Antonello Venditti

Antonello Venditti non le manda a dire e, ancora una volta, interviene nel dibattito sullo stato dell’industria musicale italiana. Durante il live-evento alle Terme di Caracalla per il 40º anniversario di Notte prima degli esami, il cantautore romano ha espresso preoccupazione per le pressioni che il mercato discografico esercita sui giovani artisti.

Al centro delle sue riflessioni ci sono nomi come Sangiovanni e Angelina Mango: «Vivono in un mondo che è un frullatore. Nascono con il sold out incorporato, ma il sold out è una conquista, non un punto di partenza. Quando arriva davvero, è bellissimo». Secondo Venditti, la nuova generazione di cantanti è talentuosa ma troppo fragile, spesso impreparata ad affrontare la rapidità e le pretese di un sistema che chiede risultati immediati, dimenticando la crescita personale e artistica.

Non è la prima volta che l’artista esprime giudizi netti. Già lo scorso anno aveva criticato apertamente Annalisa e Angelina Mango, sostenendo che «sono costrette dal mercato a diventare altro da sé stesse» e a seguire suoni e stili decisi da altri. Angelina, in quell’occasione, aveva risposto con ironia e garbo, dicendo: «Apprezzo la sincerità, anche se ogni opinione conta… persino quella del mio tatuatore».

Ma quella di Venditti non sembra solo una critica: è anche una forma di preoccupazione sincera. «Mi ha colpito molto la vicenda di Sangiovanni e ultimamente anche quella di Angelina Mango – ha detto in un’intervista a Il Messaggerobisogna proteggerli. Il successo, tra euforia e cadute, può fare molto male. Lo so perché ci sono passato».

Non tutti però hanno apprezzato il suo tono protettivo. Donatella Rettore, per esempio, ha commentato: «Venditti ce l’ha anche con me. Ma i giovani devono fare la loro strada. Il tempo darà loro ragione, proprio come lo ha data a me dopo quarant’anni».

Quel che è certo è che Antonello Venditti, da decenni figura cardine della musica italiana, continua a dire la sua senza filtri. E se da una parte le sue parole possono sembrare dure, dall’altra accendono un dibattito necessario su come l’industria musicale stia plasmando – o schiacciando – il talento emergente.

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