Willie Peyote

Intervista a Willie Peyote, il cantautore torinese che con la sua band è tornato in tour, portando il suo sound e le sue rime inconfondibili nei più importanti club italiani con il NON È (ANCORA) IL MIO GENERE CLUB TOUR 2023. Qui il calendario.

Intervista a Willie Peyote

Un saluto Willie Peyote e benvenuto su iMusicFun. Lo hai scritto anche sui social, “Manca sempre meno”. Impazienza da ritorno in tour?

Beh, sì, finalmente torniamo. Adesso era un po’ che mancava, l’ultima data è stata a Capodanno in piazza a Torino, quindi è un bel po’. Scalpitano, soprattutto i ragazzi della band.

Non è (ancora) il mio genere”. Il titolo del tour rimanda a quel tuo disco di dieci anni fa, che però è anche un vero e proprio mantra che ti rappresenta ancora.

La cosa che ho pensato è che in realtà il primo pezzo dell’ultimo disco si conclude proprio con la frase: “non è ancora il mio genere” e di conseguenza mi sembrava il modo migliore per chiudere nuovamente un cerchio, partendo dal primo disco, che in qualche modo ha fatto sì che qualcuno si accorgesse della mia esistenza, arrivando fino ad oggi con tutto quello che è accaduto in mezzo. Nel senso che poi io ho fatto uscire la prima versione di quel disco quando ancora lavoravo al call center. Quindi racconta molto e volevamo ripartire da lì. Intervista Willie Peyote

In dieci anni effettivamente è cambiato tutto, ma non è cambiata la volontà di etichettare un genere da parte di tanti addetti ai lavori.

È anche vero che nel frattempo questo genere ha avuto diversi nomi. Nel senso che all’inizio non c’era neanche un nome per capire o per raccontare, soprattutto nel nostro paese, questo rap mischiato con la musica. Poi invece, grazie non solo a me ovviamente, ma a moltissimi artisti che hanno mischiato diversi elementi tra rap e la musica italiana in generale, è diventato non solo un genere riconosciuto, ma per certi momenti ha avuto addirittura il comando delle classifiche. Non grazie a me evidentemente, però in questi dieci anni è cambiato tanto anche come è stato riconosciuto il genere di questo rap misto, che prima è stato chiamato cantauto-rap, adesso si chiama urban, ma è stato chiamato anche indie; non si è mai capito che cos’è comunque.

Quello che mi colpisce, anche legato al titolo del tour, può essere anche la scaletta. Ho provato più volte ad immaginare… puoi darci qualche indicazione?

Ci saranno dei pezzi di quel disco che non avevamo mai fatto con la formazione con cui mi trovo a suonare da qualche anno. Ci sono molti brani, ovviamente, che raccontano tutto il percorso da quel disco ad oggi, passando per tutti gli album che poi sono seguiti a quello e non sono pochi. Non sono esattamente di primo pelo, ma da “Non è il mio genere” ad oggi sono usciti poi “Educazione Sabauda”, “Sindrome di toret”, “Iodegradabile”, “Pornostalgia”. Sono comunque cinque dischi in dieci anni, insomma, c’è molta carne al fuoco. Anche i pezzi più conosciuti non possono mancare, perché poi in fondo io sono dell’idea che la scaletta la decide un po’ il pubblico. Quindi ovviamente non possono mancare le canzoni per le quali uno va ai concerti. Quando vado io al concerto dei gruppi che mi piacciono, poi se non fanno i pezzi che mi aspettavo, un po’ mi dà fastidio, mi girano le scatole e quindi cerco di fare attenzione a entrambe le cose. Sarà una scaletta diversa dal solito, a cui non mancheranno però i punti fermi che rappresentano sempre i miei concerti.

Raddoppio della data di Torino, Sold Out a Bologna, il pubblico dimostra comunque di aver sentito la mancanza di Willie Peyote. In questi mesi, con quasi un anno di assenza di live, ti sei immaginato appunto il tuo pubblico?

In realtà no, è un esercizio che non faccio mai. Il mio pubblico è sempre quello, più o meno. Non è cambiato nemmeno dopo Sanremo. Qualcuno si è aggiunto, ma è vero anche che qualcuno ha smesso per motivi anagrafici o perché, giustamente, le cose cambiano per tutti. Quindi non visualizzo il pubblico che mi troverò davanti, ma penso di base che sia il più affezionato, quello che in qualche modo dimostra sempre la propria vicinanza al mio progetto. Quindi è anche vero che in qualche modo questo è un tour per i fan più accaniti, quindi di conseguenza è un’ulteriore responsabilità. Non si tratta solo riconoscenza, ma proprio devo dare qualcosa perché loro per primi mi danno sempre il loro affetto, la loro attenzione, quindi si meritano il massimo.

La tua musica è sempre vissuta di live, oltre ai dischi. I live sono a volte dei veri e propri happening. Nel tempo, come è cambiato il tuo rapporto con il pubblico, soprattutto dopo il periodo di Covid e dopo l’esposizione mediatica di Sanremo 2021?

Il rapporto col pubblico non l’ho cambiato, credo di essere al loro servizio e non viceversa, quindi non è cambiato. Nel fare i live, i grandi cambiamenti sono stati costruire una band nell’arco di questi dieci anni e oggi averla consolidata con gli stessi elementi da parecchio tempo. Questa è per me una grande soddisfazione. Però il mio rapporto col palco non è effettivamente cambiata molto, anzi non è forse cambiata per niente. Sono cambiato io in tanti modi, nel senso che magari è cambiata la scrittura, in ogni disco cambia anche un po’ la vena musicale che lo rappresenta, però di base poi l’approccio al palco è sempre quello.

A proposito di cambiamenti, è passato poco più di un mese della pubblicazione di “Frecciarossa”, un altro passo, dopo “Picasso”, verso un’altra dimensione musicale. C‘è la stessa finalità artistica, ma un approccio forse un po’ differente.

Ho cercato in ogni disco di cambiare e in ogni singolo di fare una cosa diversa; quindi, è naturale che si senta una differenza. Non so dirti quale sia nella fattispecie, cioè non la so individuare, perché non è così chiara neanche forse nella nostra testa quando ci lavoriamo. Noi vogliamo fare una cosa diversa, ma non abbiamo un obiettivo in mente, una cosa chiara. A noi piace la musica e quindi ogni pezzo che facciamo ha una vita propria. Non so ancora dirti come sarà il prossimo disco, nel senso che ci stiamo lavorando da un po’, però l’idea nostra è quella di guardare avanti tornando un attimo indietro.

In particolare “Frecciarossa”, mi piace proprio quella morale sulla fiducia che obiettivamente, anche se mal risposta, è sempre un dono. Questo è un mantra, secondo me, da tenere bene a mente, soprattutto in determinate situazioni.

Quel pensiero sulla fiducia ce l’ho da un po’. Ci si trova spesso nelle relazioni, non solo sentimentali, a rendersi conto che non si è più disposti a dare la fiducia perché è stata tradita in passato da qualcun altro. Però la fiducia è un regalo che noi facciamo a noi stessi e alla persona che abbiamo di fronte e in qualche modo, secondo me, ha senso di essere data a prescindere dal fatto che venga più o meno tradita perché altrimenti, se non partiamo dalla fiducia verso gli altri, tanto vale stare chiusi in casa da soli.

Recentemente sei apparso in “ACAB”, un brano del nuovo album dei Queen Of Saba, ma non è l’unica collaborazione del periodo perché c’è anche il pezzo insieme a Mobrici e Frankie HI NRG, ma anche il nuovo singolo di Motta. Cosa rappresentano per te oggi le collaborazioni?

Sono un modo per poter collaborare con artisti di cui ho grande stima artistica e umana. E’ un bel modo per mettersi sempre alla prova e per conoscere anche il mondo che c’è intorno a noi. Quelle che hai citato sono tutte persone, in particolare Francesco, con cui ho un grande rapporto umano, con cui ho lavorato facendo nascere la collaborazione in maniera molto naturale. Mi hanno fatto sentire il brano e siccome a me piace innanzitutto fare la musica che mi piace ascoltare, erano tutti pezzi che ho apprezzato da subito e che mi ha fatto molto piacere poter fare anche un po’ miei.

Immagino che qualcuno di questi artisti magari verrà a trovarti in tour.

Sono tutti impegnati con il loro tour, perché partiamo tutti più o meno contemporaneamente; quindi, spesso saremo purtroppo in città differenti lo stesso giorno, ma sicuramente ci sarà occasione.

Video intervista a Willie Peyote

Intervista Willie Peyote

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