È bastata una manciata di versi per scatenare una bufera; nel suo ultimo brano, Fedez ha preso di mira Carlo Acutis, il quindicenne proclamato santo da papa Leone XIV il 7 settembre 2025 in piazza San Pietro. «Hanno fatto santo un 15enne. Il suo miracolo? Giocare alla Playstation senza dire bestemmie», canta il rapper milanese, suscitando un’ondata di reazioni indignate.
Carlo Acutis è morto nel 2006 a soli 15 anni a causa di una leucemia fulminante. Appassionato di informatica, aveva saputo unire la sua fede a una profonda capacità di utilizzare le nuove tecnologie per diffondere il Vangelo, tanto da essere soprannominato il “cyber-apostolo dell’Eucaristia”.
Negli anni, Carlo è diventato un punto di riferimento per migliaia di giovani, famiglie e comunità parrocchiali. A Cesena-Sarsina, ad esempio, è custodita una reliquia “ex capillis” del ragazzo, attorno alla quale si radunano fedeli per la preghiera e l’adorazione. Per questo le parole di Fedez hanno ferito nel profondo.
Sui social, le rime del rapper sono state bollate come offensive e superficiali. Il sentimento condiviso è chiaro: non si banalizza la memoria di un ragazzo che non può difendersi. Carlo, con la sua semplicità e la sua fede, ha lasciato una testimonianza di speranza che continua a parlare ai giovani. Per questo molti chiedono a Fedez più misura, buon gusto e sensibilità.
In Romagna, dove la reliquia di Carlo è divenuta tappa di pellegrinaggio, la reazione è stata forte. Le serate di adorazione, le file di fedeli, le storie di ragazzi che hanno ritrovato fiducia: tutto questo spiega perché quelle rime hanno colpito al cuore. Qui Carlo Acutis non è un simbolo astratto, ma un volto familiare, un compagno di strada nella fede.
Il dibattito resta aperto: si può fare satira su tutto? Forse sì. Ma ridurre la memoria di un ragazzo morto a 15 anni a una punchline di scarso gusto non è coraggio, è solo superficialità. La libertà d’espressione non può diventare un alibi per la mancanza di umanità.

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