La nostra intervista ai Bloom, super gruppo composto da Giusy Ferreri, Max Zanotti, Roberta Raschellà e Alessandro Ducoli. Da venerdì 28 giugno è disponibile il primo album della band, intitolato “Hangover”, prodotto da GGF Music e distribuito da ADA Music.
L’idea che unisce questi quattro musicisti è quella di immergersi in una fase creativa dove sperimentare attraverso il suono un nuovo linguaggio musicale e dove Giusy Ferreri fa emergere il suo lato più introspettivo attraverso i testi tutti firmati da lei. Da qui il nome Bloom, che significa appunto fioritura, e che quindi incarna l’essenza di una nuova vita.
Intervista ai Bloom
Questo progetto nasce da un tuo forte desiderio Giusy, manifestato più volte negli anni. Come si è sviluppato il tutto?
«Questo è sempre stato un mio grandissimo desiderio, un sogno che avevo nel cassetto, non a caso ho cercato Max Zanotti, un artista che ho sempre stimato profondamente. Con lui abbiamo avuto l’idea di mettere su una band e mi ha presentato Alessandro Ducoli e Roberta Raschellà. Non vedevo l’ora che mi girassero le loro basi strumentali pazzesche per poter trarre ispirazione per i miei testi. Non vedevo l’ora di rimettermi a nudo attraverso la scrittura e di tirare fuori la mia attitudine più dark e introspettiva, che negli ultimi anni stava un attimino un po’ soffocando. La stessa che avevo tentato di svelare a spizzichi e bocconi in tutti i miei progetti precedenti, ma che non ero riuscita mai a mettere a fuoco nella maniera più adeguata».
Di questo disco mi hanno colpito fondamentalmente due cose: il modo in cui è stato curato il suono e poi la parte testuale, perché ho sempre avuto l’impressione che tu Giusy cercassi da tempo di gridare al mondo che sei una cantautrice e non solo un interprete. Finalmente hai avuto modo di dimostrarlo con questo disco, perciò penso che ciascuno di voi ha almeno un buon motivo per essere orgoglioso del lavoro svolto…
«Sì, assolutamente. Infatti diciamo che l’obiettivo principale era quello di concretizzare indipendentemente da quelli che saranno gli esiti. Senz’altro e senza ombra di dubbio, riuscire ad ottenere anche dei riscontri decisamente positivi, così come anche di stupore, di interesse, di curiosità, è una cosa che mi gratifica parecchio. Al di là di quello che poi accadrà, la voglia proprio di farlo e di viverlo è stata già una delle cose più importanti».
“Hangover” è stato registrato da Steve Lyon a Londra, poi mixato e masterizzato da Marco Borsatti a Bologna. Effettivamente questo è un disco che mantiene una sua istintività anglofona e un’anima tutta italiana. È un album che suona internazionale, ma che è stato scritto e cantato in italiano. Avevate chiara sin dall’inizio questa dimensione oppure se vi siete ritrovati a costruirla man mano durante il lavoro in studio?
«L’avevamo subito chiara quando ci siamo ritrovati la prima volta per parlare di questo progetto, perché i nomi che saltavano fuori dai nostri reciproci ascolti passati erano esattamente gli stessi. Da lì abbiamo capito che era una cosa fattibile e facile anche da fare, perché parlavamo tutti la stessa lingua. Poi speriamo che con queste sonorità effettivamente molto internazionali, ci piacerebbe provare a riversare questi testi italiani con un adattamento in inglese e vedere che cosa potrebbe accadere oltre confine».
Per concludere, per molti il rock è uno stile di vita, uno stile noir, per citare il titolo della canzone che chiude l’ascolto del vostro disco. Cosa vi affascina del rock e che forza può avere oggi il suo linguaggio?
«Sicuramente la libertà che ti dà questo tipo di musica. Poi il rock esprime sempre una grandissima forza, una forma artistica superiore nella quale ci si può permettere di sperimentare, di trovare suoni e soprattutto di potersi aprire con grande istintività. È una forma di libertà e non a caso questo progetto nasce con l’idea di vivere un atto decisamente liberatorio, anche perché volevo sperimentare la mia scrittura su sonorità ricercate e di altissima qualità».
Videointervista ai Bloom
Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte di raccontare. È autore del libro “Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin” (edito D’idee), impreziosito dalla prefazione di Amadeus. Insieme a Marco Rettani ha scritto “Canzoni nel cassetto”, pubblicato da Volo Libero e vincitore del Premio letterario Gianni Ravera 2023.
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