Fabrizio Moro torna a parlare senza filtri del suo rapporto con la musica, dei mutamenti dell’industria discografica, di Sanremo e del ruolo delle nuove generazioni. In un momento in cui il panorama musicale italiano è in continua trasformazione, il cantautore romano, in un’intervista a Today, analizza con lucidità un sistema sempre più veloce, sempre più legato all’immagine e sempre meno alla sostanza.
Per Moro, il punto di partenza è chiaro: i giovani di oggi vivono in un tempo dominato dall’apparenza.
Secondo il cantautore, le nuove generazioni sono «perse», soffocate da un mondo in cui l’estetica conta più della sostanza. Una responsabilità che attribuisce soprattutto ai social, diventati un modello distorto di vita:
«È il mondo malato dei social, fatto di influencer e persone che spiegano la vita. Oggi molti fanno fatica a distinguere la realtà da ciò che scrollano».
Un contrasto netto con gli anni ’90, che Moro racconta come un periodo più semplice e autentico, dove la felicità si trovava nelle piccole cose: «una birra, un motorino, lo stare tutti insieme».
Il pensiero di Fabrizio Moro sul Festival di Sanremo è altrettanto diretto.
Per lui la kermesse oggi è uno spettacolo televisivo in cui a contare davvero non sono più le canzoni, ma i numeri:
«Non è più una gara di canzoni, ma uno show dove il numero dei follower viene prima dei meriti artistici».
Una situazione in cui, dice, brani come Pensa o Non mi avete fatto niente — che hanno segnato momenti fondamentali della sua carriera — forse oggi non verrebbero nemmeno presi in considerazione.
Nonostante le critiche, Moro non esclude un ritorno all’Ariston:
«Dovrebbero volermi loro, e poi dovrei trovare un compromesso tra le necessità d’immagine del Festival e le mie, che all’immagine non ho mai badato».
Un’apertura, ma con una consapevolezza: oggi Sanremo è un altro mondo, e anche un artista della sua esperienza dovrebbe adattarsi.
Per Moro, la rivoluzione digitale e la velocità dell’industria musicale hanno penalizzato soprattutto i cantautori della sua generazione, quelli tra i 40 e i 50 anni:
«È mancata la terra sotto i piedi. I ritmi sono accelerati, è una ruota claustrofobica dove non si respira mai».
Un sistema in cui lui stesso dice di non riuscire a stare dietro, perché viene “dalla lentezza” di una gavetta lunga, costruita con fatica e pazienza. E oggi vede molti giovani artisti “scoppiare” a causa della pressione:
«È normale con un sistema così. Li capisco».
Nonostante la durezza delle sue analisi, Moro non rinuncia a un messaggio forte alle nuove generazioni: la perseveranza è più importante del talento.
«Verrà la voglia di mollare, è normale. Ma è proprio lì che bisogna tenere duro».
Un consiglio che darebbe anche al giovane Fabrizio, quello che a 12 anni ha preso in mano una chitarra nella periferia di San Basilio e ha deciso di cambiare la propria vita.
Il cantautore confessa che, prima di ogni album, pensa di abbandonare la musica. Ma poi arrivano gli stimoli, le storie degli altri, quelle sue, e tutto ricomincia:
«Mi accorgo che non sono cambiato: sono ancora quel ragazzino che sognava in grande».
Ed è in quella autenticità — lontana dai “salotti buoni” e vicina alla periferia da cui trae ispirazione — che Fabrizio Moro continua a trovare la sua verità artistica.

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