Metteo Bocelli

Intervista a Matteo Bocelli che, dopo aver lanciato la rivisitazione in italiano e spagnolo de La mia storia tra le dita con Gianluca Grignani, pubblica l’album Falling in love. Qui il link per l’acquisto di una copia fisica.

Falling in love è un progetto autobiografico, ricco al tempo stesso di romanticismo e vulnerabilità, con brani passionali e ballate pop. Ogni traccia combina la potenza della tradizione classica con il racconto moderno, grazie al lavoro di scrittura fatto in prima linea da Matteo stesso, che ha co-scritto tutte le canzoni con autori di fama nazionale e internazionale.

Qui la tracklist.

  1. To Get to Love You
  2. Falling in Love
  3. Mi Historia (feat. Gianluca Grignani)
  4. Love Like This 
  5. Loving You 
  6. Glimpse of Happiness
  7. Naive
  8. If I Can’t Have You
  9. Amnesia D’Amore
  10. Angel in Disguise
  11. Caruso

Intervista a Matteo Bocelli, il nuovo album “Falling in love”

Matteo, “Falling In Love” è il tuo secondo album. In che modo rappresenta una nuova fase della tua carriera?
Questo secondo disco segna per me una svolta importante. Se con il primo album ho dovuto fare i conti con le limitazioni del periodo Covid, che hanno reso difficile vivere l’esperienza in studio in modo collettivo, con Falling In Love ho finalmente potuto lavorare come avevo sempre sognato: insieme ai musicisti, in uno studio costruito appositamente a casa mia, con il produttore sempre al mio fianco. È stato un processo molto più autentico, in cui le canzoni sono nate suonate dal vivo, con strumenti veri, lontano dalle librerie digitali. Questo ha dato al disco un respiro diverso, più caldo, più vicino a un’esperienza live.

Anche vocalmente si percepisce un approccio nuovo, più intenso. Come hai lavorato sulla tua voce?
La voce è uno strumento che non si smette mai di conoscere. Più si canta, più si esplorano i suoi colori, come un pittore con la tavolozza. In questi anni ho scoperto nuove sfumature, nuove modalità espressive, e ho cercato di metterle al servizio delle canzoni. I live hanno avuto un ruolo fondamentale: negli ultimi due anni e mezzo ho fatto tra i 120 e i 130 concerti. Questa esperienza non solo mi ha dato maggiore sicurezza sul palco, ma ha rappresentato un vero e proprio allenamento tecnico, insegnandomi a usare meglio la mia voce. Tutto questo si riflette inevitabilmente nel nuovo album.

Hai scritto tutti i brani originali collaborando con autori internazionali e italiani. Qual è la differenza principale in questi due mondi?
In realtà, devo dire che le esperienze non sono così diverse. Per me è fondamentale arrivare sempre a un incontro con un’idea musicale e di testo chiara, perché solo così il brano può nascere autentico e personale. La collaborazione, sia con un autore italiano che internazionale, è un arricchimento: ti aiuta a sviluppare la tua idea, a darle una nuova prospettiva. L’importante è che resti sempre fedele a te stesso, al tuo mondo interiore, e che la canzone rispecchi chi sei davvero.

Il disco si apre con To Get To Love You, un brano particolare anche per la citazione musicale che contiene. Perché questa scelta?
È stato un lavoro di squadra: un’idea condivisa con il management e la label, che poi ho sviluppato insieme ad Amy Wadge, una cantautrice straordinaria conosciuta a livello mondiale per le sue collaborazioni con Ed Sheeran. Abbiamo deciso di partire da un tema noto e costruirci attorno un nuovo brano, che rappresentasse al meglio il punto d’incontro tra la modernità di canzoni come Falling In Love e il respiro classico di brani come Caruso. Mi sembrava l’introduzione perfetta al progetto, una sorta di ponte tra passato e presente.

Tra i pezzi più sorprendenti c’è sicuramente La mia storia tra le dita. Come nasce questa tua versione?
Tutto è partito a febbraio 2024, quando ho partecipato come ospite al Festival di Viña del Mar in Cile. Lì ho ricevuto un’accoglienza straordinaria, che mi ha spinto a pensare a un brano da dedicare specificamente a quel pubblico. Pochi mesi dopo, durante un concerto al Movistar Arena di Santiago del Cile, ho cantato per la prima volta La mia storia tra le dita e ho capito che quella canzone doveva far parte del mio album.

Così l’abbiamo registrata e ho girato anche un videoclip. Senza obbligo, ma per rispetto, ho voluto far sapere a Gianluca Grignani della mia versione. In meno di 24 ore non solo mi ha dato la sua approvazione entusiasta, ma ha anche voluto partecipare incidendo una parte vocale. È stata una sorpresa bellissima.

In molti hanno definito la vostra una “strana coppia”. Cosa vi unisce artisticamente?
Credo che il nostro punto d’incontro sia la sensibilità. Quando si affronta una cover di un grande successo, bisogna farlo solo se la si sente profondamente, altrimenti non funziona. La mia storia tra le dita è un evergreen che continua a essere trasmesso dalle radio in Italia e all’estero, e io ho voluto rendergli omaggio con sincerità. Con il mio produttore Martin Terefe abbiamo cercato di farlo nostro, dandogli una veste nuova ma sempre rispettosa. L’autenticità e l’onestà emotiva sono state le chiavi vincenti.

Hai interpretato “Caruso”, un brano complesso e amatissimo. Non era facile affrontarlo senza cadere nel confronto con l’originale, ma la tua sembra più una reinterpretazione che una semplice cover. Come ci sei riuscito?
Vale lo stesso discorso fatto per La mia storia tra le dita: l’unica strada è quella dell’autenticità. Confrontarsi con un classico di questo calibro significa camminare su un terreno delicato, ma io ho sentito profondamente questo brano e ho voluto farlo mio. Alla fine, è sempre il pubblico a decidere: oggi Caruso è il pezzo con cui chiudo i miei concerti ed è quello che immancabilmente fa alzare in piedi tutti. Certo, la versione originale resta insuperabile, ma per me è motivo di grande gioia sapere di essere riuscito, nel mio piccolo, a emozionare le persone con la mia versione.

Nel disco c’è anche Glimpse of Happiness, un brano che sembra un omaggio autentico alla tua terra e alla natura. Cosa rappresenta per te?
Questo brano nasce dal mio amore per la natura che mi circonda e, allo stesso tempo, riflette il mio modo di intendere la felicità. Io credo che la felicità non sia una condizione costante, ma piuttosto un insieme di momenti fugaci, di attimi che non si pianificano. È per questo che faccio sempre una distinzione tra felicità e serenità: la felicità arriva a tratti, la serenità invece è una conquista quotidiana, uno stato di pace con sé stessi e con ciò che ci circonda. Glimpse of Happiness parla esattamente di questo equilibrio e delle mie radici.

A proposito di radici, la foto della copertina del disco è stata scattata a Positano. Una scelta che ha un forte valore simbolico?
Sì, assolutamente. Abbiamo scelto Positano perché rappresenta al meglio l’immaginario legato a questo progetto. L’Italia è parte integrante della mia identità artistica e quella cornice mi è sembrata perfetta per esprimere l’anima del disco. Poi, ovviamente, la cosa più importante resta sempre il contenuto musicale, e spero che arrivi al cuore delle persone.

Hai cantato e canti in diverse lingue. In quale ti senti più a tuo agio artisticamente?
L’italiano resta la mia lingua madre ed è quella con cui mi sento naturalmente più a mio agio. Ma allo stesso tempo l’inglese ha sempre fatto parte della mia vita: sono cresciuto ascoltando tanta musica internazionale, in casa avevo esempi importanti che mi hanno abituato a cantare anche in altre lingue. Così l’inglese è diventato naturale per me, e in alcuni casi anche lo spagnolo. Ognuna di queste lingue mi permette di esplorare sfumature diverse del mio modo di esprimermi.

Quest’autunno partirai con il Falling In Love World Tour, che ti porterà negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Cosa ti colpisce maggiormente del pubblico americano e di quello anglosassone?
Ogni pubblico ha caratteristiche uniche. Quello americano mi colpisce sempre per l’entusiasmo: partecipano a un concerto con un’energia incredibile, a prescindere dalle circostanze. Hanno un approccio molto leggero, ma in senso positivo, e questo li rende uno dei pubblici più calorosi che abbia mai incontrato.
Il pubblico anglosassone, invece, porta con sé una storia musicale immensa, e questo si percepisce. Cantare in luoghi come Londra, Manchester o Birmingham significa sentire sulle spalle una grande responsabilità, perché si entra in un contesto che ha fatto la storia della musica mondiale. È un onore e allo stesso tempo una sfida, ma non vedo l’ora di tornare e lasciare un bel ricordo.

Un luogo a cui sei legato è il Teatro del Silenzio, dove ti sei esibito da headliner e hai portato con te anche Gianluca. Che esperienza è stata?
Il Teatro del Silenzio è un posto unico al mondo. Vive solo pochi giorni all’anno e per il resto del tempo resta immerso nel silenzio, da cui prende il nome. Esibirsi lì, dove principalmente canta mio padre, è stato un momento indimenticabile. Portare sul palco anche Gianluca è stato emozionante: sono cresciuto con la sua musica e condividere quel momento con lui ha avuto un valore enorme per me. Ricordo che, alla fine dell’esibizione, ho sentito l’impulso sincero di abbracciarlo: era un gesto naturale, dettato dall’emozione. Quando sul palco si vive questa combinazione di divertimento ed emozione autentica, credo che si realizzi il vero senso della musica: la condivisione. Ed è proprio lì che si vince davvero.

Matteo Bocelli il 21 luglio 2026 sarà in concerto al Teatro del Silenzio di Lajatico.

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