Intervista a Mille, che ha pubblicato l’album d’esordio ‘Risorgimento’, progetto dalle forti tinte autoriali, introspettive e con uno sguardo vivo e agrodolce sulla realtà, la vita e le relazioni: “Risorgimento è una fotografia, una panoramica in cui tornare alla sorgente e alla vita”.
Intervista a Mille, “Risorgimento”, l’album d’esordio
Mille, come stai vivendo queste ultime settimane?
Sono giorni in cui sto parlando tantissimo e in cui mi sto anche rendendo conto, chiacchierando con chi ha già ascoltato il disco, di cose a cui non avevo fatto caso. Perché, dopo che scrivi le canzoni, le dai al pubblico e il pubblico ci vede quello che ci vede in base al proprio vissuto, alle proprie esperienze e quindi sto anche imparando cose che non avevo a cui non avevo pensato.
Com’è stato lavorare a questo progetto? Se ‘Risorgimento’ fosse una fotografia che osservi da lontano, che cosa sarebbe?
Sicuramente ‘fotografia’ è una parola che uso spesso, questo disco è come se fosse una fotografia lunga, una panoramica, non un video, ma uno scatto immortalato che porta dentro di sé tanti momenti diversi e come la parola dell’album suggerisce, ‘Risorgimento’ è tornare alla sorgente, tornare alla vita, qualcosa che ha a che fare con un movimento e con una trasformazione e queste trasformazioni le ho messe nero sul bianco attraverso le canzoni. Come la storia che funziona a cicli, anche noi abbiamo tanti cicli nella nostra vita e a volte avvertiamo anche la necessità di cambiare e modificare delle cose. Quindi la trasformazione è proprio il filo conduttore di questo disco. In fondo la trasformazione parte anche dalla scelta di accettarla. Questo progetto per me è fatto proprio di scelte e la scelta di darsi la possibilità di trasformarsi è il filo conduttore di tutto.
Nell’album tratti tematiche estremamente reali, che lasciano anche un po’ di amaro in bocca, ma con l’impressione che la trasformazione mantenga sempre una speranza nel “backstage”, è cosi?
Ah, sì, sì! Anche nelle tragedie, nei disastri e nelle catastrofi io ho sempre la speranza. Si dice: “aiutati che Dio ti aiuta” e quindi questa cosa per me è il mantra. Perché se non siamo noi che decidiamo che le cose possono cambiare, non lo fa nessuno per noi. È come assaporare una carbonara se la mangi tu sai se è buona oppure no, io devo vivere una cosa per poterti raccontare com’è.
L’album ha avuto tre singoli di lancio: “Il tempo, le febbri, la sete”, “C’est fantastique” e poi “Un maledettissimo posto migliore”. Da quest’ultimo singolo c’è una frase che mi ha colpito: “può nascere un fiore dentro i bagni della stazione”. È un modo per dire che alla fine le piccole cose inattese, sono proprio quelle che possono regalarci un posto migliore?
Anche questo, sì. Ho voluto girare il videoclip di questa canzone qui in questa casa, mentre il bagno non è quello di casa mia ma è del mio vicino di casa che è mio “partner in crime” che è Umberto Rino il produttore, l’autore, il batterista col quale lavoro da tantissimi anni.
Questo per me è un po’ il maledettissimo posto migliore, l’utilizzo del superlativo come ‘maledettissimo’ è anche un po’ per andare a stemperare quelle che sono le conquiste che uno fa anche con tanta fatica. Come la canzone “Maledetta primavera”, è bellissima la primavera, però è maledetta perché porta con sé cose belle ma per arrivare a quelle c’è stato un trascorso. Sicuramente la possibilità di cogliere nelle cose brutte un fiore è una possibilità che mi do e che ho imparato a darmi nel tempo e che prima non avevo. E anche una sorta di piccolo coraggio di vedere lo spiraglio di luce anche quando c’è solo buio.
“Il tempo, le febbri, la sete” ballad molto poetica che oscilla tra smarrimento e lucidità. Nasce da un accumulo di esperienze, di emozioni? È nata in un momento preciso della tua vita?
Quel brano l’ho scritto proprio in quella sala lì, (indica l’appartamento precedente in cui abitava), ero davanti al pianoforte, indossavo la camicia da notte, in lacrime, quindi è il risultato di un fatto preciso: le sofferenze d’amore. Il momento in cui una storia finisce e la consapevolezza che le cose quando arrivano bisogna anche abbracciarle e accoglierle così come sono, che non significa accontentarsi ma saper digerire nel migliore dei modi le cose; sarà anche per questo che io digerisco anche 4 kg di pasta quando mangio, ho imparato ad avere una digestione smart nella vita e quella canzone arrivava in un momento in cui avevo proprio bisogno di capire quello che stava succedendomi. Farmi attraversare dal dolore per poi ripartire è la cifra del disco, saper attraversare le cose belle o brutte che siano. Ed è proprio per questo motivo che l’ho scelto come primo singolo perché è una chiave di lettura.
Un’altra tematica è tecnologia imperante nelle nostre vite, scrivi “il sabato balliamo poi un computer grida che è finita”: il tuo modo di scrivere canzoni è fatto di situazioni emotive, di immagini, visioni ed estetiche. Temi che il vivere sempre di più nel digitale, nella virtualità, possa essere un attentato la tua scrittura?
No, anzi forse il contrario proprio perché siamo tanto immersi nella virtualità che c’è bisogno ancora di cose umane, raccontare vissuti reali, veri.
Io per esempio con la tecnologia non sono il massimo, anche tutto quello che riguarda il mondo dei social. Esiste il grande schermo che è il cinema, il piccolo schermo è la televisione, poi il piccolissimo schermo che sono gli smartphone che è un mezzo molto utile, poi però c’è chi lascia le persone con un messaggio.
Io i social non li vivo a 360 gradi, li sfrutto per quello che mi interessa cioè veicolare quello che faccio musicalmente, dopodiché non scrollo e non mi faccio gli affari dell’altri. Mi interessa il concetto di ‘amicizia’, io sono più per alzare il telefono e chiamare o vedersi, piuttosto che definire ‘amica’ o ‘amico’, una persona che non mi ricordo solo il nickname anziché il cognome.
Prima richiamavi atmosfere notturne allora passiamo a “Due di notte”. Com’è nato questo brano fragile ma vero?
Anche questo pezzo è proprio una fotografia delle due di notte, realmente. Senz’altro anche in questa storia c’è una trasformazione di mezzo. Perché anche quando parlo della negazione mi riferivo alla negazione di ciò che sentivo in quel momento. Era il prendere coscienza di alcune cose che stavano accadendo e che si stavano modificando dentro di me. Quindi ha a che fare sempre con la trasformazione, sicuramente. Mi sono divertita anche a fare il parallelismo con la polizia, sia nel ritornello che nello special. In quest’ultimo caso dico “questo amore ci sta bene in faccia come il numero sui caschi della polizia”, lì c’è proprio la negazione di alcune cose che stavano uscendo ed ero quasi giunta ad approdare all’accettazione di quelle cose che stavano succedendo.
La frase “quel Gin tonic non è acqua santa” è un’immagine dell’amore che va costruito con passi concreti e non come mero miracolo?
Sicuramente sì. Cioè, l’innamoramento è bello sempre ma l’amore è una scelta. Quando pensi che quella determinata persona rappresenti l’amore, allora devi decidere se far combaciare, confluire le esperienze, la vita, le scelte, in quelle dell’altra persona. È una scelta perché vuoi o non vuoi qualsiasi cosa capiti all’altro ti riguarda e decidete di entrare reciprocamente nelle rispettive vite solo se si è consapevoli, altrimenti è uno tsunami che ti prende in pieno.
In “C’est fantastique” racconti routine odierne con un sorriso amaro. Quanto c’è di tuo dietro questo modo di guardare la vita?
Le cose che scrivo in verità mi capita anche di dirle. Frasi tipo “La gente è stanca / non scopa / non dorme / arriva scema al 27” in verità l’avevo proprio detto qualche giorno prima ad un amico. È semplicemente quello che penso rispetto a ciò che accade. Poi tutto quello che si scrive non è la verità assoluta e non è la visione netta della totalità. Le canzoni sono vere finché finiscono, perché poi dormo benissimo ma arrivo pure io scema al 27. Amo specificare che tutto quello che uno scrive è vero finché non finisce la canzone ed è vero finché quella cosa sta accadendo.
La parola ‘verità’ si riporta ad un altro rapporto molto vivido nel brano “Gli amanti”. Qual è stato il processo creativo che ti ha portato a questa coppia?
Il mio “braccio destro” ha una bambina. La sua famiglia per me è un esempio oltre a considerarla anche un po’ la mia famiglia. Lui e la sua compagna sono una coppia bellissima e la loro figlia mi chiama zia. Ogni tanto qualcuno mi dice che ci sono delle somiglianze fra noi e mi fa piacere che questa bambina possa avere anche qualcosa di me seppur biologicamente non c’entri nulla. Speriamo non abbia preso le cose negative ma solo quelle positive.
A volte per arrivare alla felicità si fanno i salti mortali che è un paradosso, una contraddizione; all’interno del brano dico “faremo un figlio coi codici sconti / coi meeting / e le lotterie” perché mentre si cerca di arrivare alla felicità occorrono fare anche tante altre cose; eravamo in studio e Davide va prendersi un caffè al bar, quando è tornato ho scritto questa parte di testo e lui mi confermava che era proprio vero. Per me è stata la prova del nove perché io non ho figli e quindi non so che cosa significa fare tutto quello che hanno fatto loro in una città che non è la tua, oltre tutto senza avere la tua famiglia qui, anche se poi la famiglia ce la siamo ricreata.
“Lama” è il pezzo più punk di ‘Risorgimento’. Parla di ferite, disincanti e consapevolezze; quanto è stato liberante per te scrivere questo brano?
Ho scritto il ritornello sempre nell’ex appartamento, ma nel pomeriggio, non scrivo mai di notte perché mi piace dormire. A livello di cantato è anche la canzone più difficile, perché poi ci sono questi balzi e partendo molto bassa è complessa l’esecuzione. Però cantarla voce e chitarra sarà il brano che probabilmente mi gaserà di più anche quando lo arrangeremo per suonare dal vivo. Eseguirla solo voce e piano viene divinamente. Il brano è una sorta di sfogo, costruito di getto e veramente senza filtri.
Tra le ultime tracce del disco c’è “Video hard”, brano coraggioso nel titolo e anche metaforicamente toccare questi temi non è così comune. Pensi che oggi nella musica ci sia ancora spazio per un’onestà brutale?
Mentre l’ho scritto era presente anche la figlia di Davide infatti mentre facevo i video lei faceva delle “invasioni di campo”. Per me è stato un momento bellissimo perché stavamo badando a una bambina mentre lavoravamo. Io credo che comunque oggi ci sia ancora spazio per parlare di tutto e di tutti, ognuno può fare come gli sembra meglio.
Il penultimo brano resta su tematiche sociali. In “Artiglieria pesante” racconti l’amore con parallelismi agli eventi della scuola Diaz nel 2001. È difficile convertire eventi sociali in musica in modo che l’uno sia a servizio dell’altro?
Si, effettivamente è anche il bello della lingua italiana perché ti dà l’opportunità di avere delle parole che sono ambivalenti, il ritornello ne è un esempio. Noi pensiamo che tutta quella vicenda sia avvenuta sbandierando il messaggio del fare la cosa giusta. Quindi quello che viene comunicato dall’alto è che l’amore può far male. Poi però per fare una cosa giusta è stata esercitata violenza e non si può sentire perché non ci sono mai validi motivi per massacrare la gente. Questa cosa si può tradurre in tante situazioni perché l’amore che fa male è anche una narrazione non solo politica ma pure a livello sentimentale. Quando si dice che “l’amore è bello se non è litigarello” è una stronzata, no?
Quindi tante cose hanno delle parole in comune e scrivere canzoni mi fa notare che ci sono tanti piani che si possono mescolare e molto spesso sono a servizio anche per fare banalmente politica.
‘Risorgimento’ si chiude con un featuring d’eccellenza. “Tour Eiffel” è in collaborazione con Rachele Bastreghi dei Baustelle. Brano malinconico, a tratti sembra un sogno ad occhi aperti. In generale, come è nato questo pezzo? Come è stata la collaborazione con Rachele e che cosa rappresenta per te chiudere l’album con un’unica collaborazione?
Sicuramente volevo chiudere il disco con questa canzone che ho scritto di getto. Non l’ho scritta qui e volevo raccontare una cosa che mi era successa la sera prima, non ero a Parigi ma c’erano delle antenne che mi sembravamo la Tour Eiffel e dissi a quest’altra persona “guarda ti ho portato a Parigi, c’è la Tour Eiffel” ed era un’antenna della televisione.
Rachele abitava vicino al mio studio, ci siamo conosciute qualche anno fa e siamo subito entrare in confidenza. Quando ho scritto il pezzo ho confidato a Davide che mi sarebbe piaciuto cantarla con Rachele. Lui mi ha suggerito di chiamarla, io ho una certa devozione per lei e l’ho fatto in punta di piedi; l’ho chiamata, invitata in studio, lei si è innamorata di questo pezzo e quindi abbiamo cantato insieme. Ho voluto chiudere il disco con questo regalo che lei mi ha fatto.
Dopo il lancio del disco inizia il club tour con due date importanti, Santeria a Milano l’11 di novembre e poi anche Roma al Monk il 12 di novembre. Cosa ci aspetta?
Queste sono le prime due date annunciate di un tour più ampio perché parte il 7 di novembre e sarà in tour tutto il mese. La cosa più bella sarà l’allestimento perché sarà uno spettacolo diverso da quello che portato un giro fino adesso, mi piace pensare al concerto che viene concepito come spettacolo. Ci sarà tanta interazione con il pubblico perché molti brani me lo permetteranno ed è la dimensione che preferisco perché dal vivo è la prova del nove, diventa tutto reale e quindi è la cosa che preferisco perché mi piace toccare con mano le cose.
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Foto di Silvia Piva
Nato nel 1988. Da piccolo ascoltava quintali di musica e sognava di: diventare un ghostbusters, guidare una Delorean, cantare nei blues brothers, entrare in Matrix e fare a pugni con Bud Spencer e Terence Hill.
Più in là ha capito che andava bene laurearsi in teologia, scienze della comunicazione digital media e tentare di diventare uno speaker radiofonico.
Brianzolo di nascita, milanese d’adozione, collabora dal 2024 come speaker a RV radio e dopo Sanremo 2025 con iMusicFun
