido, che nasce da un viaggio in Brasile. Ce ne parli?

Timido è nata dopo un tour in Brasile nel 2023, un’esperienza incredibile. Mi sono sempre considerata una persona espansiva, ma lì mi sono resa conto che rispetto ai brasiliani sembravo fredda, quasi nordica! Questa cosa mi ha colpita tantissimo.

Mi sono innamorata del Brasile: ho studiato portoghese per un anno, guardavo film, ascoltavo musica, volevo capire davvero la loro cultura. E ho provato a fare una canzone che mi facesse uscire dalla comfort zone, più leggera, più divertente, con un pizzico di malizia. È stato un esperimento, ma mi ha dato tanto.

Se dovessi scegliere un brano che racchiude l’essenza del disco, quale sarebbe?

Desiderio, senza dubbio. È stato l’ultimo pezzo che ho registrato e all’inizio non sapevo se inserirlo, perché è molto libero nella struttura: non ha strofa e ritornello classici, e l’arrangiamento è piuttosto insolito. Ma poi ho capito che proprio quella libertà rappresentava bene lo spirito del disco.

In Desiderio parlo molto di me, di cosa significhi avere una smania, un’urgenza. Non è un brano ironico, non è leggero. È intimo, diretto. Racconta il lato più vulnerabile del mio modo di scrivere.

In definitiva, cosa rappresenta per te Tempo?

Tempo è un disco che nasce dal bisogno di fermarmi e di osservarmi. Di capire chi sono diventata e cosa voglio dire oggi. È un disco che parla di crescita, di ansia, di ironia, di sogni e di mare. Ma soprattutto è un disco che racconta il mio modo di stare al mondo, di vivere il presente — finalmente.

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