Il dibattito sulla partecipazione di Israele all’Eurovision Song Contest 2026 continua ad alimentare tensioni senza precedenti. Dopo le proteste a Malmö 2024 e le polemiche durante l’edizione 2025 di Basilea, l’EBU (European Broadcasting Union) si trova ora davanti a una scelta storica: decidere, tramite un voto straordinario previsto a novembre, se la tv israeliana KAN potrà prendere parte all’edizione di Vienna 2026, che segnerà anche il 70° anniversario della manifestazione.
Mai prima d’ora l’EBU aveva convocato un’assemblea dei broadcaster per decidere sull’esclusione di un singolo Paese. L’iniziativa è arrivata dopo le richieste formali di Spagna, Irlanda e Slovenia, cui si sono aggiunti anche Olanda e Belgio fiammingo. Altri Paesi, come la BBC (Regno Unito), SVT (Svezia) e TVP (Polonia), si sono limitati a dire che seguiranno il processo di discussione senza sbilanciarsi sul voto. Francia e Australia hanno già confermato la propria partecipazione a prescindere dall’esito.
La presidente EBU Delphine Ernotte Cunci ha chiarito che “non è stato possibile raggiungere una posizione condivisa” e che la decisione finale spetterà al voto dei membri.
Se Israele dovesse rimanere in gara, il rischio maggiore riguarda i boicottaggi. Spagna, Irlanda, Slovenia e Olanda hanno già lasciato intendere che potrebbero ritirarsi dall’edizione 2026. Una riduzione dei partecipanti avrebbe un impatto economico pesante, dato che Spagna e Olanda sono tra i principali contributori finanziari dell’Eurovision.
Ci sarebbero anche conseguenze di immagine: il dibattito politico oscurerebbe la musica, le proteste nelle strade di Vienna sarebbero inevitabili e la sponsorizzazione dell’evento potrebbe risultare compromessa. Inoltre, Israele potrebbe sfruttare il televoto, dove ha ottenuto risultati altissimi nelle ultime due edizioni, per rimanere competitivo nonostante il clima di contestazione.
Uno scenario altrettanto complicato. L’esclusione comporterebbe una riduzione automatica dei Paesi in gara e rischierebbe di aprire fronti legali da parte di KAN. Alcuni Paesi chiave come Germania e Italiahanno già espresso contrarietà a una sospensione, mentre altri – come tre membri del CdA Rai – spingono per un boicottaggio.
Sul fronte economico, si rischierebbe anche la perdita di sponsor legati a Israele, come Moroccan Oil, storico partner dell’Eurovision. Sul piano politico, l’esclusione incrinerebbe l’immagine dell’Eurovision come “evento apolitico” e aprirebbe un precedente che potrebbe condizionare le edizioni future.
C’è poi un aspetto culturale: Israele è parte integrante della storia della kermesse dal 1973, con quattro vittorie memorabili tra cui quella di Dana International nel 1998 e “Toy” di Netta nel 2018. L’assenza verrebbe percepita come una perdita simbolica proprio nell’anno del 70° anniversario.
Il dibattito sull’esclusione di Israele non riguarda solo la musica. Anche la FIFA è stata recentemente sollecitata a sospendere Israele dalle competizioni calcistiche, come già avvenuto con la Russia nel 2022. Ma il presidente Gianni Infantino ha ribadito che la federazione “non può risolvere i problemi geopolitici” e che il compito del calcio è promuovere pace e unità. Un atteggiamento analogo a quello che molti temono per l’EBU: il rischio di una non-decisione che scontenti tutti.
Che Israele venga incluso o escluso, l’Eurovision 2026 sarà inevitabilmente segnato dalla politica. Se resta, ci saranno boicottaggi e proteste; se viene escluso, esploderanno polemiche su censura e “cancel culture”. In entrambi i casi, il sogno di un’Eurovision “United by Music” rischia di trasformarsi in un’arena di divisioni e scontri.

La musica è la sua grande passione, segue come inviata l’Eurovision Song Contest e il Festival di Sanremo. Negli anni ha collaborato con diverse emittenti radiofoniche. Ama i gatti, il Giappone e la cultura manga!
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