Fabio Ilacqua

Passo _01 è il nuovo progetto discografico e opera prima di Fabio Ilacqua, un album di 9 tracce che è un vero e proprio viaggio cantautorale introspettivo e nostalgico uscito venerdì 8 novembre per BMG che sarà presentato a Milano da Germi (via Cicco Simonetta 14A) giovedì 14 novembre alle ore 18.30 durante un incontro in dialogo con l’artista.

Passo _01 è disponibile, oltre che su tutte le principali piattaforme digitali, anche in 2 diversi formati: cd e vinile colorato e numerato limited edition. Qui il link per l’acquisto.

Fabio Ilacqua, il significato delle canzoni dell’album “Passo_01”

  1. IL VINO E I SERPENTI

Ogni paese o cittadina che si rispetti ha il suo personaggio leggendario. A Varese tutti conoscevano Natale Bruzzese, o meglio Natalino; proverbiale bevitore, istrionico Barfly Bukowskiano di origine calabrese che volava zigzagando da un bar all’altro in sella al suo motorino scassato o a una vecchia Apecar. Natalino era un impasto di ironia, canzoni sgangherate, destrezza nel gioco delle carte e racconti surreali. Quest’uomo era mio cugino e abbiamo fatto più di una serata insieme in qualche circolo. Tanto sopra le righe dopo il primo bicchiere, quanto timido e riservato da sobrio. “Il vino e i serpenti”, canzone che apre l’album, è figlia romanzata dei suoi racconti, delle sbronze leggendarie, delle astinenze alcoliche che gli procuravano notti sudate di visioni, fantasmi, serpenti, spiriti di morti che lo tormentavano. Se esiste un bar nell’aldilà Natalino starà certo girando tra i tavoli, tormentando i giocatori di carte; e magari ci sarà musica diffusa…magari riuscirà ad ascoltarla.

  1. I FIANCHI

Ecco una donna che ha sposato l’uomo sbagliato. Ecco le cene silenziose, le serate sterili davanti a una stupida televisione; ecco i sogni di ragazza, tutte le promesse di una vita ingoiate dalla grigia quotidianità. Ecco un uomo come tanti, troppi. Nemmeno uomo in verità, ma solo un bambino-adulto, senza parole, senza visioni, senza slanci che non siano lavoro e carriera. Ci vuole coraggio a essere donna, ieri come oggi, affrancarsi dalla morale comune, chiudere un capitolo doloroso, riprendersi la propria vita, pretendere di essere felici mentre intorno il girotondo di una piccola, meschina società di quartiere, osserva e implacabile giudica.

  1. UN GIORNO DA CANI

Ho letto parecchio tempo fa “Quel pomeriggio di un giorno da cani” di Patrick Mann prendendo appunti a bordo pagina con l’idea di farne una canzone; appunti che, come spesso accade, sono rimasti semi dimenticati in un quaderno in fondo ad un cassetto per lungo tempo. Poi accade che un giorno, per qualche strana congiunzione astrale, i tempi maturano e gli appunti, riaffiorano, prendono ordine, diventano una canzone.   

È la storia vera di una goffa rapina finita male: tre compari disadattati assaltano una banca di Brooklyn nell’agosto1972. Ho spostato il teatro dell’azione in una Milano sciolta da un sole agostano, svuotata per le vacanze estive eppure brulicante di quella vita minima che sempre scorre nelle vene delle grandi metropoli.

I tre personaggi sono diventati “uno”, il protagonista che si fa eroe, osannato dalla folla accalcata fuori dalla banca. Eroe suo malgrado, simbolo di riscatto delle masse popolari costrette da sempre da un potere incombente a digerire destini miseri, vite di seconda scelta. 

  1. L’UOMO BIDIMENSIONALE

“Il potere è un sistema educativo che ci divide in soggiogatori e soggiogati. Uno stesso sistema educativo che ci forma tutti, dalle classi dirigenti giù fino ai poveri. Ecco perché tutti vogliono le stesse cose e si comportano nello stesso modo”. Così diceva Pier Paolo Pasolini, precursore dei tempi, nella sua ultima intervista rilasciata a Furio Colombo. L’Italia di oggi è l’evoluzione esponenziale dell’Italia che il poeta lucidamente preannunciava cinquant’anni fa. L’Italia che naufraga, annaspa sotto i flutti di una deriva illiberale, in cui si tracciano gli estremi per instaurare una democrazia che di democratico ha solo la facciata. E tutto questo senza che ci sia una vera, coesa protesta, senza che un muro collettivo si opponga con forza a questo degrado. Nel brano la figura di Lazzaro diventa metafora di rivolta, di presa di coscienza, un invito al dissenso, all’opposizione, alla lotta.

  1. LA PARTE

In questa canzone provo a confrontarmi con il senso, o la mancanza di senso della vita. La sensazione di muoversi su un binario ignoto, verso una meta ancor più oscura; un viaggiatore che osserva con occhio nichilista il paesaggio del mondo dal finestrino di un treno, lo scorrere all’indietro di tutto quel corollario di convenzioni, idee, suggestioni, dottrine di cui ognuno di noi è intriso. Un via vai di comparse che calca il palcoscenico solo per un momento.

  1. UN AMORE DI MENO

Fino ai sedici anni circa ho trascorso ogni vacanza estiva nel paese nativo di mia madre. Una Calabria mitica e scarna, ospitale e arcaica; terra dimenticata dolce e amara. Una delle mie più profonde amicizie è nata allora, lungo i vicoli di Grotteria, paese di pietre calde caparbiamente aggrappato alla montagna che si affaccia sulla valle del Torbido. Ernesto era un ragazzone più grande di me, dalla sensibilità raffinata e dall’intelligenza sottile che pochi in paese riconoscevano. Scrittore di canzoni e poesie che un giorno mi portò con sé ad un incontro che odorava di setta segreta. In una piccola stanza un gruppo di amici si trovavano per suonare insieme. Fu quella la prima volta che misi le mani su una tastiera. Erano estati infinite, lunghi giorni e notti di passeggiate lungo la via che taglia metà il paese, ubriacato dai racconti di Ernesto, dalle sue storie tormentate di amori impossibili, disperati e regolarmente non corrisposti. Così, anni dopo, ho voluto raccontare la sua storia in “Un amore di meno”, un ricordo dolcissimo e pieno di nostalgia che risale la memoria ancora vivido, intatto come se il tempo non fosse passato.

  1. FARFALLA NERA

Accade in Sicilia qualche anno fa, più precisamente a Marettimo, piccola isola gioiello delle Egadi. Io e l’amico Paco tra i pochi forestieri. Farfalla nera era una ragazza di rara bellezza. Eccellente nuotatrice e abile pescatrice. Di poche parole, scostante e fiera, i capelli chiari e gli occhi verdi retaggio di sangue normanno, si muoveva con maestà selvatica fra i vicoli e la piccola piazza dell’isola coperta di timo. E in quella piazza, una notte di festa, la vidi ballare con i pescatori centenari nei loro abiti tradizionali: giovani vecchi con la pelle cotta dal sole e le mani tagliate dalle reti. Volle ballare anche con me, che imbarazzato le posai la mano sulla schiena sudata per un giro di danza. Con il tempo questa storia ha preso altre strade, nuovi significati, altri ricordi si sono mescolati imbastardendo quello spunto originale di cui rimane quella mano e quella schiena in una notte lontana.

  1. UN BEL MORIR

Questa canzone, pensata inizialmente per Paolo Conte, è poi approdata in questo album. Mantiene lo spirito circense di trombe e tromboni e una cinica ironia. Sotto questo tendone metaforico, dove un invisibile Mangiafuoco regge le fila di un’umanità ignara, si muovono uomini e donne, lanciatori di coltelli orbi e ballerine prosperose, vecchie vallette, cantautori prezzolati e un pubblico festante, inebetito e drogato dai media, assuefatto alla propria condizione che applaude a comando come in ogni talk show che si rispetti.

  1. IL SOGNO DI UNO STRADINO

Mi hanno sempre incuriosito gli stradini ai bordi delle strade, che sudati e avvolti da una nuvola di vapore catramoso guardano l’infinita carovana di auto lanciate nei posti di villeggiatura. Loro fermi a bordo strada mentre il mondo gli sfreccia accanto. Che cosa pensano? Cosa immaginano di queste vite in fuga? Una metafora dell’elemento temporale, del suo appiattimento. Ho provato a cercare qualche risposta scrivendo questa canzone, questo sogno ad occhi aperti lungo un’autostrada qualsiasi dell’Italia nella sua ora d’aria.  

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