Bruce Springsteen

Bruce Springsteen svela sette album inediti registrati tra il 1983 e il 2010: un viaggio segreto tra folk, country, synth e orchestrazioni, che racconta il lato più intimo e sperimentale del Boss. (Qui la descrizione del progetto e Qui l’elenco dei negozi italiani aperti la notte del 26 giugno per celebrare il Boss).

Sapevo di aver fatto la colonna sonora per un film mai realizzato,” racconta Springsteen al New York Times, riferendosi a Faithless (2005). “Poi, durante il lockdown, ho iniziato a scavare più a fondo e ho capito: wow. Ho tutti questi dischi mai pubblicati.

Non si tratta di raccolte postume assemblate da etichette discografiche con demo e versioni alternative. Sono album completi, con materiale inedito che nemmeno i bootlegger sono riusciti a intercettare. Saranno disponibili in streaming e in un cofanetto limitato da nove LP o sette CD.

Sì, li conoscevo,” ride Springsteen. “Sono un tipo riservato. E abbiamo fatto tutto qui a casa. L’unica cosa che registravamo in città erano gli archi, ma i musicisti fanno così tante sessioni che nessuno ha fatto caso a nulla.

Il suo studio privato, accanto al garage con la celebre Corvette del 1960 in cui ha fatto un giro con Barack Obama, è stato teatro di queste registrazioni silenziose ma fondamentali. Alcuni dei dischi, come Twilight Hours (2010), sono esercizi di stile orchestrali nel solco del Great American Songbook. Altri, come Inyo (1996), si tuffano nei paesaggi mariachi del confine messicano. Somewhere North of Nashville (1995) esplora sonorità country da bar itinerante, mentre le Streets of Philadelphia Sessions (1993) mostrano un uso sorprendente di sintetizzatori e drum machine, lontani dal classico suono Springsteen.

Forse il capitolo più affascinante della narrazione riguarda LA Garage Sessions ’83, un album folk gotico registrato in una casa sulle colline di Hollywood, con personaggi sconfitti e disillusi, molto lontani dalla grandeur rock che Born in the USA avrebbe incarnato poco dopo.

Avevo appena finito Nebraska e pensavo che avrei proseguito su quella strada. Avevo già metà di Born in the USA, ma mancavano Dancing in the Dark, No Surrender… non ero convinto. Così, in quel garage, ho iniziato con chitarra acustica e drum machine, poi ho aggiunto gli altri strumenti. Era un altro modo di lavorare, più intimo.

Se fosse uscito LA Garage Sessions invece di Born in the USA,” riflette oggi, “la storia del rock, e forse anche la moda degli anni ’80, sarebbe stata molto diversa.

Gran parte della musica inedita è abitata da figure tormentate, incapaci di fuggire dal proprio passato. Un tema che, come ammette lui stesso, riflette la sua autobiografia emotiva.

Scrivo spesso di ciò che ti perseguita, dei debiti che devi saldare. High Sierra, da Twilight Hours, racconta di un uomo che lascia la città per una vita bucolica, ma viene trascinato di nuovo nel buio. È una metafora della mia vita.

Springsteen, cresciuto con un padre mentalmente instabile e spesso assente emotivamente, ha sempre cercato nella musica un mezzo per dare ordine al caos interiore. Anche oggi, a 75 anni, lavora senza sosta per mantenere l’equilibrio.

Lavoro molto. Amo registrare. Mi tiene sano. Sono una persona migliore quando sto lavorando. Ho imparato a bilanciare vita privata e professionale… anche se non sono la miglior compagnia dentro la mia testa.

Tra i sette album, Twilight Hours si distingue per un’estetica sonora raffinata e malinconica, lontana dal cuore rock’n’roll dell’autore di Thunder Road. Una sorta di Sinatra malinconico con il cuore spezzato in un bar notturno.

È musica urbana, notturna, fatta di rimpianti adulti. Mi divertiva cantare con quello stile di romanticismo condannato. Pensavo: cosa farebbe Sinatra? E intanto ascoltavo Burt Bacharach.

È un disco che riecheggia Nighthawks di Edward Hopper: solitudine sublime e struggente, elevata a poesia sonora. Eppure, Bruce non si considera un tipo urbano. “L’unico locale dove bazzicavo era lo Stone Pony di Asbury Park. Ma solo perché ci suonavo.”

Negli anni ’90, mentre cresceva i suoi tre figli con Patti Scialfa a Beverly Hills“una vita tranquilla, lontana dalle scene” Springsteen non ha mai smesso di scrivere e registrare.

“Nel 1995 registravamo Somewhere North of Nashville di giorno e The Ghost of Tom Joad di notte,” sottolinea, smentendo l’idea di un Bruce inattivo negli anni della paternità.

Quattro degli album inediti risalgono proprio a quel periodo, e portano tracce di un Bruce che, pur nella quiete domestica, continuava a osservare l’America e i suoi margini.

“Gli artisti che amiamo sono quelli con qualcosa che li divora dentro,” riflette. “Dylan, Sinatra, Hank Williams… Ci incuriosiscono perché tutti noi abbiamo qualcosa che ci consuma. E nella scrittura, quella parte emerge. È lì che dai vita alle canzoni.”

Con questa monumentale pubblicazione, Bruce Springsteen non solo arricchisce la sua discografia, ma ricompone il mosaico di una carriera complessa, sfaccettata, mai lineare. Ogni album perduto rappresenta un bivio non preso, una scelta non fatta, una confessione rimasta nel cassetto.

Ma ora il cassetto si è aperto. E dentro c’è il cuore pulsante di un artista che, come i suoi personaggi, non ha mai smesso di confrontarsi con le ombre.

“La mia musica è il modo in cui affronto il mondo. E continuo a farlo. Finché avrò qualcosa da dire, sarò qui.”

I sette album inediti di Bruce Springsteen saranno disponibili dal mese prossimo in digitale e in un cofanetto fisico in edizione limitata. Per i fan del Boss — e per chi ama la grande narrativa americana — è un ritorno imperdibile.

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