Joe Ely, una delle figure più autorevoli e poetiche della scena country-rock americana, è morto lunedì 15 dicembre all’età di 78 anni. Il musicista si è spento nella sua casa di Taos, nel New Mexico, a causa delle complicazioni legate alla demenza a corpi di Lewy, al morbo di Parkinson e a una polmonite. Accanto a lui fino all’ultimo la moglie Sharon, anche sua manager, e la figlia Marie.
La scomparsa di Joe Ely segna la perdita di un artista di culto, profondamente rispettato dai colleghi e amatissimo da un pubblico fedele anche in Italia, dove il suo nome è stato a lungo sostenuto dalla stampa musicale specializzata.
La diagnosi annunciata sui social
Lo scorso 9 settembre Joe Ely aveva reso pubblica la sua malattia con un post su Facebook, spiegando di voler condividere la diagnosi non per soffermarsi sulle difficoltà, ma per “portare comprensione, consapevolezza e speranza attraverso il potere curativo della musica”. Un messaggio che rifletteva pienamente il suo approccio umano e artistico.
Il cordoglio del mondo musicale
Numerosi i messaggi di affetto arrivati dopo la notizia della sua morte. Monte Warden dei Wagoneers lo ha ricordato come “il mio eroe, il mio modello, il mio amico”, paragonandolo a icone come Buddy Holly, Elvis Presley e Don Everly.
Kyle Young, CEO della Country Music Hall of Fame and Museum, ha sottolineato come Joe Ely portasse sul palco la musica roots americana “con il fervore di un vero credente”, evidenziando uno stile inconfondibilmente texano, capace di fondere honky-tonk, rock & roll, blues, western swing e conjunto.
Una carriera tra Texas e rock internazionale
Nato ad Amarillo e cresciuto a Lubbock, Joe Ely è stato uno dei protagonisti del progressive country texano tra gli anni Settanta e Ottanta. Dopo gli esordi con i Flatlanders, insieme a Jimmie Dale Gilmore e Butch Hancock, avviò la carriera solista nel 1977, imponendosi come una delle voci più autentiche e raffinate del country-rock americano.
La consacrazione arrivò con album come Honky Tonk Masquerade e soprattutto Musta Notta Gotta Lotta, che gli aprì le porte dei grandi palchi internazionali. Ely fu scelto come opening act da artisti del calibro di Rolling Stones, Clash, Tom Petty & the Heartbreakers, oltre a collaborare con Stevie Nicks, Linda Ronstadt, Pretenders, Kinks e Jimmy Cliff. Con i Clash instaurò un legame speciale: partecipò ai cori di Should I Stay or Should I Go e venne citato nel loro immaginario come simbolo della musica texana.
L’eredità artistica
Pur restando lontano dal mainstream, Joe Ely è stato un vero musician’s musician, stimato da colleghi come Bruce Springsteen, che lo ha definito “autentico come le sue radici texane, con la profondità emotiva di Johnny Cash”.
Tra i suoi lavori più amati figurano Lord of the Highway, Love and Danger e Letter to Laredo, album che hanno contribuito a consolidare la sua fama di narratore dell’America delle strade, dei confini e delle vite ai margini. L’ultimo disco in studio, Love and Freedom, è uscito proprio quest’anno.
Nel corso della carriera ha pubblicato 17 album e ricevuto importanti riconoscimenti, tra cui il Lifetime Achievement Award for Live Performance dell’Americana Music Association, il titolo di Texas State Musician e l’ingresso nella Austin City Limits Hall of Fame.
Un addio che lascia il segno
Con la morte di Joe Ely se ne va una voce fondamentale della musica americana, capace di unire tradizione e spirito rock in una visione personale, intensa e senza tempo. Le sue canzoni restano come testimonianza di un artista che ha trasformato le radici texane in un linguaggio universale, lasciando un’impronta profonda nella storia del country-rock.

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