“Una Notte Eterna“ è il nuovo singolo di Andrea Petrucci, un inno pop dance alla rinascita personale e alla leggerezza ritrovata. Il brano celebra la libertà di essere se stessi dopo un periodo difficile, senza etichette né competizioni. Petrucci racconta una storia semplice e felice, espressione della sua nuova energia vitale. Il videoclip, ispirato al mito della Fenice, rappresenta visivamente un percorso di rinascita tra fuoco e luce interiore. La fiamma, simbolo di trasformazione, si spegne per lasciare spazio a una nuova consapevolezza.
Intervista ad Andrea Petrucci
- Andrea, partiamo dal presente: cosa rappresenta per te questo nuovo singolo, “Una notte eterna”?
Ciao a tutti. “Una notte eterna” rappresenta per me il rientro nelle scene musicali dopo ben quattro anni di stop forzato. Quando qualcosa dentro ti dice che devi fermarti, devi fermarti, non c’è nulla che tenga. Ero arrivato al punto di mentire a me stesso, ma non poteva continuare così: dentro ero un vulcano di emozioni, non stavo molto bene, anche se da fuori cercavo di apparire felice. Questo mi ha portato a una grande rinascita e consapevolezza. - Hai definito il brano un inno alla leggerezza e alla felicità ritrovata dopo un periodo complicato. Quanto è stato terapeutico scriverlo e cantarlo?
La consapevolezza mi ha aiutato a rinascere, la consapevolezza e la concretezza nel capire che siamo tutti di passaggio, chi prima e chi dopo. Ho sempre creduto che la vita continui dopo la morte; forse questa prova l’ho ricevuta proprio perché credo fortemente nella vita oltre la morte. - Il singolo ha sonorità pop dance, molto luminose ed energiche. Quanto conta oggi, per te, la leggerezza nella musica e nella vita?
A livello artistico, questo brano è un’esplosione di energia: dalle strofe porto l’ascoltatore a un ritornello che è uno scoppio improvviso di festa e spensieratezza. Volevo che trasmettesse felicità, volevo far ballare le persone, farle muovere, scatenare onde energetiche positive, anche perché stava arrivando l’estate. È un brano scritto e finito a metà maggio, così ho già immaginato l’estate. Desideravo un rientro fresco e appassionato, ma non per questo meno profondo. - Nel testo c’è un invito forte a essere se stessi, senza competizioni né etichette. Quanto hai dovuto lottare tu, in passato, per sentirti libero artisticamente?
“Una notte eterna” vuole raccontare una storia di tutti i giorni, legata a ognuno di noi. Siamo sotto stress dal ritmo continuo della vita, sempre di corsa. Per raggiungere cosa? Dove dobbiamo andare? Siamo legati da catene invisibili, ed è così per tutti, se ci pensate: vogliamo fare, vogliamo dire, vogliamo costruire, ma poi siamo vincolati da qualcosa e riusciamo a realizzare forse solo il 40% di ciò che ci proponiamo. Quindi, cerchiamo di prenderci una notte, in questo caso, per essere liberi, rinascere, sentire ancora il brivido della vita, che può essere qualsiasi cosa. Prendiamo la nostra persona amata e abbandoniamoci senza pensieri. - Il video di “Una notte eterna” è molto potente visivamente, con riferimenti simbolici alla rinascita e alla fenice. Quanto c’è di te in queste immagini e nella loro simbologia?
Il videoclip è stato una vera illuminazione notturna. Mi sono detto che non aveva senso realizzare uno dei miei classici video elaborati – basta andare su YouTube per trovarne molti… Volevo essere diretto, arrivare in modo semplice, misterioso e immediato. Il testo della canzone esprime bene tutto quel fuoco che brucia nel video, per poi arrivare verso il finale a spegnere la fiamma direttamente dalle mie mani. Un vero e proprio rituale di rinascita personale ed artistica. Il fuoco simboleggia la purificazione a 360 gradi, ma segna anche il tempo che, questa volta, per questa canzone, si ferma e accoglie la tranquillità della vita. Spezza le catene della frenesia odierna, per arrivare poi allo special del brano, dove dichiaro che il futuro non lo temo e lo riscrivo ora. - Da Ascoli Piceno a Milano: come ha influito questo cambiamento geografico e di vita sul tuo percorso artistico?
Quando si prende una decisione e una posizione nella vita, significa che si è determinati in ciò che si fa. Andare a Milano per me è stata la svolta, innanzitutto perché sono tornato a studiare canto. Ho vissuto una Milano che in quel periodo era ancora bella da vivere, non come adesso purtroppo, che è diventata molto simile a un quartiere pericoloso di New York. Ha rivoluzionato il mio percorso artistico perché li ho potuto concretizzare e affermare la mia vita artistica. Attualmente, invece, si riesce a lavorare anche da qui ad Ascoli Piceno, mantenendo tutti i contatti necessari. - Nella tua carriera hai spaziato tra generi diversi, dal pop-rock alla dance, mantenendo sempre forte l’impronta cantautorale. C’è un filo conduttore che lega tutte queste tappe?
Assolutamente sì, c’è un filo conduttore ben definito che lega tutte queste tappe, pur spaziando tra generi diversi. Fin dall’inizio, essendo figlio degli anni ’80, ho vissuto appieno un certo tipo di musica e una voglia di fare musica diversa da chi avvia un progetto musicale oggi. - Quali ascolti, artisti o esperienze ti hanno maggiormente ispirato nel costruire la tua identità musicale?
La mia formazione artistica è scaturita dall’ascolto di circa diecimila album – la mia teca musicale di CD e vinili originali è stata la mia vera scuola. Sono cresciuto con i Queen, ma anche con tanta musica strumentale, dal classico all’heavy metal, dal prog al new prog. Nomi come Satriani, Steve Vai, Malmsteen, amo batteristi come John Bonham, Lars Ulrich, Portnoy… Forse è proprio per questo che, quando devo scrivere un brano, ho già la canzone completa in testa, dalla musica al testo, pronta per essere materializzata dal nulla. Non ho mai amato molto etichettare la musica in generi. Per me la musica rimane musica, e non catalogandola sono sempre riuscito a spaziare liberamente in tutte le forme musicali possibili, mantenendole sempre accessibili a tutti. La tematica delle mie canzoni e dei miei testi viene sempre fuori dall’ispirazione di quello che voglio comunicare. Chi conosce la mia discografia sa che i testi sono sempre stati molto semplici, ma nascondono profondità, e per chi crede in qualcosa in più, c’è tutto un mondo spirituale da vivere. Anche “Una Notte Eterna” nasconde spiritualità, dimensionalità, elevazione a qualcosa di superiore. In sintesi, il filo conduttore è la mia libertà espressiva guidata dall’ispirazione, la profondità emotiva e spirituale dei testi resa accessibile a tutti, e la costante ricerca di una connessione autentica con la musica, lontana dalle logiche di mercato e dalla competizione. Questo si riflette anche nella mia crescita personale: non essendo “figlio di nessuno”, ho imparato la pazienza, la costanza e il sacrificio, vedendo la musica come la più grande terapia emozionale. - Guardando indietro, c’è un brano della tua discografia che consideri una sorta di spartiacque tra il “prima” e il “dopo” nella tua evoluzione personale e musicale?
Assolutamente sì, ci sono diversi momenti e brani che considero veri e propri spartiacque nella mia evoluzione personale e musicale. Già dal mio primo album nel 2010, ho vissuto bellissimi momenti. Sono stato ospite in varie trasmissioni locali e nazionali, come “Rai Uno Mattina”, e poi su alcuni programmi Mediaset dell’epoca. Questo album, pur non essendo prodotto da una major, mi ha regalato piccole ma grandi soddisfazioni, facendomi capire che la strada intrapresa era quella giusta. Poi, sempre con molta gavetta, tra il 2010 e il 2017, sono riuscito a scrivere canzoni sociali come “Polvere e Sassi nel Cuore”, un inno di speranza per il terremoto che abbiamo vissuto. Lì, chiamato dal vescovo di Ascoli Piceno, Monsignor Giovanni D’Ercole una persona di grande umanità che fu il primo a scavare sotto le macerie – ho avuto un compito molto importante: mi esibii davanti a Laura Boldrini e successivamente a Giuseppe Conte. Fu proprio lui a chiedermi di scriverla e questo per me fu davvero un gesto importante. La responsabilità di aver vissuto il terremoto in prima linea, perdendo anche persone care, ha reso questo brano un messaggio di speranza profondo, fatto con il cuore. Questo brano è stata un’esperienza forte e un momento chiave per la mia musica, capace di dare un messaggio di speranza concreto. Inoltre, ho scritto un singolo dedicato al Santo Patrono Emidio, “Sant’Emidio”, un inno nuovo; pensate, era dal ‘700 che non veniva scritto qualcosa di simile! Da lì in avanti ho fatto tantissime ospitate, come nel Trofeo Nilla Pizzi. Insomma, tante piccole ma grandi soddisfazioni per me. Il mio spartiacque è quindi in continua evoluzione, perché ogni esperienza, anche quelle dolorose come il lutto della mia compagna il cui brano da lei iniziato è stato un doppio dolore e liberazione o la recente perdita di mio padre, influenzano e trasformano la mia arte. La consapevolezza mi ha aiutato a rinascere, a capire che siamo tutti di passaggio, ma che possiamo vivere di speranze amando ogni giorno ciò che abbiamo. In pratica, ogni singolo che ho pubblicato e ogni esperienza vissuta hanno contribuito a plasmarmi. Se dal 2010 ad oggi sono ancora qui, lo devo a me stesso, alla mia famiglia e ad alcune persone vere che hanno creduto in me. - Hai ricevuto il Premio Ivan Graziani, ti sei esibito in occasioni importanti, anche davanti a figure istituzionali. Cosa ti porti dietro da queste esperienze?
Sì, è stato un premio molto importante. Sono stato anche testimonial per Ascoli Piceno della campagna nazionale “Io non rischio”. Esibirmi poi davanti a dei Capi di Stato come Giuseppe Conte e Laura Boldrini, e aver cantato di fronte a dodici ambasciatori del mondo all’interno della basilica di Ascoli Piceno, è stata una grande emozione e mi ha dato molta forza. Ma tutto questo, se hai delle basi solide come le mie, venendo dalla gavetta, è solo un tassello in più. In fondo, siamo tutti esseri umani, siamo delle persone. - Il tema della rinascita torna spesso nelle tue canzoni. Pensi che sia una delle urgenze più forti anche per chi oggi ascolta musica?
Sì, penso di sì. Siamo nel 2025 e siamo ancora in guerra, ma vi rendete conto? C’è la guerra e poi questo bombardamento mediatico non fa altro che abbassare le nostre frequenze vitali. Ancora vogliono conquistare territori e fanno la guerra. È assurdo che ci sia un massacro ogni giorno. Ma immaginate poi tutte le guerre che non ci raccontano. Come si fa? Spero succeda qualcosa che metta fine a questo strazio. - Quanto ha inciso nella tua scrittura la perdita della tua compagna e il dolore che hai trasformato in musica, penso ad esempio al brano “In un istante”?
La perdita della mia compagna ha inciso in modo profondo e totalizzante sulla mia scrittura, e il brano “In un istante” ne è la testimonianza più diretta e potente. È stato un processo difficile, ma anche liberatorio, soprattutto per l’anima. Dopo oltre sei anni di convivenza, ritrovarmi a perdere una persona che era il mio respiro quotidiano, il mio tutto, non è stato facile affatto. Di questi sei anni, due li abbiamo trascorsi in malattia; devo dire che non l’ho abbandonata nemmeno un secondo e vederla spegnersi non è stato semplice. Non si può lasciare la terra a soli quarant’anni. “In un istante” ha una storia molto particolare: la mia compagna, oltre ad essere stata ingegnere elettronico, insegnante, pianista e poetessa, ha scritto la canzone in un istante, mentre stava trascorrendo i suoi ultimi giorni di vita. In realtà, è stata lei a dedicarla. Io l’ho poi terminata, dedicandola a lei. La mia mano potete sentirla nello special finale e nella chiusura del brano: questa è la vera storia. Questa canzone ha il doppio dell’elaborazione del dolore. Non è stato nemmeno semplice cantarla e inciderla; il dolore era davvero forte. La condivisione di questa esperienza così intima e dolorosa attraverso la musica è stata una liberazione e un alleggerimento, soprattutto per me stesso. È stata un’esperienza forte che non auguro a nessuno. Bisogna saper lasciare andare, non dimenticare ma lasciare andare. - Il tuo album precedente si intitolava “Il coraggio è tra le braccia di un sogno”: oggi qual è il sogno che stai stringendo tra le mani?
Oggi ce ne sono molti fortunatamente che sto stringendo, uno è proprio questo di essere ritornato artisticamente e con più consapevolezza nella mia vita. Gli altri purtroppo non posso dirveli devono rimanere un segreto. - Com’è cambiato, negli anni, il tuo rapporto con il palco e con il pubblico? Ti senti più libero oggi rispetto ai tuoi esordi?
Negli anni è cambiato molto, ma io sono sempre lo stesso. Mi sento più libero perché, avendo raggiunto una maturità artistica, riesco anche a dire di no, cosa che prima non riuscivo a fare perché ero pieno di pensieri e a volte di paure. Ma adesso, alla veneranda età di 44 anni che non dimostro, andate a vedere! Se voglio fare una cosa, la faccio, altrimenti non ce n’è per nessuno. Ho sempre amato il mio pubblico e spero di raggiungere più persone possibile diffondendo la mia musica. Gli esordi erano basati sull’esplorazione, adesso si esplora in maniera diversa. - Dopo “Una notte eterna”, cosa possiamo aspettarci da Andrea Petrucci nei prossimi mesi? Stai lavorando a un nuovo album o a nuovi progetti live?
Di progetti live ancora non sono pronto, preferisco andare piano e costruire qualcosa di bello. È importante, momentaneamente, essere tornato; poi, se ci saranno dei live, ben venga. Non ho ancora l’esigenza di esibirmi dal vivo. Per quanto riguarda altro di nuovo, sì, spero di farvi ascoltare altre canzoni e di racchiudere il tutto in un album.

Speaker radiofonico, musicista e collaboratore di diverse testate nazionali e internazionali. Segue come inviato il Festival di Sanremo dal 1999 e l’Eurovision Song Contest dal 2014 oltre a numerose altre manifestazioni musicali. In vent’anni ha realizzato oltre 8.000 interviste con personaggi del mondo della musica, dello sport e dello spettacolo. Nel 2020 ha pubblicato il romanzo “La Festa di Don Martello” e nel 2022 “Galeotto fu il chinotto” e “Al primo colpo non cade la quercia”.
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