Il racconto di “La donna è mobile”, il nuovo spettacolo di teatro-canzone realizzato da Simona Molinari, in scena lo scorso weekend al Blue Note di Milano.
“La donna è mobile” non più come sinonimo di volubilità, frivolezza e vacuità ma con una rinnovata accezione positiva che attribuisce al concetto un profondo senso di libertà, emancipazione e indipendenza. Le donne “mobili” sono, infatti, quelle che hanno lottato per ribaltare gli schemi imposti dalla società, rifiutando di rimanere cristallizzate in una realtà che le imprigionava e sono proprio loro le protagoniste del nuovo progetto live di Simona Molinari – arrivato nel weekend al Blue Note di Milano con ben sei spettacoli – che prende il nome dall’inconica aria del Rigoletto.
Accompagnata da una band interamente al femminile (“Anche questa una conquista perché, in passato, alle donne era proibito suonare molti strumenti“, dice la cantante sul palco) che vede Sade Mangiaracina al piano, Francesca Remigi alla batteria, Chiara Lucchini al sax e flauto ed Elisabetta Pasquale al basso, Simona Molinari porta in scena un affascinante spettacolo di teatro-canzone, scritto dall’artista stessa in collaborazione con la giornalista e autrice Simona Orlando, che alterna musica e storie, attraversando diversi registri linguistici e accarezzando, con grande versatilità, una miriade di generi e di stili musicali.
Divertenti alcuni aneddoti come quello su Anna Magnani che, in sala trucco, invitava a non toglierle le rughe perché “c’ho messo una vita a farmele“, mentre diverse battute di Simona Molinari sono figlie di un’ironia amara e scatenano l’applauso accorato di una platea particolarmente attenta. Emblematica, in questo senso, come chiosa di uno dei momenti centrali dello spettacolo, la frase “dietro ogni grande uomo, c’è sempre una grande donna… che gli perdona la prepotenza“, ma anche l’esortazione a riflettere sul diverso modo in cui vengono definite le professioni a seconda dei sessi citando l’esempio di Milly: “Lei era una soubrette, perché l’uomo è attore, cantante, ballerino… La donna è soubrette. Sapete cosa significa soubrette? Servetta“.

Si rivela particolarmente coinvolgente il momento del quiz in cui l’artista propone al pubblico diverse canzoni che si pensa siano state scritte da uomini quando, in realtà, portano la firma di donne spesso rimaste nell’ombra. È il caso di “I don’t want to miss a thing” degli Aerosmith che non è stata firmata da Steven Tyler bensì da Diane Warren, mentre una particolare attenzione viene riservata a “4/3/1943” di Lucio Dalla, scritta da Paola Pallottino pensando alla storia del cantautore rimasto orfano di padre e cresciuto da una giovane donna: fu il primo brano in gara a Sanremo con una potente tematica sociale come quella delle ragazze-madri e viene qui interpretato nella versione originale intitolata “Gesù bambino“, all’epoca censurata in più punti perché considerata blasfema.
Sono tante le storie di sofferenza, di lotta e di superamento di una condizione drammatica che vengono portate in scena, come quella di Lotte Lenya – ispirazione per Nick Cave e David Bowie – che, a soli undici anni, era costretta a farsi comprare dai clienti in un atelier ma poi, nella sfrenata libertà della Berlino anni ’20, riesce a inventarsi ballerina, o quella di Nina Simone che nasce pianista classica ma il conservatorio la respinge perché nera, si sposa e viene stuprata dal marito non essendo ancora chiaro che “il consenso si chiede anche durante il matrimonio” – dice Simona – ma poi trova la forza per conquistare il mondo con la sua voce.
“La donna è mobile” vive una continua escalation di riflessione e profondità e uno dei momenti più commoventi si registra con l’interpretazione in lingua farsi di “Baraye“, l’inno delle rivolte dei giovani iraniani scritto da Shervin Hajipour, cantautore finito in carcere per aver sostenuto le proteste avvenute dopo la morte di Mahsa Amini, diventata un simbolo della condizione femminile e della violenza esercitata contro le donne sotto la Repubblica islamica dell’Iran. “Baraye” non viene cantata solo da donne ma anche da uomini che ne sostengono la causa ed è proprio qui il messaggio centrale dello spettacolo: ogni cammino di emancipazione deve essere fatto insieme, uomini e donne, mano nella mano.
Simona Molinari è perfettamente padrona della scena. Lo è quando un momentaneo black-out rischia di minare il normale svolgimento dello spettacolo e lei decide di occupare il tempo perso con un corale momento di improvvisazione che coinvolge la platea sulle note della sua hit “La felicità“, cantata senza microfono, acapella e con il pubblico a partecipare come coro.
Lo è nella scelta delle canzoni prese dal suo repertorio come “Maschere” e “La verità“, che magari non sono tra le più note del suo percorso discografico ma che ben si inseriscono nel discorso nel dare voce, da una parte, a chi vuole indossare anche mille facce diverse senza il bisogno di sentirsi classificata e, dall’altra, a chi si sente ingannata da una realtà che la sminuisce.
Lo è nella costruzione di una scaletta più che mai eclettica, che viaggia dalla lirica al travolgente ritmo di “Bad guy” di Billie Eilish riarrangiata in chiave jazz, dalla sensualità di Mina ne “L’importante è finire” al rock britannico di Joe Cocker, dal cantautorato italiano alle tinte latine di “Remedios” di Gabriella Ferri, riflettendo tutta la versatilità di un’artista intelligente anche nel giocare in sottrazione.
Sì, perché ne “La donna è mobile” non è Simona la protagonista. Al centro ci sono le donne raccontate e lei si mette, semplicemente, al servizio delle loro storie e delle loro canzoni, interpretandole con sensibilità, empatia ed eleganza. Non è un caso che sia proprio lei, nelle battute finali dello spettacolo, la prima a chiedersi “ma la Molinari non cantava?” e la sua risposta rispecchia l’intero percorso di crescita di una donna libera, che ha saputo svincolarsi da un mercato musicale fin troppo incastrato nell’attualità conservando ancora il gusto di guardare, e guardarsi, indietro: “Ho voluto fare un doveroso omaggio a queste donne, perché senza la loro staffetta io non avrei potuto essere qui“. Senza il passato non può esserci neanche il presente, e Simona Molinari, con “La donna è mobile“, ci dice proprio questo.

Classe ’92, ho iniziato a scrivere di musica nel 2020 aprendo un mio blog con cui ho catturato le primissime attenzioni di artisti e addetti ai lavori, in particolare di Kekko Silvestre dei Modà, la persona che, più di tutti, mi ha spinto a credere in questa strada. Dal 2022 ho, quindi, iniziato a collaborare con due siti di informazione musicale focalizzandomi su recensioni, approfondimenti e analisi del settore
📢 Segui iMusicFun su Google News:
Clicca sulla stellina ✩ da app e mobile o alla voce “Segui”
🔔 Non perderti le ultime notizie dal mondo della musica italiana e internazionale con le notifiche in tempo reale dai nostri canali Telegram e WhatsApp.