Intervista a Fiorella Mannoia che nell’estate 2026 tornerà sul palco con “Fiorella canta Fabrizio e Ivano: Anime Salve”, un tour-evento che celebra i 30 anni del capolavoro di Fabrizio De André e Ivano Fossati. Qui il calendario e Qui il link per l’acquisto dei biglietti.
Un progetto unico che intreccia memoria, contemporaneità e un profondo senso di responsabilità artistica. La cantante reinterpreta i brani dell’album Anime Salve, insieme a canzoni dei due autori che hanno segnato il suo percorso umano e musicale. Un viaggio emotivo che unisce poesia, impegno e rilettura del cantautorato italiano. Con tappe in tutta Italia, il tour rappresenta un nuovo capitolo nella carriera di Fiorella, fatto di sfide, libertà espressiva e nuove interpretazioni.
Intervista a Fiorella Mannoia
Fiorella, nel disco “Anime Salve” emerge chiaramente la complementarità tra De André e Fossati. Quali sono, per te, i punti d’incontro tra la tua idea di musica e la loro?
Fabrizio era un po’ più grande di noi, ma con Ivano siamo coetanei. Abbiamo vissuto lo stesso periodo storico, gli stessi cambiamenti, e apparteniamo alla generazione in cui la canzone d’autore aveva un certo peso e una certa forma. È questo che ci accomuna davvero. Ho sempre cantato i brani di Fabrizio e soprattutto quelli di Ivano, molte delle quali scritte proprio per me. Per me entrare nel loro mondo è come nuotare nel mio mare: ci appartengo per anagrafe, per formazione musicale e anche per visione del mondo. Direi che siamo legati da quelle che si potrebbero definire “affinità elettive”.
Riascoltandolo oggi, “Anime Salve” colpisce per la sua grande contemporaneità. Cosa hai provato nel riscoprirlo a trent’anni dalla sua uscita?
Mi sono resa conto quasi per caso che quest’anno ricorrevano i trent’anni dell’album. E riascoltandolo, ancora una volta, sono rimasta colpita dalla sua attualità disarmante. Quelle canzoni sembrano scritte oggi. Riportarle su un palco non è soltanto un piacere, ma anche un dovere. Se attraverso la mia voce un giovane si incuriosisce, si fa delle domande, riflette sulle storie raccontate da quei testi… allora significa che ho fatto la mia parte.
Tra i brani più iconici c’è “Princesa”, già allora un pezzo di enorme rottura. Che cosa rappresenta per te?
È una storia vera, quella di un ragazzo brasiliano che non si sentiva nel corpo che aveva. Racconta un percorso fisico e psicologico durissimo, di sofferenza e di solitudine. Trent’anni fa nessuno parlava di certi temi, o lo si faceva con superficialità. Oggi forse abbiamo più parole, ma ancora troppi pregiudizi. “Princesa” ci ricorda che prima di giudicare bisognerebbe — come dicevano gli indiani — camminare nei mocassini dell’altro. È una canzone dirompente oggi, figurarsi allora.
Nel tour canterai anche “Khorakhané”, brano che avevi inciso nel 2013 insieme a Dori Ghezzi. Che ricordo hai di quell’esperienza?
Ho insistito tantissimo perché Dori non voleva più cantare, non per me, ma perché diceva che era tanto che non lo faceva. Alla fine l’ho convinta e per me è stato un regalo immenso, una vera benedizione. Anche per questo progetto l’abbiamo contattata, insieme a Ivano, per raccontare cosa volevamo fare. Tutti e due sono stati felici della mia scelta. Avere il loro consenso morale è fondamentale.
Hai anticipato che non canterai “Ho visto Nina volare”, una scelta che sorprende. Perché questa decisione?
Perché un interprete deve sapere quando può dare valore a un brano e quando rischia di toglierlo. Se senti che un testo non ti appartiene completamente, o che rischieresti di non restituirne il senso profondo, allora è meglio rinunciare. Ci sono canzoni che è giusto lasciare nella voce del loro autore. Non tutto deve essere cantato da tutti.
Nel panorama attuale esiste, secondo te, un autore che si avvicina allo spirito di De André o Fossati?
Autori con quella statura non nascono tutti i giorni. Però qualcuno che prosegue la strada della canzone d’autore c’è: penso a Vinicio Capossela, o a Brunori Sas. È già una conquista che ci sia ancora chi porta avanti quel tipo di scrittura.
Sei reduce da tour molto diversi tra loro: in duo con Danilo Rea, con un’orchestra sinfonica… Cosa ti rende più orgogliosa del tuo percorso di questi anni?
Ho sempre cercato di variare. Dopo cinquant’anni di carriera avrei potuto ripetermi, ma non mi interessa. Due anni fa ho fatto una tournée solo con Danilo Rea: eravamo in due, un rischio enorme per chi è abituato alle grandi band, ma è stato un successo. Poi l’anno dopo ho fatto l’opposto: una tournée sinfonica con brani completamente riarrangiati. Anche quello era un rischio, perché il pubblico si affeziona alle versioni originali. E invece abbiamo fatto 115 concerti tutti esauriti. Io amo le sfide. Questa, su De André e Fossati, è una delle più grandi.
Qual è il prezzo di questa libertà artistica che ti prendi ogni volta?
Non c’è nessun prezzo da pagare, solo gioia. Dopo cinquant’anni vedere ancora i teatri pieni è un privilegio. Mi sento una donna fortunata. La gratitudine è l’unico sentimento che conta.

Speaker radiofonico, musicista e collaboratore di diverse testate nazionali e internazionali. Segue come inviato il Festival di Sanremo dal 1999 e l’Eurovision Song Contest dal 2014 oltre a numerose altre manifestazioni musicali. In vent’anni ha realizzato oltre 8.000 interviste con personaggi del mondo della musica, dello sport e dello spettacolo. Nel 2020 ha pubblicato il romanzo “La Festa di Don Martello”, nel 2022 “Galeotto fu il chinotto” e “Al primo colpo non cade la quercia” e nel 2205 “Ride bene chi ride ultimo”
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