Scrivere di Lucio Battisti è un po’ come trovarsi in un’immensa galleria d’arte e non sapere da quale sala cominciare il percorso. Chi, come me, non ha vissuto quegli anni… ha subito in maniera indiretta l’influenza che il cantautore reatino ha trasmesso a cascata nei colleghi delle generazioni successive. Numerosi gli artisti che hanno dichiarato apertamente di essersi ispirati al suo genio creativo: da Claudio Baglioni a Francesco De Gregori, passando per Renato Zero, Zucchero, Ligabue, Eros Ramazzotti, Gianna Nannini, Vasco Rossi, Gianluca Grignani e Cesare Cremonini, fino a star internazionali del calibro di David Bowie e Paul McCartney.
Compositore e interprete di enorme talento, a differenza di tanti altri miti della canzone d’autore, Lucio ha sempre contrapposto un carattere schivo e restio alle logiche mediatiche: «Tutto mi spinge verso una totale ridefinizione della mia attività professionale – dichiarava Battisti in una delle sue ultime interviste rilasciata nel ’79 – in breve tempo ho conseguito un successo di pubblico ragguardevole. Per continuare la mia strada ho bisogno di nuove mete artistiche, di nuovi stimoli, in parole brevi devo distruggere l’immagine squallida e consumistica che mi hanno cucito addosso. Non parlerò mai più, perché un artista deve comunicare solo per mezzo del suo lavoro. L’artista non esiste. Esiste la sua arte».
Un messaggio forte, per certi versi avanguardista, in perfetta controtendenza con l’attuale desiderosa smania di apparire che, con l’avvento dei social network, ha completamente stravolto le abitudini personali e commerciali dell’essere umano. In tempi non sospetti, Lucio ha così scelto di far parlare la sua musica, ritirandosi dalle scene per concedersi in modo inedito, nel solco tracciato poco prima da Mina.
A venticinque anni dalla sua prematura scomparsa, i suoi dischi parlano per lui e raccontano la storia di un ragazzo nato il 5 marzo del 1943 nella periferia di Rieti, in un piccolo paesino di nome Poggio Bustone. Affascinato dal suono della chitarra, si avvicinò presto alla musica e cominciò a militare come turnista in diverse piccole band, come Gli Svitati e I Mattatori, passando per I Satiri, fino ad arrivare al ben più noto complesso de I Campioni, sempre in veste di chitarrista.
Spronato da diversi addetti ai lavori, cominciò a comporre la sua musica, dimostrando subito un’innata predisposizione nella cura minuziosa degli arrangiamenti. All’egregia capacità compositiva, contribuì alla sua affermazione il fatale incontro con Mogol, con il quale instaurò un prolifico e fortunato sodalizio artistico. Dopo essersi imposti come duo autorale, scrivendo pezzi per I Ribelli (“Per una lira”) e gli Equipe 84 (“29 settembre”), i due si concentrarono sulla carriera solista di Lucio con i primi 45 giri “Balla Linda”, “Io vivrò (senza te)” e “Un’avventura”, brano con cui Battisti partecipò nel ’69 per la prima e unica volta al Festival di Sanremo, classificandosi nono in coppia con Wilson Pickett.
L’affermazione arrivò grazie a capolavori senza tempo come: “Acqua azzurra acqua chiara”, “Non è Francesca”, “Dieci ragazze”, “Mi ritorni in mente”, “7 e 40”, “Il tempo di morire”, “Fiori rosa fiori di pesco”, “Pensieri e parole”, “Emozioni”, “La canzone del sole”, “I giardini di marzo”, “E penso a te”, “Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi”, “Il mio canto libero”, “Ancora tu”, “Si, viaggiare”, “Nessun dolore”, “Una donna per amico” e “Con il nastro rosa”.
Successi commerciali che hanno messo in luce la poliedrica indole sperimentale di Battisti, abile nel combinare la tipica melodia all’italiana alle diverse correnti di respiro internazionale, dal prog rock alla new wave, passando per il rhythm and blues, il soul, il contemporary folk e la musica beat. Con gli anni ottanta e la separazione artistica da Mogol, Lucio intraprese una nuova fase della sua carriera affiancato dal paroliere Pasquale Panella, con il quale realizzerà gli ultimi cinque album.
Lucio Battisti è considerato nella memoria collettiva una delle massime icone della scena musicale italiana, un riconoscimento che – come spesso accade – è giunto post mortem e di cui lui stesso non ha goduto forse appieno, proprio come era solito accadere nel Settecento a compositori leggendari del calibro di Johann Sebastian Bach e Ludwig van Beethoven.
L’eredità artistica di Battisti è inquantificabile, poiché ha segnato più di un’epoca. La sua rivoluzione stilistica ha tratto ispirazione nella tradizione per dirigersi poi in territori sonori nuovi, attraverso le sfumature dei suoi molteplici linguaggi. Di Lucio restano gli accordi poetici, il coraggio di perseguire contromano il suo viaggio e l’irrefrenabile desiderio di porre in primo piano la propria identità esclusivamente attraverso i codici dell’arte. Mentre si cerca invano di riempire questo incolmabile vuoto musicale, sentiamoci pure in dovere di ringraziarlo per aver saputo restituire un nome alle emozioni con il suo animo perfezionista dal genio visionario.
Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte di raccontare. È autore del libro “Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin” (edito D’idee), impreziosito dalla prefazione di Amadeus. Insieme a Marco Rettani ha scritto “Canzoni nel cassetto”, pubblicato da Volo Libero e vincitore del Premio letterario Gianni Ravera 2023.
