“HIMALAYA” è il nuovo singolo del cantautore partenopeo Revelè, distribuito da Artist First e prodotto da Mario Meli.
Il brano racconta la storia di un bambino che sogna di diventare un’astronauta, ma che crescendo si ritrova a fare i conti con la realtà, la fretta e la disillusione che spesso accompagnano il passaggio all’età adulta. Tuttavia, rimane intatto un desiderio puro: fare qualsiasi cosa per amore, persino scalare l’Himalaya.
Il sound intreccia richiami alla new wave napoletana con una poetica del tutto personale, autentica e cruda. Nel ritornello compare la voce femminile di Mema, sorella gemella di Revelè, legata a lui dal sogno condiviso di trasformare la vita in arte.
«“Himalaya” custodisce la parte più autentica di me: la voglia di superare muri, paure e distanze pur di arrivare a chi sento davvero vicino. La canzone è piena di immagini che mostrano come l’amore possa oltrepassare ogni limite: scalare una montagna, abbattere una muraglia, trasformare un castello di sabbia. – racconta Revelè – Dentro c’è la mia storia, c’è quel bambino che sognava di diventare astronauta e che oggi guarda il cielo da terra, consapevole che i sogni non finiscono mai, ma cambiano forma. “Himalaya” è il coraggio di non arrendersi, di continuare a credere nei propri sogni e nelle proprie radici, anche di fronte a ostacoli più grandi di noi. Vorrei che chi ascolta questa canzone ritrovasse la propria forza e sentisse, anche solo per un attimo, che nessuna montagna è davvero troppo alta se la attraversiamo con il cuore.»
Intervista a Revelè
“Himalaya” nasce dal sogno di un bambino che voleva fare l’astronauta: quanto di quel bambino vive ancora in te oggi e quanto invece è cambiato nel tuo modo di guardare al futuro?
Quel bambino vive ancora dentro di me, anche se oggi guarda il cielo da un’altra prospettiva. Non sogna più di partire per lo spazio, ma continua a cercare qualcosa di più grande. Credo che crescere significhi imparare a cambiare forma ai sogni senza perderli: “Himalaya” nasce proprio da questa consapevolezza, la voglia di guardare in alto anche quando la vita ti mette alla prova.
Nel brano parli di “scalare l’Himalaya per amore”: cosa rappresenta per te questa montagna? È una metafora della vita, dell’arte o di un sentimento preciso?
È tutto questo insieme. L’Himalaya per me è la montagna che ognuno ha dentro: può essere l’amore, un sogno, una paura. È la sfida quotidiana di restare fedeli a sé stessi anche quando il mondo ti spinge altrove. L’amore, l’arte e la vita hanno in comune proprio questo: la fatica di salire e la bellezza di farlo comunque.
Musicalmente “Himalaya” intreccia richiami alla new wave napoletana con un sound contemporaneo. Come hai costruito questo equilibrio tra radici e modernità?
Napoli per me è un modo di sentire, non solo un suono. La tradizione partenopea mi insegna l’onestà del racconto e la malinconia luminosa, mentre la parte elettronica e urban mi permette di proiettare tutto questo nel presente. In studio cerco sempre un punto di contatto tra ciò che appartiene alla memoria e ciò che ancora non esiste.
Il brano è prodotto da Mario Meli, già al lavoro con artisti come Annalisa e Alfa: com’è stato collaborare con lui e in che modo ha influenzato la direzione del suono?
Con Mario c’è stato un dialogo profondo. È uno di quei produttori che ascolta davvero, che riesce a trasformare un’emozione in frequenza. Con lui abbiamo cercato un suono sospeso, che tenesse insieme la fragilità e la forza del testo. La sua esperienza ha dato struttura a quello che per me era ancora un sentimento istintivo.

La presenza della voce di Mema, tua sorella gemella, aggiunge una dimensione intima e simbolica. Com’è stato cantare insieme e che ruolo ha il vostro legame nel tuo percorso artistico?
Cantare con Mema è come guardarsi allo specchio. La sua voce è una parte di me che non riesco a dire a parole. In “Himalaya” rappresenta la purezza, la parte che ancora crede nei sogni. Da sempre condividiamo l’arte come un linguaggio comune: quando canto con lei, la musica diventa casa.
Nel testo parli di “abbattere muri e trasformare castelli di sabbia”: sono immagini poetiche ma anche universali. C’è un messaggio che vorresti arrivasse a chi sta cercando la propria forza?
Vorrei che chi ascolta capisse che la fragilità non è una colpa. Tutti abbiamo muri da superare e castelli di sabbia da ricostruire. “Himalaya” dice proprio questo: non importa quanto sia alto l’ostacolo, se trovi il coraggio di guardarlo con amore, cambia forma e diventa parte del tuo cammino.
Hai detto che “Himalaya” custodisce la parte più autentica di te. Se dovessi descrivere con tre parole questa parte, quali sceglieresti e perché?
Direi: verità, fragilità e speranza. La verità perché cerco di non nascondermi mai dietro la musica. La fragilità perché è da lì che nasce ogni mia canzone. E la speranza, perché nonostante tutto, continuo a credere che i sogni non muoiano: si trasformano.
Il singolo sembra un ponte tra sogno e realtà, tra infanzia e maturità: ti senti più attratto dal mondo ideale o da quello concreto quando scrivi?
Scrivo per tenere insieme entrambi. Il sogno mi serve per ricordare chi sono, la realtà per capire dove sto andando. La scrittura è quel punto di contatto in cui posso farli dialogare, come due versioni di me che si parlano da lontano.
Dopo “’O Mar ’O Mar”, diretto da te stesso, pensi di proseguire nel racconto visivo dei tuoi brani? Quanto conta per te la componente cinematografica nel tuo modo di fare musica?
Assolutamente sì. La parte visiva è fondamentale nel mio percorso: ogni brano nasce già con un’immagine dentro. Il cinema e il teatro mi hanno insegnato che una canzone non è solo da ascoltare, ma anche da guardare, da vivere. Nei miei videoclip cerco sempre di costruire piccoli mondi emotivi, non semplici scenografie.
Nel videoclip di “’O Mar ’O Mar” Napoli è una donna, madre e amante. Se “Himalaya” avesse un volto o un simbolo visivo, quale sarebbe?
“Himalaya” avrebbe il volto di chi guarda lontano anche quando ha gli occhi pieni di stanchezza. Forse sarebbe una silhouette contro la neve, una figura che continua a salire anche se non sa se arriverà mai in cima. È l’immagine del coraggio silenzioso, quello che non fa rumore ma resiste.
Dirigere un videoclip è un atto di pieno controllo creativo. Ti senti più libero quando scrivi una canzone o quando costruisci un’immagine?
Sono due libertà diverse. Quando scrivo una canzone mi spoglio, quando costruisco un’immagine mi rivesto. La musica è istinto, il video è consapevolezza. Insieme mi aiutano a raccontare tutto quello che le parole, da sole, non riescono a dire.
Lavorare con un’attrice come Sveva Mariani, già nel cast di “A casa tutti bene”, ti ha permesso di sperimentare linguaggi cinematografici più intensi. Quanto il cinema influenza il tuo modo di scrivere musica?
Tantissimo. Io penso per immagini. Ogni suono, per me, deve avere una scena dietro, una luce, un movimento. Con Sveva è stato un lavoro di verità: volevo che il videoclip fosse un cortometraggio emotivo, non una semplice clip musicale.
Le tue canzoni parlano spesso di ritorno, di mare, di casa. Quanto è importante per te la tua Napoli nel definire la tua identità artistica?
Napoli è la mia radice e la mia direzione. È una città che ti insegna a stare nel contrasto: la luce e l’ombra, la malinconia e la festa. Tutto questo finisce nella mia musica in modo naturale, come un riflesso. È un amore che non smette mai di cambiare volto.
In “Himalaya” e “’O Mar ’O Mar” si percepisce una forte tensione tra fragilità e coraggio. È questa la chiave per capire il mondo di Revelè?
Sì. Il mio mondo vive proprio lì, tra la vulnerabilità e la resistenza. Non credo negli eroi perfetti: credo in chi cade, si rialza e continua a cercare bellezza anche nel dolore. La mia musica nasce da questa tensione: un equilibrio precario ma pieno di verità.
Guardando avanti: dopo “Himalaya”, possiamo aspettarci un progetto più ampio, magari un concept o un disco che unisca i tuoi vari linguaggi – musica, teatro, scrittura e immagine?
Sì, sto lavorando a un progetto che metta insieme tutto questo: musica, parole e visioni. Vorrei costruire un racconto unico, un percorso che parta da questi singoli e arrivi a un disco, ma anche a una dimensione live e teatrale. “Himalaya” è solo il secondo capitolo di qualcosa che sta prendendo forma.

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