Il cantautore comasco Simone Tomassini è pronto per salire sul palco di Eat Sound Festival, ma in un’intervista a MowMag parla anche di Vasco Rossi, dei Maneskin, ma non solo.
“L’idea viene da lontano; dal 2008, esattamente. Venivo da una botta di notorietà non indifferente, attorno a me c’erano molte aspettative. Lavoravo con Vasco Rossi, calcavo i palchi più importanti d’Italia, finché a marzo 2008 ho perso mio nonno Felice, e neanche un mese dopo, a soli 59 anni, mio padre Alessio. Quando morì mio nonno, per me un autentico padre spirituale, mi dissi che perlomeno, a quel punto, avrei dovuto riscoprire mio padre, che era sempre stato più che altro il mio fratello maggiore (mi accompagnava durante i tour, era soprannominato “staff” perché era sempre lì a supportarmi). Quella doppia tragedia in tempi così ravvicinati, mi tagliò le gambe. Accusai il colpo, mi chiusi in me stesso. Spensi le luci della televisione per accendere quelle sulla mia famiglia. […] Dalle ceneri di Simone, nacque Simone Tomassini. Nome e cognome. Da quel momento, ogni anno, abbiamo regalato il concerto a Vertemate. Ogni anno raccogliendo fondi per una causa sempre diversa.”
Così Simone racconta l’idea di una festa a Vertemate con Minoprio, il suo paese, che si ripete dal 2008. L’artista, poi, ricorda il periodo trascorso accanto a Vasco Rossi.
“Immaginate un ragazzino immerso in una sala giochi tutta per lui. Dico sempre che io di scuole ne ho fatte tante, ma con Vasco ho fatto l’università. Ho imparato tanto con lui. Innanzitutto che quello che stavo facendo insieme a lui era ciò che avrei voluto fare per sempre: suonare, suonare, suonare. Dare in pasto la mia musica a gente sempre diversa. Come ho fatto quando mi sono trasferito a New York e suonavo per le strade. Dopo tanti palchi e tanti dischi venduti, oggi ai miei allievi cerco di insegnare la forza di una passione. L’unica cosa che ti può guidare e salvare.”
Simone Tomassini, poi, riflette sul mercato musicale attuale parlando anche dei Maneskin.
“L’ansia da prestazione regna sovrana. I filmati dei miei esordi, per fare un esempio, non mentono. I miei occhi non mentivano. La prima volta che sono finito in tv – ospite di Simona Ventura al Festival di Sanremo – ero lo specchio della felicità. Suonavo nei locali già da dieci anni, per cui il palco non mi spaventava. Ero libero di essere felice. Mentre oggi, con meno gavetta alle spalle, un ragazzo certi palchi li sente immediatamente troppo grandi, troppo impegnativi. La tensione è a mille, non se la gode. Deve realizzare tutto ciò che può in tempi strettissimi. Io me la godo ancora, come i Maneskin.
Che tutti criticano senza notare che quei quattro ragazzi hanno entusiasmo, voglia di divertirsi e spaccare. E infatti ci riescono. Poi possiamo stare a ragionare un weekend intero su come siano diventati i Maneskin, però la loro freschezza è innegabile e contagiosa. Capisco perché tanti giovani li seguano.”
Speaker radiofonico, musicista e collaboratore di diverse testate nazionali e internazionali. Segue come inviato il Festival di Sanremo dal 1999 e l’Eurovision Song Contest dal 2014 oltre a numerose altre manifestazioni musicali. In vent’anni ha realizzato oltre 8.000 interviste con personaggi del mondo della musica, dello sport e dello spettacolo. Nel 2020 ha pubblicato il romanzo “La Festa di Don Martello” e nel 2022 “Galeotto fu il chinotto” e “Al primo colpo non cade la quercia”.