Sal Da Vinci Siamo gocce di mare

Anima e voce, queste le parole che meglio definiscono il talento di Sal Da Vinci, artista partenopeo che non ha certo bisogno di presentazioni. Siamo gocce di mare è il titolo del suo nuovo progetto discografico, un lavoro intimo e introspettivo, un vero e proprio viaggio nei sentimenti eterni e profondi che accompagnano la nostra esistenza. Approfondiamone con lui ogni dettaglio, ripercorrendo un po’ della sua storia.

Ciao Sal, benvenuto. Siamo gocce di mare è il titolo del tuo nuovo album, come si è svolto l’intero processo creativo?

«Erano quasi cinque anni che non pubblicavo brani inediti, nel frattempo avevo rilasciato il mio primo disco da vivo, un regalo che mi sono voluto concedere suonando con una grande orchestra nei più importanti teatri italiani. Sai, non ricordo mai quando nascono le cose, non riesco a decifrarne un tempo. C’è voluta pazienza, tra il lavoro e lo slittamento a causa di quello che abbiamo vissuto nell’ultimo anno. Questo album nasce da tutto questo, con l’esigenza di raccontarmi ancora una volta, attraverso la mia visione del quotidiano viaggio dell’amore».

Ancora una volta sei riuscito a dare voce alle emozioni in queste quindici tracce. Un’impresa che, dopo quello che abbiamo vissuto, assume una valenza ancora più simbolica…

«Sì, abbiamo vissuto davvero qualcosa di inedito, almeno per la nostra generazione. La pandemia ci ha colto di sorpresa, cambiandoci un po’ la vita, proiettandoci in una gabbia, seppur dorata. Nulla a confronto di chi ha sofferto le pene della guerra, perchè quello era davvero un altro mondo. Per quanto ci riguarda, siamo comunque stati privati della nostra libertà e, credo, che qualche conseguenza la pagheremo dal punto di vista psicologico. Mi preoccupano soprattutto i ragazzi che, nel momento della massima espansione della loro energia, si sono ritrovati chiusi in una scatola. Noi adulti l’abbiamo vissuta con un’ottica diversa, ci siamo dovuti adattare e abbiamo cercato di gestire la situazione, ma quelli che hanno sofferto di più sono sicuramente i giovani».

Sal Da Vinci Siamo gocce di mare

Chi ha contribuito alla realizzare di questo album? Parlaci degli amici, dei musicisti e delle gocce che hanno fatto parte di questo mare…

«Sicuramente le gocce sono tante. Ho lavorato a stretto contatto con Adriano Pennino che ha curato insieme a me la produzione artistica, oltre a tutti gli arrangiamenti del disco. Tanti anche i co-autori, come Vincenzo D’Agostino, Maurizio Fabrizio, Vincenzo Incenzo, Luca Sala, Luca Barbato e via scorrendo. Abbiamo lavorato tutti insieme per questo momento di creatività, determinazione e fantasia. “Siamo gocce di mare” inteso come umanità, perchè noi veniamo dal mare, personalmente ci abito pure vicino, per cui non potrei vivere senza il costante contatto con questo infinito, proprio come non saprei vivere lontano dalla mia città. E’ un fatto viscerale, ci siamo dati tanto e continuiamo ancora a farlo. Mi porto dentro questa mia Napoli che si scioglie nelle vene, come scrisse il grande poeta, mio carissimo amico Lucio Dalla. In questo album sono presenti diversi brani in lingua napoletana, come non avevo mai fatto prima. Vuoi perchè non riuscivo ad esprimere i concetti in maniera così struggente e carnale, mi è venuto spontaneo raccontarmi così».

Se dovessi definire il tuo impegno musicale in una sola parola utilizzerei il termine “voce”, non soltanto perché possiedi una delle canne più potenti della musica leggera italiana e non solo, ma anche per l’utilizzo che ne hai sempre fatto, per la centralità che ha avuto nel tuo percorso questo tuo dono naturale. Cosa rappresenta per te questo strumento e in che modo te ne prendi cura?

«Mi prendo cura della mia voce cercando di proteggerla, anche attraverso la giusta alimentazione, proprio come uno sportivo. Le corde vocali sono due muscoletti piccolini che, naturalmente, vanno tenuti sotto controllo e in allenamento, anche perchè è lo strumento che mi permette di sopravvivere. Rispetto a un po’ di anni fa, il mio modo di cantare è sicuramente cambiato, credo che sia diventato un po’ più rotondo, caldo e veritiero, forse meno tecnico, anche se mi si affibbia sempre questa caratteristica, che ritengo essere sempre stata molto naturale e non costruita. Più che alla perfezione, tendo a dare importanza a quello che dico, a quello che voglio comunicare. Per me conta più il contenuto del suono della voce».

Voce che in qualche modo hai dovuto camuffare nel corso della tua ultima avventura televisiva, infatti, sei reduce dalla semifinale di Star in the star. Cosa ha rappresentato per te questa esperienza e cosa ti ha spinto a scegliere di omaggiare Pino Daniele?

«Finalmente posso svelarlo! Per intere settimane la gente mi scriveva dicendomi che mi aveva riconosciuto per alcune movenze, chi mi segue da anni se ne è accorto. Si è trattato di un gioco molto rispettoso, benfatto, ma pur sempre un gioco, anche perchè i tre giudici hanno a loro volta giocato, senza entrare troppo nella parte tecnica e analitica. Si è trattato di puro intrattenimento, uno spettacolo all’insegna della leggerezza, destinato ad un pubblico di famiglie. La scelta di Pino Daniele mi è venuta molto naturale, perchè fin da bambino sono stato attratto dalla sua musica. E’ un artista che porterò sempre dentro di me, per la sua grande arte che profuma di eternità».

Sal Da Vinci Siamo gocce di mare

A proposito di omaggi, in questo 2021 abbiamo dovuto dire addio a tanti personaggi illustri del mondo dello spettacolo, tra cui Enrico Vaime che, insieme a Claudio Mattone, ha scritto il Musical “C’era una volta… Scugnizzi” che ti ha visto come assoluto protagonista. Ci regali un ricordo di quell’esperienza?

«E’ stata un’esperienza che mi ha cambiato la vita, catapultandomi in un mondo che nella realtà non credevo esistesse, o forse non ci avevo mai fatto caso. Più che uno spettacolo da eseguire, per me è stata quasi una missione. Claudio Mattone è un musicista straordinario, nonché un autore fantastico. Enrico Vaime sappiamo bene cosa ha rappresentato. In più ho avuto l’opportunità di conoscere tanti ragazzi talentuosi, molti dei quali hanno continuato con la suola del teatro, del cinema e della musica, facendosi largo spazio nel mondo dello spettacolo».

Sempre a proposito di musical, dal 2 dicembre al 14 febbraio sarà in scena al Teatro Cilea di Napoli il tuo spettacolo La fabbrica dei sogni. Finalmente si torna dal vivo! Immagino non vedessi l’ora, no?

«Assolutamente! La bella notizia uscita in questi giorni sulla totale copertura dei teatri mi rende felicissimo, non vedo l’ora di rimettermi in pista con questa lunga stabile al Teatro Cilea, dove costruiremo un vero e proprio villaggio, “La fabbrica dei sogni” per l’appunto. Certo, l’intervallo di questo spettacolo è stato un po’ troppo lungo, ma alla fine siamo rimasti tutti dentro questa scatola magica. Tra musicisti, tecnici, ballerini e le persone che non si vedono, ma lavorano dietro le quinte. Il pubblico ci ha aspettati, nessuno ha chiesto il rimborso del biglietto e questo l’ho trovato un gesto straordinario nei confronti miei e di tutti gli artigiani di questo spettacolo. Non vedo l’ora che arrivi dicembre!».

Per concludere, come sintetizzeresti il tuo percorso di vita e di musica fino ad oggi?

«Una bella rappresentazione. Credo di aver scelto istintivamente, grazie a mio padre che intuì questa mia vocazione sin da bambino, poi negli anni scelsi di approfondire e di alimentare questa mia inclinazione perchè ne sentivo l’esigenza. Mi ritrovo oggi a fare musica per una questione di perseveranza, per la lotta alla verità, per questa passione fuori dalla logica. La stanchezza è un termine che, probabilmente, nel mio vocabolario esiste solo quando non lavoro (sorride, ndr)».