Intervista al cantautore Paolo Benvegnù, che lo scorso 12 gennaio ha pubblicato l’album È inutile parlare d’amore, che contiene due speciali collaborazioni con Brunori SAS e Neri Marcorè.
Intervista a Paolo Benvegnù
Cosa rappresenta per te questo “E’ inutile parlare d’amore”? Un disco veramente molto curioso dal punto di vista musicale e testuale.
In tutta franchezza è proprio un altrove; ormai sono arrivato al punto in cui lo spazio e il tempo sono relativi per me. Semplicemente è un disco che parla dell’altrove, di come affrontare la realtà anche vedendo le realtà adiacenti alla realtà che noi vediamo normalmente. Come se noi vedessimo soltanto una prospettiva delle cose, e io invito a guardare altro. Ecco, semplicemente quello.
Hai definito il progetto come “un romanzo di formazione oppure anche la sceneggiatura di un film che nessuno girerà”. Perché?
Un film che nessuno girerà perché non ci sono proprio i soldi per farlo. Mai avuto soldi in vita mia. Ma al di là di quello, è per me davvero un romanzo di formazione. È come se fosse un racconto dove si parla di un film, dove si muovono dei personaggi all’interno di quello che è la realtà, ma che questa realtà non è una realtà aumentata, come si dice adesso, è per certi versi una realtà diminuita. Quello che vediamo noi è una realtà diminuita rispetto a quello che potremmo sentire in quanto esseri umani. Perciò se tutto si muove nell’ottica del pragmatismo e dell’utilità, noi ci perdiamo delle parti. C’è una realtà diminuita, è l’unico disco di realtà diminuita che esista.
Quali sono i punti di incontro con il tuo Ep del 2023 “Solo Fiori”?
Sì, c’è un continuum di narrazione. Il regista, come diceva Fellini, scrive sempre lo stesso film. Sono progetti strettamente legati, perché la scrittura è dello stesso periodo. Ad aprile è uscito un progetto che definisco come una selezione di racconti, che sono attinenti al romanzo che è uscito adesso, che è questo disco. Vorrei creare anche una postfazione finale. Non tanto per trarre un sunto, ma per andare musicalmente verso un altrove che mi immagino.
Nel tempo, com’è cambiato anche il tuo modo di scrivere e descrivere l’amore in musica?
E’ cambiato nel senso che ho un po’ affinato, ho un po’ capito che la vita ci pone sempre davanti ad un miracolo continuo. E mai come in questo momento devo dire che secondo me l’amore è un atto di sovversione. Amare senza l’utilità, cioè amare fuori da ogni limite, è qualcosa di veramente sovversivo. È ormai tutto legato alla nostra relazione rispetto alle cose. L’amore scombina tutto questo, è proprio l’unico atto di libertà possibile in un mondo sempre più controllato dalla tecnologia. E perciò mi sa che è l’unica realtà che mi interessa in questo momento.
Una volta si diceva che esistono canzoni che da sole valgono l’acquisto del disco. Io ho selezionato per esempio “Pescatori di Perle”, che trovo, come dire, un vero e proprio gioiello.
È una canzone molto semplice. L’idea era di scrivere quel poco che ho capito riguardo alla relazione con l’altro. La ricerca che ognuno di noi fa se non è interpolato all’altro. E perciò è tutto legato alla volontà di cercare di trovare una relazione vera con l’alterità. Questo se lo metti tra uomo e uomo per certi versi è più semplice, ma se lo metti tra l’uomo e il pianeta è un po’ più difficile. Io spero tanto che ci siano dei Pescatori di Perle che spieghino ai petrolieri che forse magari esagerare potrebbe far del male a tutti.
Invece c’è anche una provocazione legata a “Canzoni brutte”. Qual è il messaggio della canzone?
Mi sono sempre domandato come fare a sbarcare il lunario, come dice la prima strofa, e ho scoperto che se al posto di mettere tutte le energie nel cercare di trasformare un’idea in materia, metto soltanto quelle relative alla volontà di essere seduttivo, se faccio questo tipo di lavoro scrivo soltanto Canzoni brutte. E allora l’ho scritto, è un manifesto. Io sono talmente normale che scrivo solo Canzoni brutte quando cerco di sedurre o di rendere partecipe qualcun altro. Allora è meglio che scriva Canzoni per me belle che sono il resto del disco.
Nel 2024 sei pronto anche per tornare in tour. Come saranno strutturati questi live?
L’idea è quella di tracciare un filo rosso di tutte le cose più commoventi che abbiamo fatto negli ultimi vent’anni. Questo non significa che riusciremo a farlo…
A proposito dei live sui social li hai presentati come “un concerto di cellule in riproduzione”. Cosa intendi?
Questo, esattamente questo. Questi brani non hanno niente di così evidente se non la grande volontà di vitalità. Non tanto mia personale, quanto di un gruppo di persone, quanto di una serie di intuizioni. Queste intuizioni sono veramente vitali come le abbiamo percepite noi. Semplicemente le cellule in riproduzione cosa fanno? Si uniscono per dare poi un’informazione alla cellula nuova. Sono consigli di sopravvivenza. Non significa che questi consigli poi vengano accettati. Io penso che l’unica cosa che possiamo fare noi, è avere questo desiderio ed estenderlo. E perciò io spero tanto che ci sia uno scambio di sopravvivenza tra noi e le persone che vengono a dare i concerti.

Speaker radiofonico, musicista e collaboratore di diverse testate nazionali e internazionali. Segue come inviato il Festival di Sanremo dal 1999 e l’Eurovision Song Contest dal 2014 oltre a numerose altre manifestazioni musicali. In vent’anni ha realizzato oltre 8.000 interviste con personaggi del mondo della musica, dello sport e dello spettacolo. Nel 2020 ha pubblicato il romanzo “La Festa di Don Martello” e nel 2022 “Galeotto fu il chinotto” e “Al primo colpo non cade la quercia”.
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