Michele Bravi

La nostra intervista a Michele Bravi alla vigilia dell’uscita di  “tu cosa vedi quando chiudi gli occhi“, il nuovo album in uscita per EMI Records Italy / Universal Music Group a partire da venerdì 12 aprile. (Qui il link per l’acquisto).

Scritto in viaggio per l’Europa tra Parigi, Londra, Amsterdam e Milano, l’album è diviso in tre capitoli musicali:“lo sguardo”, ciò che vorremmo vedere con gli altri; l’immagine, ciò che vediamo degli altri; “l’iride”, ciò che cerchiamo di non far vedere agli altri.

Dalla prima traccia “viaggio nel tempo” all’ultima “atlante degli amanti”, passando per la collaborazione con Carla Bruni in “malumore francese” e quella con Giuliano Sangiorgi, autore di “ti avessi conosciuto prima”, ogni traccia del disco diventa una finestra sulle metafore dell’esistenza umana, tra esperienza e astrazione.

Michele Bravi tu cosa vedi quando chiudi gli occhi

Intervista a Michele Bravi

Sui social hai scritto che ogni canzone del disco è nata da un gioco di immaginazione: “Immagina se”. Da quali ispirazioni e da quali fantasie è partito questo viaggio?

«Questo disco nasce dal fatto che ho un po’ l’abitudine di porre domande impossibili, quelle che di solito danno seguito ad analisi infinite. Capita di perdermi dentro giochi di immaginazione, soprattutto quando scrivo. La parola in tal senso ha una forza enorme per mescolare il reale con il fantasioso. Qualcuno lo chiama metafisico e qualcuno lo chiama ironico, ma sul piano creativo mi piace tantissimo muovermi e giocare con gli elementi. Rispetto al passato, ho maturato un’autonomia diversa, ne ho avvertito proprio la necessità. Poi questo non chiude la strada a collaborazioni future, ma in questo momento era giusto che io partissi da me stesso. Diciamo che ho acquisito più consapevolezza di quello che la mia penna può scrivere».

Dal punto di vista tematico, questo è un concept album liberamente ispirato agli scritti di Oliver Sacks. Vero è che viviamo in un’epoca veloce e vorace, più adatta alle playlist. Per questo credo sia ancora più importante riportare al centro dell’attualità un modo di fare musica che forse si sta affievolendo, tu cosa ne pensi?

«Per natura mi piace molto studiare, mi reputo una persona molto curiosa, mi piace approfondire, quindi di conseguenza quando presento un progetto mi è naturale organizzarlo. Però non mi reputo nemmeno così tanto reticente, tendo a distinguere bene l’approccio dell’esecutore da quello dell’ascoltatore. Non sono assolutamente contrario al fatto che le persone possano approfondire solo una canzone, oppure che le tracce possano essere fruite in un ordine diverso da quello della tracklist. Cioè l’ascolto per me deve essere libero e sempre molto soggettivo, perché è lo stesso con cui mi approccio ai dischi degli altri. L’unica speranza che ho è che, al di là della velocità del tempo, l’attenzione rimanga costante. Ma anche quello sarà dipeso dalla mia capacità di captare, di prendere, di catturare con la scrittura e con l’esecuzione. Quindi, al contrario, non sarà mai colpa dell’ascoltatore, tutto dipende da chi ha dato vita al processo creativo».

Un altro aspetto che mi ha molto colpito è quando rifletti su come le parole possiedano al loro interno una possibilità di melodia. Credo che tu abbia sviluppato nel tempo questo genere di sensibilità e di udito, al punto che quasi non si può distinguere la genesi di una melodia o di un testo… no?

«A parte rare eccezioni, non riesco mai a scrivere una canzone che non nasca contemporaneamente da testo e melodia, cioè per me le due cose si incontrano già, poi c’è chiaramente un lavoro di aggiustamento dove la cambi la parola o modifichi la melodia. Di base, però, il primo approccio con la musica è ambivalente e le due cose devono andare d’accordo tra loro, già dall’inizio».

Infine, c’è poi questo parallelismo tra due tracce, la settima e l’ottava, vale a dire “umorismo italiano” e “malumore francese”, da un lato rifletti sulla dittatura della risata e dall’altra sulla decadenza della malinconia. A cosa si deve questa curiosa sequenza di canzoni?

«Così come l’ordine della tracklist, anche in questo caso nulla è lasciato al caso. Queste due tracce entrano a far parte di una parentesi dedicata alla caricatura dell’immaginazione, o per meglio dire dell’immaginario italiano. Noi italiani siamo vittima dei soliti cliché tipo pizza, mandolino e altre cose, che è un po’ una caricatura che sotto sotto piace. Quando vado all’estero, non è una roba che mi infastidisce troppo, anche se riconosco che si tratta di una sintesi estrema e teatrale di quello che ci appartiene, così come i francesi siamo abituati a vederli nella loro nebiosità, nel malumore, nella tetraggine. L’immaginario di un popolo o di un paese, racconta qualcosa della sua storia e sebbene sia un’allegoria, in realtà, poi ci rappresenta seppur in parte. Ecco, queste sono alcune delle cose che ho voluto indagare sia in “umorismo italiano” che in “malumore francese”».

Videointervista a Michele Bravi