Rancore Xenoverso

Premio della Critica “Mia Martini” (ma anche Premio della Sala Stampa Lucio Dalla e Premio Bardotti) per “Argentovivo” con Daniele Silvestri a Sanremo 2019 e di nuovo Premio Sergio Bardotti al miglior testo per “Eden” al Festival successivo; il rapper Rancore è uno degli ospiti del Festival della Comunicazione di Camogli, kermesse che fu ideata da Umberto Eco insieme a Rosangela Bonsignorio e Danco Singer.

Rancore – al secolo Tarek Iurcich, venerdì 13 settembre è stato il protagonista nella pittoresca piazza Colombo, che affaccia sul caratteristico porticciolo del borgo marinaro. Nella prima parte della serata ha raccontato di sè, nella seconda ha cantato alcuni dei suoi brani più famosi davanti a un pubblico fatto in prevalenza di giovanissimi.

“Mi definisco un rapper ermetico, ho sempre sperimentato una rottura degli schemi, non riuscivo a definirmi finché non ho trovato questa parola. Mi sono reso conto che questo concetto si avvicinava alla mia idea del rap. Ermetico significa nascosto. Credo che le canzoni non debbano essere delle strade a senso unico, ma avere piu livelli di interpretazioni. Ogni persona può specchiarsi e vedere riflesso qualcosa di sè”.

Per il rapper classe 1989 la musica “è sempre in movimento, è il mezzo per definirsi anche attraverso la scrittura, che è terapeutica”.

Rancore a Camogli ha spiegato il suo percorso evolutivo dentro le sette note: “in ogni disco che ho fatto sono cambiato, di fatto ho usato i dischi per capire il mondo”. Paragonando il rap alla matematica, ha aggiunto che “nel rap si nascondono delle equazioni, bisogna metterle in ordine”.

Rancore ha anche raccontato come prende appunti per le sue canzoni: “il fascino della carta mi ha sempre entusiasmato, quindi mi piace prendere appunti anche sulla carta, che è un po’ magica. Riflettevo che si usa una mano sola, nel mio caso sinistra, mentre nel digitale si usano due mani. Quindi anche scrivere col pc è interessante, perché si usano più emisferi cerebrali”.

Parlando del suo nome d’arte, il rapper ha spiegato che quando canta è come se, tirandolo fuori, “uccidesse” il rancore. “Ho iniziato a scrivere presto, a 14 anni, a 15 ho fatto il primo disco. Il rancore era diverso a quell’età, era un sentimento di rabbia adolescenziale. Crescendo, non potevo portare un nome così senza un motivo. Come Batman è convinto che i nemici abbiano paura dei pipistrelli, ma in realta li teme lui, così, nel mio caso, è stato una sorta di esorcismo”.

Raccontando dei suoi lavori, il rapper romano ha affermato che l’album “Musica per bambini”, il suo più noto, pubblicato nel 2018, malgrado il titolo, è decisamente un disco per adulti: brani scritti in un momento particolare della sua vita, una critica alla musica italiana.

Xenoverso”, il più recente, invece non è un concept album, ma un vero e proprio mondo che l’artista ha costruito e che racconta attraverso con la musica. “Un viaggio onirico, un viaggio nel tempo. Ci sono voluti diversi anni per realizzarlo”.

Interessante anche la riflessione sull’importanza della parola nel rap: “le parole si rincorrono, a volte si baciano come nelle rime. È difficile essere una parola, a volte vengono eliminate, quando lo spazio non basta”. Nei lavori di Rancore si nota un parallelismo tra musica e cinema: “le mie canzoni sono un po’ come dei film, dove le parole sono la sceneggiatura e musica è la colonna sonora”.

Rancore, che ha definito il suo rap “schizofrenico”, ha detto la sua sul tema del Festival di Camogli 2024, “Speranze”: “il mondo non finisce qui se tu non vuoi. Puoi vedere il mondo in modo piu aperto, luminoso e libero. Esiste qualcosa di piu’, non so bene che cosa, ma c’è. Quando vedo le persone che cantano i miei brani, questo mi dà speranza, mi ripaga di tutti i sacrifici”.

Prima di esibirsi sul palco ha ricordato un momento importante della sua carriera, “a pochi chilometri da qui. Il Festival di Sanremo”. È stato un momento unico, un’emozione travolgente. Non pensavo di essere compreso in un festival nazional-popolare, il mio brano, “Eden”, è complesso, invece sono stato capito”.

Articolo di Vesna Zujovic