Carlo Conti torna a parlare di Sanremo 2026 e lo fa con la sua consueta ironia, raccontando alcuni retroscena che raramente emergono nella lunga marcia d’avvicinamento al Festival. Ospite ad Atreju, il conduttore ha spiegato come abbia scelto di avvisare personalmente alcuni artisti rimasti fuori dalla lista dei Big. “Mi sembrava brutto farli aspettare il Tg delle 13:30 per scoprire lì se fossero dentro o fuori”, ha raccontato. In diversi casi ha preferito una telefonata, in altri un messaggio, scherzando: “Li ho autorizzati a mandarmi a quel paese”.

Una decisione tutt’altro che semplice, visto che le canzoni arrivate sono state oltre 300 e ridurre tutto a 30 nomi finali ha richiesto grande attenzione e delicatezza. “Non è mai facile dire di no, soprattutto a certi artisti”, ha ammesso Conti.

Con un sorriso, ma non senza sorprendere, Conti ha confidato un dettaglio curioso: “Sono un po’ preoccupato perché quest’anno ci sono pochissime polemiche”. Un fatto che considera quasi anomalo: da sempre il Festival vive anche delle discussioni, delle critiche, delle reazioni del pubblico. “Vediamo se strada facendo si creerà un po’ di polemica”, ha aggiunto con tono scherzoso.

Il direttore artistico ha ricordato come il Festival sia ormai un rito collettivo che si commenta in tempo reale sui social, non più soltanto al bar il giorno dopo. “È la sua forza: Sanremo deve far parlare e, perché no, anche sparlare”.

Durante il panel “La televisione e la cultura nazionalpopolare in Italia”, Conti ha ripercorso l’evoluzione del Festival negli ultimi dieci anni. Ha citato Pippo Baudo come grande artefice del Sanremo moderno e ricordato il lavoro condiviso con Baglioni e Amadeus per avvicinare la kermesse alle nuove tendenze musicali.

Oggi, però, il ritmo del mercato è velocissimo: “Arrivano tanti artisti giovani, ma alcuni non reggono la pressione perché spesso non hanno alle spalle una vera gavetta”. Un tema che Conti considera cruciale per la salute del panorama musicale italiano.

Accanto a Mara Venier, Marco Liorni ed Ezio Greggio, Conti ha difeso con orgoglio la televisione “nazionalpopolare”, ormai diventata un’etichetta positiva. Fare programmi per tutti, ha spiegato, significa essere nel cuore delle persone. Mara Venier ha ricordato come durante la pandemia gli show abbiano rappresentato un punto di riferimento, mentre Greggio ha difeso il valore della satira “scorretta” come forma di libertà creativa.

Liorni ha aggiunto che la TV deve respirare il Paese reale, mettere in dialogo le generazioni e mantenere vivo il confronto tra passato e futuro.

Conti ha riflettuto anche sulla crescente sensibilità che, in alcuni casi, limita la creatività televisiva. “A Tale e Quale Show non posso far interpretare cantanti di colore a concorrenti bianchi, altrimenti scoppia il caso ‘blackface’”, ha detto. Poi ha aggiunto con ironia che talvolta aggira il problema puntando su artisti di colore nel cast, fino all’idea di far imitare un cantante bianco a un concorrente nero “sperando che nessuno si offenda per il ‘whiteface’”.

Un momento toccante è arrivato quando Conti ha ricordato Fabrizio Frizzi, definendo il ritorno alla conduzione de L’Eredità dopo la sua morte “il momento più difficile della carriera”. “Non importa quanti successi ottieni, ma ciò che lasci”, ha detto con emozione.

Mara Venier ha condiviso la stessa riflessione, spiegando come quella perdita le abbia cambiato le priorità: “Le cose importanti della vita sono altre. Noi facciamo solo televisione”.

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