Angela Baraldi

Dopo il successo dell’anteprima tenutasi ieri, domenica 19 novembre, al Pop Up Cinema Medica 4K di BOLOGNA, alla presenza di oltre 600 spettatori e che ha visto in sala il regista, istituzioni e amici di Lucio Dalla, tra cui Romano Prodi, il Sindaco di Bologna Matteo Lepore, Gianni Morandi, Cesare Cremonini, Biagio Antonacci, Ricky Portera, Angela Baraldi, Tobia Righi, tutta la Famiglia Dalla e Ambrogio Lo Giudice, da oggi, lunedì 20 novembre, arriva al cinema per tre giorni “DALLAMERICARUSO. IL CONCERTO PERDUTO“, il nuovo film evento diretto da WALTER VELTRONI e prodotto da Nexo Digital e Sony Music.

L’elenco delle sale e i biglietti per le proiezioni in programma oggi, lunedì 20, domani, martedì 21, e mercoledì 23 novembre sono disponibili su www.nexodigital.it/dallamericaruso-il-concerto-perduto/.

Intervista ad Angela Baraldi

Angela Baraldi, quanto ci siamo emozionati rivivendo la storia di Caruso e il concerto del Village Gate di New York?

Io tantissimo, perché il concerto non lo vedevo da allora. L’ho visto là al Village Gate solo quella volta. Walter è stato molto gentile a farmi vedere la parte della mia intervista prima che uscisse, ed è per questo che non sono morta del tutto, diciamo…

Il concerto mi ha molto emozionato, sì.

Parlando della prima parte, ti abbiamo visto davvero molto emozionata quando sei rientrata nella stanza dove Lucio concepì Caruso. Quali sensazioni hai provato così tanti anni dopo?

Era un giorno caldissimo, non si respirava proprio. C’era questa atmosfera abbastanza irreale, perché era caldissimo, ma grigio, quindi era un’atmosfera un po’ onirica. L’ambiente, un hotel degli anni ‘20 e ‘30, in più questo lento avvicinarsi alla stanza, insomma, mi ha caricato di emozioni. Quando sono entrata ero un po’ tesa, non so come spiegarti. Il fatto che mi riprendessero in quel momento mi agitava un po’.

Il racconto della nascita di Caruso è un preambolo romantico alla visione di questo concerto perduto e ritrovato.

È vero. Un po’ come le canzoni di Lucio; un preambolo romantico che poi porta alla realtà. Anche se Lucio non aveva mai delle venature sdolcinate, il suo senso di romanticismo era particolare. Poi una cosa che piaceva molto a Lucio era dissacrare quando l’emozione era troppa. Quindi lui chissà cosa avrebbe detto in quel momento. Avrebbe sicuramente detto qualcosa che avrebbe disteso tutti, me per prima. Lui avrebbe fatto una battuta. Quando toccavi certi livelli di drammaticità, lui se ne usciva con qualcosa che distruggeva tutto.

Credo che sia proprio questa la forza di Lucio. Come anche nella canzone, questa leggenda che Lucio riscrive e fa sua, poi omaggiando un gigante. Ma secondo te qual è la forza del testo di questo brano, del racconto creato da Lucio?

Intanto lui ha inventato una storia. Quindi la forza viene dalla sua enorme, grandissima fantasia, che lui ha sempre usato, elaborando la verità, la realtà. Ma non per dire bugie, per esaltare la vita. Cioè lui aveva una visione della vita miracolosa. Lui aveva una partecipazione emotiva nei confronti della gente molto alta. Lui amava la gente e si metteva in un angolo e la guardava. E da quello riusciva a scrivere delle cose. Lucio ha scritto Caruso in pochissimo tempo. E poi soprattutto la cosa che mi ha colpito era la sua sicurezza di stare scrivendo una grandissima canzone.

Al di là di quelle che sono per te le implicazioni personali e emotive, cosa rappresenta Caruso per la storia della musica italiana?

Beh, un incontro tra tradizione e qualcosa di difficilmente definibile, cioè il suo modo moderno di cantare. Lui non cantava come uno che canta lirica, però la canzone sembra scritta per uno che canta lirica, anche se le strofe sono incantabili per il classico cantante lirico. Lucio unisce questi due mondi, cioè il racconto, quasi cinematografico, quasi da sceneggiatore, e il grande ritornello che prende tutti per mano e li porta in posti bellissimi, dove la gente vuole andare, tra l’altro.

Tra l’altro il brano ha permesso anche di mantenere vivo il ricordo di Caruso.

Di Caruso e anche di Roberto Murolo, perché comunque le prime tre note del ritornello proprio ricalcano una canzone famosissima di Murolo. E’ come prendere per mano l’ascoltatore e portarselo via.

Foto di Francesco Prandoni