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È tornato con un inno all’ozio, alla leggerezza e al diritto al piacere: Johnson Righeira è in radio e in digitale con Chi troppo lavora (non fa l’amore), nuovo singolo prodotto con Albi e Carota de Lo Stato Sociale ed Edo Castroni, tra synth anni ’80 e spirito libertario. Il brano, già accompagnato da un lyric video su YouTube, profuma d’estate e cocktail al tramonto. Con la sua solita ironia, Johnson Righeira ci racconta il nuovo progetto, tra ricordi, provocazioni e la voglia di “non prendersi troppo sul serio”.

Intervista a Johnson Righeira, ‘Chi troppo lavora non fa l’amore’

Johnson, partiamo dal presente: è uscito il tuo nuovo singolo, “Chi troppo lavora non fa l’amore”. Un brano potente, ironico e molto nelle tue corde. Com’è nato?

“Chi troppo lavora non fa l’amore” è un brano a cui sono molto legato. È la prima volta, dopo tanti anni, che sento davvero di avere tra le mani una canzone capace di proseguire la tradizione righeiriana in modo autentico ma anche attuale. Ha un’energia forte, una melodia che si incolla e un’ironia di fondo che è sempre stata il mio marchio di fabbrica. Dal vivo funziona alla grande: la gente si diverte, la canta, la balla. E questo mi fa pensare che siamo sulla strada giusta.

Eppure, hai parlato di difficoltà a far circolare il brano attraverso i canali tradizionali. Perché secondo te c’è questa chiusura?

Purtroppo noto che, nonostante oggi ci siano molti più mezzi rispetto al passato — social, piattaforme, streaming — è diventato quasi più complicato farsi ascoltare. Le radio, soprattutto i grandi network, tendono a puntare sempre sugli stessi artisti, sugli stessi suoni. C’è una sorta di “burro sonoro” che appiattisce tutto. Non vedo il coraggio di osare, di uscire dagli schemi. E questo è un peccato, perché la musica è fatta anche per sorprendere. Oggi manca la figura del direttore artistico visionario che scommette su un pezzo perché lo sente potente, anche se fuori dagli standard.

Eppure l’estetica anni ’80, che questo brano riprende, è ancora fortissima nell’immaginario collettivo. Penso a successi recenti come quelli dei The Kolors.

Esatto. Gli anni ’80 continuano a influenzare molto della musica attuale, spesso anche in modo inconsapevole. Il punto è che la citazione estetica è diventata di moda, ma manca la sostanza, quel mix di leggerezza e contenuto, di melodia e ironia. Il nostro brano non è una semplice strizzata d’occhio nostalgica: è un aggiornamento coerente di quel mondo, è pop consapevole. E sì, mi piacerebbe che più persone potessero ascoltarlo anche attraverso le radio, non solo nei live.

Parliamo della genesi del brano. Com’è nata la collaborazione con Albi e Carota de Lo Stato Sociale?

Tutto è nato dal palco dell’Ariston. Quando i Coma_Cose mi hanno voluto con loro a Sanremo per “L’estate sta finendo”, si è innescato un piccolo effetto domino. Quell’incontro è stato il primo passo verso nuove connessioni. Avevo da tempo il desiderio di confrontarmi con una nuova generazione di musicisti che, pur venendo dopo di me, avesse un’attitudine simile: quella curiosità per il pop, ma con radici nell’underground. È quello che ho trovato nei Coma_Cose e anche in Albi. Non ho mai sentito una vera distanza anagrafica tra noi: c’era intesa, dialogo, stima reciproca. Così è nato questo pezzo. E con i Coma_Cose nascerà qualcosa in futuro… probabilmente un brano inedito.

Il tuo ritorno sembra coincidere con una maggiore apertura da parte del pubblico. Penso, ad esempio, alla tua partecipazione al Premio Tenco o al Concerto del Primo Maggio.

Sì, sono stati momenti bellissimi. Il Premio Tenco, in particolare, è un’esperienza molto intima, quasi spirituale, in un momento riservato agli addetti ai lavori. Pensavo di non centrare nulla lì dentro, ma mi sono ricreduto. Lì ho sentito un affetto genuino, mi sono commosso. Anche questo mi ha fatto capire che forse era il momento di riprendere il filo del discorso. Il pubblico è pronto, forse più delle istituzioni musicali. Ho percepito la voglia di riabbracciare certe sonorità e certe visioni artistiche. Questo mi ha dato ulteriore slancio.

Hai citato Sanremo. “L’estate sta finendo” è stata riarrangiata per l’occasione da Enrico Melozzi. Che lavoro è stato fatto sulla canzone?

Straordinario. Melozzi ha realizzato un arrangiamento orchestrale che mi ha letteralmente emozionato. Quando l’ho sentito per la prima volta, durante le prove, mi sono commosso. Ha saputo attualizzare il brano senza snaturarlo, aggiungendo un tocco sinfonico elegante e potente. Tanto che oggi, dal vivo, propongo quella versione esatta, con le sequenze orchestrali registrate. Era talmente bella che non potevo non rifarla. È raro riuscire a rinnovare un pezzo così iconico senza deludere il pubblico: in questo caso è stato un successo.

“Chi troppo lavora non fa l’amore” segna un nuovo inizio. Ma ha anche una carica ironica evidente. Quanto conta per te l’ironia nella musica?

È sempre stata centrale. L’ironia è un’arma potente, dissacrante, intelligente. I Righeira l’hanno sempre usata per raccontare la realtà in modo leggero, ma mai banale. L’ho ereditata dai miei riferimenti: gli Skiantos, ad esempio, che ho sempre ammirato. Freak Antoni diceva che in Italia non c’è gusto a essere intelligenti: un’amara verità. L’arte degli Skiantos non ha mai ricevuto il giusto riconoscimento. E lo stesso vale per i Krisma, che per me restano tra i più grandi gruppi di pop elettronico di sempre, non solo in Italia. Riprendere questo spirito oggi è anche un atto politico, se vogliamo.

Senti che ci sia ancora spazio per una visione musicale diversa, che non segua per forza i binari del mainstream?

Credo di sì. Forse siamo arrivati a un punto in cui il pubblico sente il bisogno di qualcosa di diverso, di un cambio di rotta. Se posso essere parte di quel cambiamento, ben venga. Io ci provo, continuo a lottare. E lo faccio con lo stesso spirito di sempre, ma con nuove alleanze, nuove energie. Non ho nostalgia del passato: guardo avanti. Da buon futurista marinettiano, preferisco immaginare ciò che verrà piuttosto che ripetere ciò che è stato.

E allora ti auguro di cuore che “Chi troppo lavora non fa l’amore” abbia il successo che merita. La tua musica ha ancora molto da dire.

Continuiamo a portare avanti questa voglia di fare musica, con ironia e passione. È l’unica strada possibile.

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