Andrea Vanzo

Andrea Vanzo è un compositore e pianista da milioni di follower, tra i più ascoltati al mondo sui social, artista capace di unire musica, natura e bellezza in un progetto unico nel suo genere.

Nato a Bologna e cresciuto in un piccolo borgo dell’Appennino Sadurano, che lo ha irrimediabilmente influenzato, Andrea, oltre che nei teatri per il suo pubblico, suona nei luoghi più incontaminati del pianeta – dalle Dolomiti al deserto Wadi Rum di Giordania– con un piano acustico-elettronico smontabile, ideato per ridurre l’impatto ambientale, in mezzo al silenzio della natura. Una scelta radicale, che ha dato vita a video dallo straordinario impatto visivo ed emotivo, seguitissimi online.  

Intervista ad Andrea Vanzo

Andrea, il tuo progetto è unico nel panorama musicale attuale: come nasce l’idea di portare il pianoforte nei luoghi più incontaminati del mondo?
Parte della mia infanzia l’ho vissuta in un piccolo borgo all’interno di una riserva naturale sull’Appennino Tosco-Emiliano; quindi, la natura e le escursioni nel parco erano parte della mia quotidianità. Ho sempre avuto un rapporto molto stretto con gli alberi, il vento e la natura in generale. Ero un bambino un po’ solitario e si può dire che la natura fosse il mio amico immaginario. L’idea di portare il mio pianoforte smontabile, e con esso la mia musica in luoghi naturali inaccessibili, nasce sicuramente da questo mio vissuto.

Il tuo pianoforte smontabile è diventato quasi un simbolo del tuo modo di fare musica. Ci racconti come lo hai ideato e che valore ha per te?
L’ho ideato insieme al falegname Massimo Russo e con l’aiuto di mio padre: abbiamo disegnato e creato un pianoforte elettrico con struttura in legno smontabile in cinque parti. Ogni modulo pesa dai 12 ai 20 kg circa e si può trasportare a spalla tramite sacche apposite. Non è un qualsiasi strumento musicale. Oltre al valore affettivo, è anche il mezzo che ho per comunicare in mezzo alla natura più inaccessibile attraverso i video. Il valore risiede nel rispettare il luogo che mi ospita e celebrarlo attraverso la musica.

La natura è al centro del tuo racconto musicale e visivo. Cosa rappresentano per te questi paesaggi e come influenzano la tua scrittura?
La natura è sempre stata presente nella mia vita: alberi, vento, contemplazione. È un luogo dove rallentare e riconnettermi con me stesso. Quando scrivo, cerco quella stessa qualità: togliere rumore, arrivare all’essenza. Portare il pianoforte in luoghi naturalistici mi rimette in contatto con quel bambino che parlava con il vento.

Dai social ai palcoscenici internazionali: che rapporto hai con la tua community online, che ormai ti segue in milioni ogni mese?
A un certo punto ho capito che i social potevano essere un veicolo potente per arrivare alle persone: ho deciso di mostrarmi per quello che sono, emozioni, fragilità e pensieri, attraverso musica e video. E così, in modo spontaneo, si è creata una community che si riconosce in quello che faccio. Il legame con chi mi segue è fortissimo: ci capiamo, ci ascoltiamo, ci supportiamo. Può forse sembrare strano ma molte cose sulla mia musica le imparo anche da loro. Un conto è la percezione che noi abbiamo di noi stessi, diversa è quella che hanno gli altri di te.

La tua musica ha uno stile molto intimo, sospeso tra classica contemporanea, pop e suggestioni cinematiche. Quali sono i tuoi riferimenti più forti, anche fuori dalla musica?
John Williams è uno dei compositori che più mi hanno ispirato nel mio percorso di crescita musicale. È sempre stato il mio idolo: ho esplorato ogni meandro del suo vastissimo repertorio. Forse la colonna sonora che più mi è entrata nel profondo è quella del film Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo, dove la musica diventa il linguaggio di comunicazione tra noi e una razza aliena. Altri due compositori importanti per me sono Max Richter e Hans Zimmer.

Il tuo primo album si intitola “Intimacy”: quanto conta per te questo concetto, oggi che tutto corre così in fretta?
Per me Intimacy significa esprimere quello che ho nel profondo. Fare musica nasce da un atto puramente istintivo. Attingo dai ricordi, emozioni provate, desideri non realizzati. Le persone che mi ascoltano hanno la sensazione che la mia musica trasmetta molto anche perché entrano in un canale di intimità con la mia parte inconscia.

Dopo aver portato la tua musica in luoghi incredibili come il Wadi Rum, il Parco dell’Etna e le Dolomiti, qual è il luogo che sogni di raggiungere e suonare in futuro?
Mi piacerebbe molto poter portare il mio piano e realizzare uno dei miei video in Kazakistan. Ho scoperto questa terra recentemente, sono stato invitato a suonare già più volte e ne sono rimasto affascinato. Sia dalla sensibilità delle persone che mi hanno accolto, che dalla sua natura. Territori vastissimi, paesaggi lunari ancora incontaminati. Sarebbe un’impresa davvero complicata, però spero di poterlo fare.

Hai firmato colonne sonore per cinema e teatro. Cosa cambia nella tua scrittura tra un brano per immagini e un brano “puro”, pensato per il live?
Quando scrivo per immagini parto dal ritmo emotivo della scena: sono al servizio di una narrazione pre esistente, da cosa il film ha la necessità di far emergere come emozione in quel determinato momento. Inoltre sono legato al timing della scena e a ciò che avviene in essa. Mentre quando scrivo un brano “puro”, il film, la scena o l’emozione la scelgo io. Inoltre sono libero di strutturare il brano come meglio credo. La cosa che c’è in comune è che in entrambi i casi come prima cosa mi metto al pianoforte, mi concentro su un’emozione e poi lascio che le mani e l’instinto mi guidino.

Nel tuo lavoro ci sono tanti aspetti artigianali, dalla costruzione dello strumento alla tua casa in legno. Quanto è importante per te vivere in sintonia con il ritmo naturale delle cose?
Prima del Conservatorio ho fatto l’Istituto d’Arte. Mio padre è decoratore e restauratore, io stesso fino a pochi anni fa lavoravo anche nella ditta di famiglia. Sono cresciuto con il senso dell’artigianalità in casa. Ho aiutato mio padre a costruire quella che attualmente è casa mia, una casa in legno a risparmio energetico pensata nel rispetto della natura. Sono sempre stata una persona molto pratica e fisica. Tra l’altro si può dire che essere compositore ha il suo lato artigianale, in quanto ad un certo punto devi saper strutturare le idee melodiche e armoniche che inizialmente sono scaturite da un atto improvvisativo istintivo, in una struttura che possa essere comprensibile. Perché anche la musica alla fine è una forma di linguaggio come lo può essere la scrittura.

I tuoi video sono curatissimi e raccontano spesso una rinascita, una luce che ritorna. Quanto c’è di autobiografico in queste immagini?
C’è molto di autobiografico. Sento anch’io, come tante persone, il bisogno di fermarmi in mezzo a ritmi frenetici, ansie sociali, rumori di fondo. I video in natura sono il tentativo di creare un varco: un momento in cui puoi immergerti in un sogno, per evadere dal caos quotidiano. La luce che ritorna è quel piccolo spazio interiore che si riaccende quando togli distrazioni. Chi guarda spesso mi scrive che si lascia andare, si emoziona, si riconnette: è esattamente ciò che cerco.

Sei stato premiato per una cover di “Song of Storms” da The Legend of Zelda. Cosa ti lega al mondo dei videogiochi e al loro linguaggio musicale?
La musica per i videogiochi alla fine è molto simile alla musica per film, entrano in gioco le stesse dinamiche di funzionamento. Lavorare sulle musiche di Zelda per me, pur non avendo passato molto tempo sui videogiochi quando ero piccolo, è stato tuffarmi in quel passato in cui ci giocavo. Quindi si può dire che è stato un po’ come tornare ragazzino.

Dalla tua esibizione al TEDx al tour europeo: che reazioni hai avuto dal pubblico quando racconti la tua idea di musica “lenta” e rispettosa?
Viviamo in un mondo pieno di stimoli, ce ne sono anche troppi, e il ritmo che scandisce la vita quotidiana è sempre più frenetico. Probabilmente sempre più persone sentono il bisogno di fermarsi e ritagliarsi un angolo di pace. La mia musica aiuta a fare questo. Fermarsi e riconnettersi con se stessi, con le proprie emozioni più profonde.

Nel prossimo futuro ti attende un tour in America Latina e un nuovo album. Cosa possiamo aspettarci da questo progetto?
Ad ottobre uscirà il Vol. 2 di Intimacy, il mio progetto discografico più atteso. È dal 2023 che ho cominciato a pubblicare i primi singoli, diversi pezzi devono ancora uscire, fra cui alcuni a cui sono particolarmente legato. Non vedo l’ora di rendere pubblico questo seguito del viaggio iniziato nel 2020 con Intimacy Vol. 1. Per quanto riguarda il tour non vedo l’ora di approdare in Brasile soprattutto: è un luogo dove non sono mai stato e che mi affascina molto, non solo da un punto di vista naturale ma anche umano. Ho davvero tante persone che mi seguono e mi supportano da lì. È da quando ho cominciato il mio progetto artistico che aspettano che porti la mia musica da loro. Intimacy Vol. 2 ha un respiro più ampio: l’intimità questa volta dialoga con paesaggi più estesi, come se la stanza del primo capitolo si aprisse e facesse entrare il mondo.

La tua musica vuole accogliere, guarire, abbracciare. In un mondo che sembra sempre più frenetico e disconnesso, che messaggio vuoi lasciare a chi ti ascolta?
Noi siamo la cosa più preziosa che abbiamo, alla fine la vita è una sola e finisce in fretta. Prendiamoci cura di noi stessi, conosciamoci a fondo e rendiamoci più consapevoli. Alla fine siamo sempre in tempo a ritagliarci del tempo per noi stessi, io ad esempio lo faccio attraverso la musica e l’ascolto.

Quale consiglio daresti a un giovane musicista che vuole seguire la propria strada senza scendere a compromessi?
Di seguire una strada indipendente come ho fatto io. Di lavorare con costanza e impegno. A volte l’intuizione giusta arriva dopo dieci, dodici ore di tentativi. Non è magia, è presenza, è dedizione. La bellezza richiede tempo e resistenza. Non seguire gli altri: segui la tua voce interiore.

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