Intervista ai Disco Club Paradiso, in gara a Sanremo Giovani 2025 con il brano Mademoiselle, sognando un posto all’Ariston…
Mademoiselle è un brano pop brillante e coinvolgente che racconta con ironia e leggerezza l’insofferenza romantica che si cela in ogni relazione. Il testo, volutamente esagerato nei toni, riflette con sincerità il passaggio dall’innamoramento all’amore maturo. Le strofe, dal carattere quasi lamentoso, si contrappongono a una base dance ed energica, fino a esplodere nel ritornello in cui entra il sax. L’intro, che ritorna anche nel corso del brano, è la parte più “spigolosa”, segnata dalla frase sussurrata “tanto mi parli di te e dei tuoi stupidi cani”, che idealmente dà il via al litigio raccontato nella canzone. È un brano da ballare, da vivere senza pensieri, lasciandosi trascinare dal ritmo, ma anche da ascoltare con attenzione per ritrovare tra le parole un frammento del proprio vissuto.
Dopo un’estate ricca di concerti con il “Sala Paradiso Tour”, i Disco Club Paradiso tornano ora con una nuova avventura, pronti a far ballare e emozionare anche il pubblico di Sanremo Giovani.
Qui le nostre pagelle delle canzoni di Sanremo Giovani 2025.
Intervista ai Disco Club Paradiso, in gara a Sanremo Giovani 2025
Siete a poche ore dal debutto ufficiale a Sanremo Giovani 2025. Come state vivendo questa attesa così intensa?
L’atmosfera è una miscela di entusiasmo, ansia positiva e incredulità. Mancano davvero pochissime ore e la sensazione è che tutto stia diventando reale all’improvviso. Siamo arrivati in hotel da poco, giusto a due passi dal teatro dove si terranno le esibizioni, e stamattina ci hanno svegliati dei martelli pneumatici: stavano ristrutturando delle stanze. È stato un risveglio traumatico, non lo neghiamo (ride), ma in un certo senso ci ha rimesso subito con i piedi per terra. È come se questo rumore ci avesse ricordato che, al di là dell’emozione e dell’adrenalina, bisogna restare concentrati. La preparazione l’abbiamo vissuta come viviamo tutto: buttandoci. Anche sui social abbiamo cercato di mantenere la nostra spontaneità, tanto che abbiamo deciso di andare per strada a disturbare i passanti e far ascoltare “Mademoiselle”. Un esperimento folle, certo, ma anche un modo sincero per far vedere chi siamo. Una specie di ADV vivente. Ridevamo come matti. E questo ci ha aiutato a non lasciarci schiacciare dall’ansia.
Arrivate a Sanremo portando esattamente voi stessi: né maschere né adattamenti. Quanto è importante questa coerenza nel vostro percorso?
Per noi è tutto. Non potremmo funzionare se non fossimo coerenti con chi siamo. Abbiamo avuto la fortuna di costruire la nostra identità artistica a contatto diretto con il pubblico già dai primi giorni. La nostra “cameretta” era un bar. Noi scrivevamo una canzone e tre giorni dopo eravamo in un locale a suonarla davanti a persone vere che reagivano in tempo reale. Questo ci ha insegnato due cose: Essere onesti con chi sei, perché al pubblico non puoi mentire e Non perdere mai il contatto con la realtà, perché ciò che funziona davvero non vive nella teoria, ma nel mondo là fuori. Quindi sì, possiamo anche fare il momento acustico “serio” a metà concerto, ma dopo un brano e mezzo Leo si alza e si mette a coinvolgere il pubblico senza nemmeno accorgersene. È la nostra natura. E a Sanremo volevamo arrivare così: senza aggiustamenti artificiali.
Sanremo è il palcoscenico delle canzoni d’amore per eccellenza. La vostra, però, è una storia d’amore molto ironica e fuori dagli schemi. Come nasce “Mademoiselle”?
“Mademoiselle” nasce in studio da un’idea completamente diversa. In realtà era il terzo brano di una serie di esperimenti che stavamo facendo con Mameli, un autore e produttore bravissimo. Avevamo già scritto un pezzo folle, quasi estero, e poi “Walking Dead”, che parlava di un’apocalisse zombie (Leo sogna da anni di scrivere una canzone del genere). Arrivati al terzo brano, ci siamo detti: facciamo qualcosa di sexy. Era proprio questa l’idea: un pezzo sensuale, elegante, un po’ in stile disco-chic. Le prime frasi lo confermano: “Quando mi facevi anche romantico…”. Poi, mentre lavoravamo, è arrivato quel momento in cui ci siamo ricordati di chi siamo davvero. E lì è partito il meccanismo-DCP: ironia, spontaneità, un pizzico di disagio sentimentale ben mescolato al ritmo. E da quel momento il pezzo ha preso la sua strada. Il verso “Tanto mi parli di te e dei tuoi stupidi cani” è nato come uno scherzo… ma era troppo bello per farlo sparire.
È una frase che racconta un litigio vero, vissuto da uno di noi. Una storia estiva, complicata dal fatto che lei aveva un cane giapponese molto particolare che non accettava nessuno in camera sua. Risultato? Uno di noi è stato letteralmente buttato fuori per un cane (ride). Da lì è venuto naturale mischiare realtà e fantasia, dolcezza e fastidio, ironia e tenerezza.
La vostra ironia sta diventando un elemento distintivo. Come si è evoluta la vostra scrittura per arrivare a questo equilibrio così efficace?
L’ironia è sempre stata parte di noi, sia nella vita sia nella musica. Ma col tempo abbiamo imparato a usarla meglio, a incanalarla per raccontare davvero qualcosa. Oggi chi ascolta ha un bisogno enorme di leggerezza. Non superficialità: leggerezza. Quella che ti permette di staccare il cervello quando serve. Basta pensare al fenomeno di Tony Effe, che gioca con l’esagerazione, o anche a pezzi comici come “Angela” di Checco Zalone: la gente li canta come se fossero inni rock. Nella nostra scrittura cerchiamo proprio questo: raccontare emozioni sincere, anche sentimenti pesanti, ma senza appesantire chi ascolta. L’ironia permette di entrare in temi veri con un passo più umano, più quotidiano. E in “Mademoiselle” c’è proprio questo: un amore che ti fa ridere e incazzare allo stesso tempo.
Dal punto di vista musicale, il pezzo è costruito con cura: base dance, special “vuoto”, ritornello esplosivo col sax. Che lavoro c’è stato?
Tanto. Molto di più di quanto possa sembrare a un primo ascolto.
La struttura di “Mademoiselle” è quella che a Milano chiamano “killer”: strofa, pre, strofa divisa, ritornello, special, ritorno. È chiara, solida, pensata per esplodere bene dal vivo e in TV. Il sax era fondamentale: volevamo un momento in cui tutto si liberasse, un’apertura luminosa, un sorriso sonoro. Quando entra Jackie, è come una valvola che si apre: ti lascia andare. E all’inizio era un pezzo molto più sexy, quasi da club notturno. Poi, trovata la linea ironica, abbiamo virato verso una disco-pop più nostra. L’obiettivo era creare un brano che potesse ballare chiunque, ovunque: in spiaggia d’estate, sotto un palco, in macchina. Con quel sorriso di chi sa che sta vivendo un amore problematico, ma non ci vuole pensare.
Che ruolo ha il live nella vostra identità?
Il live è la nostra identità. È il motivo per cui facciamo musica.
Scriviamo insieme perché in studio ricreiamo l’energia dei live: Jackie prova un giro, Murri aggiunge qualcosa, Leo canta sopra. È un flusso condiviso, non un lavoro a compartimenti. E poi dal vivo abbiamo davvero fatto la gavetta: bar, locali minuscoli, feste di paese. A Capodanno ci è capitato di suonare dopo un DJ set a tutto volume. Una di quelle situazioni dove qualsiasi band si spaventerebbe. Noi ci siamo guardati negli occhi e abbiamo detto: “Facciamo il nostro. Sarà bello”. Ed è andata benissimo. Il live ci ha insegnato a resistere, a improvvisare, a non farci intimidire.
Tre minuti in TV non sono mai facili. Quanto vi ha aiutato X Factor a prepararvi a questa esibizione?
Più che tecnicamente, mentalmente.
Da musicisti, la parte tecnica la gestisci: provi, e la sai fare.
La parte difficile è il pensiero: sei lì, hai provato per giorni, e all’improvviso ti rendi conto che sta succedendo davvero. È come se una parte di te si guardasse da fuori. A X Factor abbiamo imparato a restare presenti. A non farci divorare dalla consapevolezza della telecamera, del pubblico, del “momento”. In TV tutto è veloce, tutto è più grande, tutto è più rumoroso. Ti senti il battito del countdown in cuffia: “3, 2, 1”. Ed è lì che devi essere lucido.
E poi ogni esibizione in TV finisce e pensi: “Vorrei rifarla”. È umano. Ma Sanremo resta una sfida bellissima.
Cosa rappresenta Sanremo per voi e per la vostra generazione? E c’è un’esibizione storica del festival che vi ha segnato?
Sanremo è un rito collettivo. È un posto dove la musica diventa il centro del Paese per una settimana.
Per noi è un privilegio enorme anche solo partecipare alla selezione. È come se l’Italia intera, per un attimo, guardasse nella stessa direzione.
Per quanto riguarda le esibizioni storiche, ognuno di noi ha le sue: Leo ricorda Vasco che entra con il microfono in tasca, con quell’irriverenza che spazzò via tutto. Una personaità talmente forte da ridisegnare il palco. Jackie pensa all’orchestra, agli arrangiamenti: è la dimensione musicale pura che lo colpisce sempre. Murri cita Elio e le Storie Tese con “La Canzone mononota”: un modo geniale di usare Sanremo per fare arte libera, fuori dagli schemi.
Sanremo è passato, presente e futuro insieme. È un trampolino, un contenitore, uno specchio del Paese. E per noi, adesso, è una sfida e un sogno.
Speaker radiofonico, musicista e collaboratore di diverse testate nazionali e internazionali. Segue come inviato il Festival di Sanremo dal 1999 e l’Eurovision Song Contest dal 2014 oltre a numerose altre manifestazioni musicali. In vent’anni ha realizzato oltre 8.000 interviste con personaggi del mondo della musica, dello sport e dello spettacolo. Nel 2020 ha pubblicato il romanzo “La Festa di Don Martello” e nel 2022 “Galeotto fu il chinotto” e “Al primo colpo non cade la quercia”.
