In occasione dell’uscita del singolo Francesca e del suo debutto al cinema come voce narrante del film Bambi di Michel Fessler, Francesca Michielin si è raccontata in una lunga intervista a Vanity Fair, parlando di musica, crescita, spiritualità e consapevolezza.

Prestare la propria voce a Bambi è stata per la Michielin un’occasione di sperimentazione e immersione emotiva. Il racconto originale, scritto da Felix Salten in fuga dal nazismo, ha colpito l’artista per la sua stratificazione di significati. «Mi ha attratta la possibilità di narrare una storia così densa di simbologia legata alla natura e alla rinascita», spiega. Il doppiaggio, realizzato con Lucky Red e il direttore Federico Zanandrea, l’ha riportata nel suo ambiente naturale: lo studio di registrazione.

Con il suo ultimo singolo, Francesca Michielin prova a ricomporsi, attraversando i ricordi dell’infanzia e le ferite dell’età adulta. «Sto cercando di far convivere due parti di me: quella bambina, ingenua, e quella adulta, consapevole del dolore», racconta. Il brano, volutamente ambiguo nel tempo verbale, gioca sul filo tra passato e presente, in un tentativo di riconnessione profonda.

Il singolo è nato da un periodo complesso, segnato anche da problemi di salute. «Non riconoscere più il proprio corpo è stato destabilizzante. Ma anche il fallimento ha avuto il suo valore: mi ha permesso di svegliarmi fuori, come dice mia nonna, e tornare a essere autentica».

Francesca Michielin ricorda l’infanzia vissuta in provincia come una sfida: «Se sei diversa, vieni etichettata. Ho dovuto lasciare l’atletica per la pressione costante del giudizio». La musica è stata la sua salvezza, il mezzo per trovare il proprio posto nel mondo.

Anche il bullismo ha lasciato segni, non solo da adolescente: «Esiste anche da adulti, sui social e nella vita. Ma ogni incontro, anche quello sbagliato, ti insegna qualcosa».

Per la Michielin l’arte nasce dall’ascolto, dal confronto e dalla voglia di guardarsi dentro. «L’ispirazione ha qualcosa di spirituale. Credo molto nella frase di Dante: “Piove dentro l’alta fantasia”». E aggiunge: «Per raccontare il dolore bisogna conoscerlo. Miyazaki dice che certe emozioni vanno vissute prima di essere narrate, e io sono d’accordo».

Il 4 ottobre, l’artista sarà protagonista all’Arena di Verona con “michielin30 – tutto in una notte”, un concerto-evento per celebrare la sua carriera. «Fa paura, ma ho voglia di dare il massimo», confessa. Un luogo mitico, sognato fin da bambina guardando il Festivalbar, e scoperto per la prima volta dal vivo con un concerto di Jovanotti.

«Ho avuto la fortuna di incontrare veri maestri come Battiato, Elisa, Giorgia, Jovanotti. Persone che condividono la propria esperienza con generosità», racconta. E se nella vita si incontrano anche “i soliti stronzi”, come suggeriva Arbasino, Francesca non ha dubbi: «Sono più i maestri che mi hanno aiutata».

Riflette anche sulla percezione del tempo e dell’età in Italia: «A trent’anni potresti iniziare da capo, ma vieni considerata già vecchia. Mentre presentatori cinquantenni vengono definiti giovani». Un controsenso culturale che pesa, soprattutto sulle donne.

Francesca confessa di essere piena di dubbi: «Ne ho almeno uno al mese. Ma come mi ha detto uno psicologo: i grandi filosofi credono nel dubbio, gli stolti nella certezza». E anche nella musica, sostiene, non bisogna credere troppo al mito della spontaneità. «È un lavoro di artigianato. Servono pazienza e continuità».

Oggi casa, per Francesca, è dove c’è la natura. È un’idea più che un luogo fisico. La creatività, invece, nasce dal dialogo, dalla curiosità, dall’empatia.

«La musica deve essere libera, ma ci sono parole che vanno evitate se usate in modo offensivo. Io, ad esempio, non ho mai detto la n-word. Il rispetto viene prima».

«Oggi mi sento diversa, eppure sempre la stessa. Sto recuperando la mia parte bambina». E se la musica è davvero di chi ci si rivede, allora “Francesca” non è solo un singolo: è un abbraccio collettivo tra artista e pubblico.

Un regalo? «Il mio piano a coda, comprato con i soldi della musica. È come se si fosse chiuso un cerchio».

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