Intervista a Gianni Togni, realizzata in occasione della pubblicazione della versione remix 2025 dello storico album “…e in quel momento, entrando in un teatro vuoto, un pomeriggio vestito di bianco, mi tolgo la giacca, accendo le luci e sul palco m’invento”.
A 45 anni dalla sua prima pubblicazione, è uscito venerdì 10 ottobre 2025, per Warner Music una speciale edizione celebrativa completamente restaurata dell’intero disco che ha consacrato Gianni Togni al grande pubblico, che contiene i brani remixati e rimasterizzati dai nastri originali: “Maggie”, “Luna”, “Una mia canzone”, “Chissà se mi ritroverai”, “È bello capirci (senza essere uguali)”, “Giardini in una tazza di tè”, “Pomeriggio maledetto” e “Voglia di cantare”.
Intervista a Gianni Togni, la nuova versione dell’ album “…e in quel momento, entrando in un teatro vuoto, un pomeriggio vestito di bianco, mi tolgo la giacca, accendo le luci e sul palco m’invento”
Ciao Gianni, come è nato il desiderio di riportare alla luce questo disco a 45 anni di distanza?
In realtà non sono una persona che guarda molto al passato. Cerco sempre di andare avanti, di pensare a cose nuove. Però questo progetto mi ha permesso di imparare qualcosa di completamente diverso. Sono tornato in studio, ho ripreso i nastri originali e li ho portati nel digitale. Sembra facile, ma non lo è: è un processo complesso, quasi un restauro vero e proprio. Ho rivissuto emozioni e ricordi, ma soprattutto ho cercato di ridare al disco un’anima nuova, mettendo in evidenza colori e sfumature che all’epoca erano rimasti un po’ nascosti. Non ho risuonato nulla — sarebbe stato impossibile, perché all’epoca non c’era neanche il click — ma ho voluto far emergere nuovi contrasti e profondità. Pensavo sarebbe stato un lavoro di pochi giorni, e invece si è trasformato in un vero viaggio, affascinante e anche un po’ emozionante.
Negli anni Ottanta la musica italiana viveva una libertà compositiva straordinaria. Ascoltando la versione originale del disco, si percepisce proprio quella voglia di esplorare e di non fermarsi al “compitino”. Ti ritrovi in questa definizione?
Assolutamente sì. Quelli erano anni di enorme diversità musicale. Ascoltavo di tutto, e continuo a farlo ancora oggi — compro tanti vinili, è una passione che non mi ha mai lasciato. Venivamo tutti dal progressive: Genesis, Pink Floyd, King Crimson. Ma c’erano anche i Led Zeppelin, l’hard rock dei Black Sabbath, il pop raffinato dei Supertramp, il folk di Crosby, Stills, Nash & Young. Era un panorama musicale ricchissimo, e tutto conviveva senza barriere. In Italia avevamo artisti come De Gregori, Venditti, Ivan Graziani, e poi i gruppi del prog come il Banco del Mutuo Soccorso o la PFM. C’era un fermento creativo incredibile. Oggi mi sembra che tutto sia un po’ più appiattito: pochi rischiano davvero, e chi lo fa spesso resta una voce isolata. All’epoca invece la sperimentazione era la norma, non l’eccezione.
Nel remix emergono alcune scelte stilistiche particolari, a volte anche controcorrente per l’epoca: penso all’uso dell’orchestra sinfonica o al mandolino accanto a sonorità più rock. Come hai lavorato su questi contrasti?
Sì, già all’epoca avevamo osato molto. L’orchestra sinfonica dava un respiro cinematografico ai brani, mentre in pezzi più ritmati avevamo voluto inserire strumenti come il mandolino, suonato da due musicisti napoletani bravissimi. Poi c’erano le chitarre con suoni molto particolari curate da Roberto Puleo, il basso di Gigi Cappellotto — uno dei migliori bassisti italiani di sempre — e gli arrangiamenti di Maurizio Fabrizio, che arrivava dal mondo di Branduardi e portava con sé una sensibilità più fiabesca, più colta. Questo incrocio di stili ha reso il disco unico e credo sia ciò che ancora oggi lo fa suonare “vivo”.

La voglia di sperimentare sembra essere il filo conduttore di tutta la tua carriera. Hai attraversato generi e decenni, dai brani pop alle produzioni teatrali. Quanto conta per te la curiosità?
È fondamentale. Io non riesco a ripetermi: non mi diverte e non mi rappresenta. Se pensi ai miei successi, nessuno somiglia all’altro: Semplice è diverso da Luna, Vivi è un’altra cosa ancora, poi c’è Per noi innamorati, Giulia, Segui il tuo cuore… ognuna ha un’identità autonoma. Anche negli anni Ottanta avevo inserito elementi rap, quando ancora non era consueto. Poi c’è stato Bersaglio mobile, registrato con musicisti inglesi — un cambiamento radicale. Non cerco mai la formula, ma l’idea. Ogni disco nasce da un concetto di base: da lì scrivo i testi, le musiche, tutto. Se non c’è quell’idea, non parto neanche. Non mi piace scrivere solo per riempire uno spazio.
Parlando del disco del 1980, il titolo è diventato quasi leggendario: “…e in quel momento, entrando in un teatro vuoto, un pomeriggio vestito di bianco, mi tolgo la giacca, accendo le luci e sul palco m’invento”. Com’è nato?
È una storia curiosa! Il produttore, Giancarlo Lucariello, voleva chiamarlo Debutto. Ma a Roma “debutto” fa subito sorridere, perché il gioco di parole “de sotto” era inevitabile (ride). Allora decise di cercare un titolo alternativo. Io e Guido Morra eravamo in macchina, andando negli uffici della CGD a Roma, e continuavamo a buttar giù frasi che ci venivano in mente, tutte legate alle foto già scattate in teatro per la copertina. “In quel momento, entrando in un teatro vuoto…”, “un pomeriggio vestito di bianco…”, “mi tolgo la giacca, accendo le luci…”, “e sul palco m’invento…”. Non riuscivamo a scegliere, e alla fine Giancarlo ci disse: “Sapete che vi dico? Mettiamole tutte!”. E così nacque il titolo più lungo della mia carriera — ma anche uno dei più amati, perché rappresenta bene la teatralità e la libertà di quel periodo.

L’aspetto visual è sempre stato importante nel tuo lavoro. Questa riedizione include anche un booklet speciale, con foto d’epoca. Ce ne parli?
Sì, ci tenevo molto. Le fotografie sono state scattate da mio fratello, Piero Togni, che è stato un grande fotografo negli anni Settanta, Ottanta e Novanta. Ha lavorato con artisti come David Bowie, i Rolling Stones, King Crimson, Bennato, Gaetano… davvero un percorso straordinario. Per questo progetto ha ritrovato centinaia di diapositive perfettamente conservate, provenienti da servizi fotografici dell’epoca. Quelle della copertina originale purtroppo non le abbiamo più — erano finite direttamente alla CGD — ma le altre sono rimaste nel suo archivio personale. Le abbiamo digitalizzate e restaurate: il risultato è un booklet a colori molto curato, che accompagna idealmente l’ascolto del disco, restituendo lo spirito di quegli anni.
Riascoltando oggi questo lavoro, dopo quasi mezzo secolo, che effetto ti fa? Ti emoziona ancora?
Tantissimo. È come guardare una vecchia pellicola e scoprire nuovi dettagli che non avevi mai notato. Mi sono emozionato riascoltando certi suoni, certe imperfezioni che oggi sarebbero impossibili da replicare. È un disco che parla di libertà, di ricerca, e anche di un modo di fare musica più artigianale, più umano. Non volevo snaturarlo, ma solo restituirgli quella luce che meritava. Se chi lo ascolterà oggi proverà la stessa sensazione, allora avrò raggiunto il mio obiettivo.
A proposito di libertà: se dovessi definire oggi la tua idea di musica, dopo tanti anni di carriera, quale sarebbe?
Direi proprio la libertà. Libertà di non seguire tendenze, di non uniformarsi. La musica per me è sempre stata un modo per conoscermi meglio, per raccontare emozioni in modo autentico. Non mi interessa fare qualcosa “che funziona”: mi interessa fare qualcosa che mi rappresenti. Finché avrò questa curiosità, continuerò a scrivere, a sperimentare, a cercare.
Chiudiamo con una domanda sul futuro: dopo questo progetto, hai già in mente nuovi passi?
Sì, io non mi fermo mai. Sto lavorando a nuove canzoni, e naturalmente continuo con i live — perché il palco resta il luogo dove tutto nasce e tutto ritorna. Come dico sempre: sul palco ci si inventa ogni volta da capo. Ed è lì che mi sento davvero vivo.

Speaker radiofonico, musicista e collaboratore di diverse testate nazionali e internazionali. Segue come inviato il Festival di Sanremo dal 1999 e l’Eurovision Song Contest dal 2014 oltre a numerose altre manifestazioni musicali. In vent’anni ha realizzato oltre 8.000 interviste con personaggi del mondo della musica, dello sport e dello spettacolo. Nel 2020 ha pubblicato il romanzo “La Festa di Don Martello” e nel 2022 “Galeotto fu il chinotto” e “Al primo colpo non cade la quercia”.
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