Rino Gaetano

Rino Gaetano, nel nuovo progetto dedicato a E io ci sto, torna a parlare al presente attraverso immagini, parole e visioni rimaste a lungo in sospeso; a raccontarlo è Alessandro Gaetano, nipote del cantautore, coinvolto in prima persona nel videoclip ispirato a uno storyboard inedito scritto da Rino e ritrovato recentemente.

Un omaggio intenso e rispettoso, che unisce memoria e contemporaneità, cinema e musica, restituendo la forza di un messaggio ancora attualissimo. Tra manoscritti riemersi, scelte artistiche precise e una profonda riflessione sul senso di comunità, prende forma un racconto che illumina nuovi aspetti dell’anima di Rino Gaetano. Un dialogo tra passato e presente che continua a parlare alle nuove generazioni.

Intervista ad Alessandro Gaetano

Il nuovo videoclip di E io ci sto” nasce da un manoscritto ritrovato di Rino. Tu sei anche nel cast del progetto di Niccolò Bassetto. Quali sensazioni hai provato nel far parte di un omaggio così particolare?

È stata un’esperienza molto intensa, sia dal punto di vista umano che artistico. Con Sony, ormai da anni, stiamo lavorando per far riscoprire il repertorio di Rino anche attraverso talentuosi e giovani registi. Niccolò Bassetto si è rivelato una persona splendida. Ritrovare questo manoscritto ha permesso a tutti noi – me per primo – di far riemergere un brano che conteneva un messaggio fortissimo: Rino voleva davvero trasmettere un’idea di cambiamento positivo per l’Italia.

Sul set si respirava un’atmosfera bellissima. Era come se il progetto avesse riportato a galla un’energia che Rino aveva lasciato in sospeso.

Il progetto nasce da uno storyboard inedito scritto proprio da Rino. Come lavete ritrovato? E quali sensazioni hai provato sfogliando quelle pagine?

È riemerso mentre preparavamo la prima grande mostra dedicata a Rino, esposta lo scorso anno al Museo di Roma in Trastevere curata da me insieme ad Alessandro Nicosia. Fra il materiale che abbiamo messo a disposizione c’era anche questo storyboard, scritto interamente da lui.

Rino aveva una personalità estremamente curiosa: sono convinto che, se avesse avuto tempo, si sarebbe cimentato anche nella regia. Amava Woody Allen e Maurizio Nichetti, era attratto da un certo tipo di cinema sperimentale. Trovare quelle righe – poche, sette circa – è stato come toccare con mano una intenzione a metà e che meritava di vedere la luce.

Qual è, secondo te, lintuizione più sorprendente di quel vecchio script?

La visione di comunità. L’idea della “congregazione”, dello stare insieme, di un gruppo di ragazzi che si ritrova di fronte a un tramonto a Capri o in piazza nel centro di Roma. È un’immagine fortissima, quasi romantica, che oggi stride con la modernità fatta di telefoni e distrazioni continue.

Forse, proprio per questo, potrebbe insegnare molto ai giovani: combattere l’isolamento e, grazie ai social, tornare alla socialità vera quindi fare un percorso inverso.

Il cartello Sei la tua guerra” è uno dei simboli più forti del video. Cosa significa per te quella frase?

È una frase potentissima. Rino, in quegli anni, attraverso le sue parole, diceva apertamente che esistevano propositi buoni per cambiare l’Italia in senso positivo. E quando afferma “la mia guerra la vincerò, non ci son santi”, sta raccontando il percorso di un ragazzo che lotta per migliorare il proprio Paese. È un messaggio diretto, sincero, senza filtri.

Il videoclip racconta resistenza, solitudine, identità. Quanto pensi che questo linguaggio rappresenti davvero lanima di Rino?

Direi che siamo molto vicini alla sua idea. Ovviamente è un racconto romanzato – era necessario, dato il poco tempo – ma gli spunti provenienti dallo storyboard di Rino ci sono tutti.

Niccolò ha interpretato poeticamente le suggestioni di Rino e ha costruito un immaginario coerente, rispettoso e potente.

La scelta della pellicola ha impreziosito il progetto. Che effetto ti ha fatto vedere il video girato in analogico?

Bellissimo. Appena ho visto la telecamera, ho chiesto subito: “State girando in pellicola?”. Mi ha emozionato, perché anche io ogni tanto scatto in analogico.

Vedere poi il montaggio finale, con quella pasta materica tipica della pellicola, è stato davvero suggestivo.

Parallelamente arriva anche la nuova riedizione di E io ci sto”, album del 1980. Cosa rappresenta questo disco nel percorso di Rino?

Per me rappresenta una svolta. Troppe volte Rino è stato etichettato come il cantante del “non-sense”, un giudizio superficiale. Con E io ci sto lui dice chiaramente: “Ora faccio sul serio”.

È l’album più diretto che abbia mai scritto, il più netto. Le liriche sono voraci, lucide, vere.
Ha dimostrato di avere una capacità narrativa e sociale molto più profonda di quanto fosse riconosciuto all’epoca.

Anche sul piano musicale il disco segna un passaggio importante?

Assolutamente sì. Rino è sempre stato avanguardista nelle sonorità: sitar, strumenti particolari, nacchere, il genere del reggae e dell’elettronica oppure i testi registrati al contrario… c’è una ricerca precisa. In E io ci sto questo aspetto emerge ancora di più.

La cosa affascinante è il suo modo di giocare tra testo e melodia: a volte sono coerenti, altre sembrano contraddirsi, portando l’ascoltatore in direzioni diverse. Questo è uno dei suoi marchi di fabbrica.

La nuova edizione include un inedito: Un film a colori (Jet Set)”. Com’è stato ritrovato e come si inserisce nel progetto?

È stato ritrovato da Sony, che ha potuto riaprire le tracce originali e scoprire una linea vocale rimasta nascosta. È una piccola perla. Noi avevamo già il testo del brano dattiloscritto da Rino ma non immaginavamo che fosse incisa sull’arrangiamento del brano Jet Set.

A un primo ascolto sembra un brano d’amore, ma secondo me ha più livelli di lettura. Parla della vita mondana, potrebbe essere stato scritto anche per una persona in particolare. Rino spesso usava il doppio senso in modo geniale.

Per questo il brano, pur non essendo finito all’epoca, si inserisce alla perfezione nel periodo dell’album.

Ti capita ancora di scoprire dettagli inediti su di lui?

Assolutamente sì. Rino scriveva ovunque: sui giornali, sui ritagli, negli spazi bianchi. Abbiamo centinaia di appunti, manoscritti e registrazioni.

A volte troviamo testi con due versioni completamente diverse. Era immediato, spontaneo: prendeva una notizia sportiva, una politica, una di cronaca… e costruiva un pensiero. Ogni volta è una scoperta.

Rino viene spesso definito fuori dagli schemi”, ma cosa sfugge ancora al grande pubblico?

Sfugge la sua natura anarchica, nel senso più nobile del termine.
Rino non si è mai schierato con nessuno: era per il popolo, per i deboli. Non apparteneva né a un fronte né all’altro, e questo molti ancora non lo colgono.

Nei testi è chiarissimo: il suo sguardo era protettivo verso chi non aveva voce.

Qual è il modo più corretto per tramandare la sua eredità artistica alle nuove generazioni?

Credo che Sony stia facendo molto: videoclip, ristampe, progetti speciali. Ma anche i remix hanno un ruolo, pur non essendo il mio genere.
Se non stravolgono Rino, sono un ponte verso nuovi ascoltatori e nuovi canali.

Come famiglia continuiamo a farlo con diversi progetti:
– la Rino Gaetano Band, voluta da mia madre Anna da sempre e attuatasi dal ’99;
– il Rino Gaetano Day, che porto avanti dal 2011 insieme a mia madre e alla mia compagna.

È uno spazio che unisce musica e sensibilizzazione attraverso tanti temi sociali urgenti. È il modo più naturale e giusto per far viaggiare ancora la sua voce.

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