La Crus

La nostra intervista ai La Crus, in occasione della pubblicazione del nuovo album di inediti “Proteggimi da ciò che voglio”, fuori per Merscal a partire dallo scorso 22 marzo.

 Il disco, che arriva dopo sedici anni di stop della band, è prodotto da Matteo Cantaluppi e dagli stessi La Crus, al secolo: Mauro Ermanno GiovanardiCesare Malfatti e Alex Cremonesi.

Un disco importante che apre le porte a diversi ospiti, a partire da Slavoj Žižek, illuminato filosofo, sociologo e politologo sloveno, passando da Vasco Brondi, padre del progetto Le Luci Della Centrale Elettrica, che insieme arricchiscono il brano “La rivoluzione”

Con Carmen Consoli e Colapesce Dimartino, il gruppo realizza poi un ponte virtuale tra passato e presente attraverso le nuove versioni di “Io confesso” e “Come ogni volta”.

Intervista ai La Crus

Partiamo da “Proteggimi da ciò che voglio”, come vi siete approcciati a questo lavoro e come si è svolto il processo creativo? 

«Tutto è iniziato nel 2020, quando siamo tornati a lavorare insieme dopo 15 anni quasi in cui non ci trovavamo a creare musica nuova. Tramite la produzione di Matteo Cantaluppi siamo arrivati al disco che è finalmente stato dato alle stampe, grazie a lui abbiamo superato le nostre diversità di vedute creando una sorta di compromesso tra le nostre varie idee, creando il suono globale del disco. Verso la fine, poi, è arrivata la scelta di inserire anche due pezzi già conosciuti, “Io confesso” e “Come ogni volta”, riletti e riarrangiati in due nuove versione in compagnia di Carmen Consoli nel primo caso e di Colapesce Dimartino nel secondo».

Tra le righe del singolo scelto per accompagnare radiofonicamente questo progetto, dal titolo “Mangia dormi lavora ripeti”, raccontate la monotonia e questa sorta di abbattimento di confine tra vita domestica e la vita lavorativa, che in molti abbiamo vissuto durante il lockdown. Cosa pensate ci abbia lasciato, nel bene e nel male, quella complicata esperienza per certi versi solitaria e per altri collettiva?

«Quello che è rimasto è proprio quello che è descritto nella canzone, nel senso che quella è stata un’occasione perduta, perché in un momento di dramma così forte, anziché fermarci a riflettere su ciò che significava realmente quella situazione, lavorante parlando, si è puntato a mantenere gli stessi ritmi, pure in quel momento di lutto. Questo, antropologicamente parlando, è stato devastante e questa cosa è ciò che abbiamo mantenuto oggi, perché anche dopo il lockdown è rimasta la stessa accelerazione. È anche rimasto molto lavoro da casa, perché le aziende hanno poi capito che un po’ gli conveniva. Certo è che si tratta di un periodo storico che ricorderemo per sempre».

Quali elementi e quali caratteristiche vi soddisfano e vi rendono orgogliosi di questo ritorno e di un disco come “Proteggimi da ciò che voglio”?

«In primis, del tipo di ricerca musicale che c’è dietro questo progetto e di buona parte del clima, che consideriamo un giusto compromesso tra l’aspetto più intimista e quello più radiofonico. Fare un disco di inediti dopo sedici anni era pericolosissimo, soprattutto se arrivi da un percorso come il nostro… la retorica della nostalgia era dietro l’angolo. Non a caso, lo consideriamo un ritorno più contemporaneo che nostalgico. La canzone d’autore italiana è la cosa che fondamentalmente ci interessa e ci piace, per questo era necessario capire come confrontarci con il mercato partendo da brani con una costruzione armonica, una melodia, un testo poetico. Era importante far convivere questi mondi, forma canzone e ricerca sia musicale che letteraria. Inizialmente è stato un po’ faticoso fare questo, perché lavorare da soli per anni ti fa radicare in un mondo piuttosto che in un altro. Siamo riusciti a sintetizzare tutto in un album molto compatto e coeso, questo ci rende davvero soddisfatti».

Videointervista ai La Crus

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