Massimo Di Cataldo

Intervista a Massimo Di Cataldo che, in attesa di tornare in tour per celebrare 30 anni di carriera, torna con il nuovo singolo Uno come me. Un brano che fa il punto sul suo percorso umano e artistico.

Il cantautore è, poi, pronto a salire nuovamente sul palco con il Celebration Tour 1996–2026, dedicato ai trent’anni di Se adesso te ne vai. Qui il calendario e Qui il link per l’acquisto dei biglietti.

In questa intervista, il cantautore ripercorre la sua storia, riflette sul senso della canzone oggi, sulla libertà artistica e sul valore del tempo, tra memoria e futuro.

Intervista a Massimo Di Cataldo, il nuovo singolo “Uno come me” e il Celebration Tour 1996–2026

“Uno come me” arriva in un momento speciale della tua carriera. Che significato ha questo singolo nel tuo percorso artistico?
È un momento particolare, perché questa canzone mi permette di fare un punto della situazione. Non solo dal punto di vista artistico, ma anche personale e, in qualche modo, storico. “Uno come me” nasce da una riflessione profonda su chi sono oggi, su ciò che sono stato e sul contesto in cui viviamo. È una canzone che parla di confronto, di identità, di ricerca.

Nel brano emerge una tensione costante tra sentimento e razionalità. Come è cambiato il tuo modo di raccontare questo dualismo nel tempo?
La mia forma di espressione resta la musica. Mi affido ancora agli strumenti, anche quelli più semplici, come la chitarra. Il linguaggio è diventato il mio linguaggio, riconoscibile, e la canzone per me resta una forma di comunicazione privilegiata. Ho capito che attraverso una canzone si possono veicolare anche messaggi importanti: non è solo intrattenimento. Con “Uno come me” cerco una connessione vera con chi ascolta.

C’è uno sguardo al passato, ma anche molta fiducia nel futuro. Da dove nasce questo ottimismo?
Oggi abbiamo mezzi e possibilità che un tempo erano impensabili. Registrare dischi con questa qualità, utilizzare strumenti tecnologici così avanzati, comunicare attraverso i social: tutto questo è straordinario. Mi sento fortunato ad aver fatto la gavetta, lo studio, per arrivare ora a utilizzare questi mezzi con consapevolezza. Il futuro lo vedo in modo positivo, dipende sempre dal punto di vista: io cerco di trarre il meglio dagli strumenti che abbiamo.

“Uno come me” è anche un brano ricco di citazioni e riferimenti musicali. Quali sono i tuoi punti di riferimento?
I miei riferimenti sono molto ampi. Amo attingere ai grandi capolavori del passato. A livello di testi mi sento vicino a certi concetti della beat generation, alla ricerca di sé, al perdersi per ritrovarsi. Musicalmente vengo dal pop, dal rock e dal folk degli anni ’70 e ’80. Penso a brani come I Still Haven’t Found What I’m Looking For degli U2: canzoni che ancora oggi mi emozionano e mi ricordano che la ricerca passa sempre dal rapporto con gli altri.

Il 2026 segnerà i 30 anni di “Se adesso te ne vai”. Che effetto ti fa ripensare agli inizi della tua carriera?
È un viaggio bellissimo. All’inizio portavo cassette ovunque, alle case discografiche, ai produttori, a quelli che per me erano maestri. Poi Castrocaro nel 1993, Sanremo Giovani, fino all’arrivo nei Big nel 1996. Ci sono voluti anni di lavoro intenso e testardo. “Se adesso te ne vai” è ancora oggi un punto fermo: è una canzone che ha viaggiato nel mondo ed è rimasta giovane.

Il Celebration Tour 1996–2026 cosa rappresenta per te?
È un modo per celebrare 30 anni di emozioni insieme al pubblico. Cantare queste canzoni con la gente è sempre una grande emozione. In scaletta c’è un vero percorso: dalle origini fino a “Uno come me”. È importante condividere tutto questo con chi mi ha dato la possibilità di fare questo lavoro con dignità per così tanto tempo.

Nel corso della tua carriera hai affrontato spesso temi profondi e non sempre “comodi”. Oggi è ancora possibile farlo nel mainstream?
È possibile, ma sicuramente più difficile. Oggi domina l’intrattenimento leggero, che non è un male in sé. Però la musica con dei concetti spesso viene messa da parte, come se far pensare fosse un rischio. Io credo invece che chi scrive e canta le proprie canzoni abbia una piccola responsabilità: non competere a tutti i costi con le classifiche, ma cercare di lasciare qualcosa che resti.

Pensi di aver pagato un prezzo per questa libertà artistica?
Forse sì, in termini di visibilità. Ma traccio un bilancio positivo. Altri hanno scelto strade più facili e più commerciali, io ho seguito la mia natura. Non ho mai vissuto la musica come una competizione. Credo che sia il tempo a determinare il valore di un brano e di un artista.

“Machissenefrega” è stato un disco di svolta, anche molto coraggioso. Che posto occupa oggi nella tua storia?
È un album diretto, crudo, che ho potuto realizzare solo da indipendente.

30 anni fa, invece, è uscito “Anime”, un disco che tornerà a vivere nel 2026.
E’ un disco che contiene brani molto diversi tra loro, da “Se adesso te ne vai” ad “Anime”, ma anche canzoni più intime e profonde, come “Con il cuore”. Compie 30 anni e verrà ristampato per la prima volta in vinile: per me, che amo questo formato, è una grande soddisfazione.

Nel tour ci sarà spazio anche per raccontare aneddoti e retroscena?
Assolutamente sì. In scaletta ci sono brani come “Scusa se ti chiamo amore”, ma anche altri che hanno segnato il mio percorso. Mi piace raccontare il contesto in cui le canzoni sono nate, il backstage, il mondo discografico di quegli anni, con ironia e rispetto. Tra una canzone e l’altra ci saranno questi racconti: fanno parte dello spettacolo e della mia storia.

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