Intervista a Carmen Consoli, che ha pubblicato in digitale l’album in siciliano Amuri Luci, in cui intreccia tradizione e modernità. La cantantessa da, quindi, vita al primo capitolo di una trilogia che affonda nelle radici, ma guarda al presente.
Tra miti antichi, poesia e riflessioni sull’attualità, la cantautrice esplora i temi della metamorfosi, della responsabilità e del ruolo rivoluzionario delle donne. Un lavoro coraggioso che mette in dialogo lingue “morte” e altre contemporanee, musica popolare e sonorità blues e jazz.
Un progetto che guarda al futuro, permettendo all’ascoltatore di immergersi in un’atmosfera dal sapore ancetrale.
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Intervista a Carmen Consoli, il nuovo album “Amuri Luci”
Carmen, questo nuovo lavoro sembra racchiudere tutte le anime della tua carriera: le radici mediterranee, il rock e il cantautorato. Perché hai scelto di partire proprio dalle tue radici linguistiche e culturali?
Venivo da un’esperienza teatrale incentrata sul recupero delle radici e ho poi lavorato alla colonna sonora di un film su Rosa Balistreri. Sentivo di dover completare questo viaggio e sono andata a fondo: sono partita dal greco di Teocrito, passando per il latino, il dolce stil novo della scuola federiciana, fino ad arrivare al siciliano di Buttitta e al mio siciliano, quello che definisco “Consoliano”, con testi e musiche scritti interamente da me.
Era doveroso: io sono questo. Si parte dalle radici, poi cresce il fusto, le foglie, e alla fine arriva la fotosintesi.
Nel disco il siciliano non è mai folclore, ma diventa memoria viva e resistenza. Cosa significa per te oggi cantare in siciliano?
Mi piace come questa lingua fa suonare la mia voce. Ha una musicalità antica che rende la voce quasi ancestrale. Cantare in siciliano tira fuori una parte di me che non pensavo di avere: la cantante popolare, con una potenza che arriva in modo naturale. È come usare strumenti diversi: una Gibson per i Led Zeppelin, una Fender per Hendrix. La lingua cambia il modo in cui interpreti e persino come ti esprimi.
Hai affermato che in siciliano riesci a esprimerti in maniera diversa.
Il siciliano è una lingua che sento dentro, ma non è stato semplice. Tradurre dall’italiano al siciliano non ha sempre senso. Così ho recuperato il siciliano dei grandi poeti e ci ho costruito sopra le mie sperimentazioni. È stato un percorso affascinante.
Hai raccontato anche che, oltre alla lingua, la musica è stata costruita in modo molto particolare, quasi “alla vecchia maniera”. Ci puoi spiegare?
Sì, ci siamo ritrovati in un luogo bellissimo per suonare insieme e condividere, come un tempo. La condivisione è stata la parte più bella: suonavamo, poi ci fermavamo per un aperitivo con i manicaretti di mia madre, ed era un vero simposio musicale. Tutto in presa diretta, seguendo il nostro “bioritmo”.
Oggi si suona quasi sempre con il click in cuffia, anche nei concerti, ma questo ammazza la “pronuncia di stile”. La musica siciliana, come il blues, ha bisogno di libertà, di respiri, di accelerazioni e rallentamenti. Questo disco è libero perché nasce da quel ritmo naturale.
Dal punto di vista sonoro il disco è ricco di contaminazioni: dal blues al jazz, fino a giri di basso sorprendenti. Com’è nato questo approccio così libero?
Abbiamo lavorato con tanto istinto. Ci siamo sentiti liberi di fare quello che ci veniva dal cuore, senza pensare a obiettivi di mercato o radiofonici. Volevamo solo fare musica autentica, rivedere il passato e impastarlo con il presente, rimettendo la Sicilia al centro della nostra musica e, perché no, anche al centro dell’Italia.
Nel disco c’è una forte attualità. Penso, ad esempio, al brano con Mahmood, dove la sua voce intreccia la poesia araba medievale con un tema oggi attualissimo come quello delle migrazioni.
Hai ragione: è sorprendente quanto questo progetto, pur affondando nelle radici, riesca a parlare al presente. Uso una lingua che molti definirebbero “morta”, e io stessa scherzando la chiamo “necrofila linguistica”. Eppure con quella lingua canto di attualità. È così anche con Ignazio Buttitta, che nel componimento Mamma Tedesca racconta la storia di una madre che vede il letto vuoto del figlio, caduto al Piave nella Prima guerra mondiale. Buttitta scriveva degli orrori della guerra combattuta da eserciti armati; oggi, purtroppo, le guerre colpiscono i civili, e questo rende la sua voce ancora più attuale.
In diversi brani torni alla contrapposizione tra figure femminili forti e maschili fragili. In particolare parli di uomini incapaci di assumersi le proprie responsabilità.
Sì, c’è un brano, 3 ORU 3 ORU, che racconta proprio questo. L’uomo che non prende decisioni, che non si assume la responsabilità delle proprie scelte, è un archetipo che esiste oggi come ieri. Io, essendo donna, riesco più facilmente a raccontare il punto di vista femminile: mi è capitato nella vita di essere lasciata da chi non aveva il coraggio di decidere. È una condizione che conosco bene, quindi mi viene naturale e credibile cantarla. Ma il discorso va oltre: chiunque non prende le proprie responsabilità, chiunque dà la colpa agli altri, vive in una condizione pericolosa. Come dice Jovanotti, bisogna guardarsi dentro e capire dove va la propria bussola.
C’è anche una riflessione sull’universale, però: queste figure femminili diventano simbolo di resistenza e rivoluzione.
Esatto. Non volevo ridurle a un discorso di genere, ma renderle protagoniste di un movimento più grande. Le donne che racconto sono rivoluzionarie, portano vita, trasformazione, futuro. Sono loro che permettono di ribaltare le situazioni e di riscrivere i destini.
A proposito di trasformazione: il mito di Galatea sembra un filo conduttore importante del disco e dell’intera trilogia. Perché lo hai scelto?
Il mito di Galatea è centrale perché parla di metamorfosi, e la metamorfosi è un tema che mi affascina moltissimo. Credo nella trasformazione: ogni avversità può diventare un’opportunità. Nel primo disco ho raccontato la poesia del Ciclope, che in Teocrito diventa quasi umano, innamorato, e si rivolge al suo medico implorando un rimedio per le pene d’amore. Non c’è medicina per l’amore non corrisposto: questo lo rende profondamente universale.
Nel secondo capitolo entreremo nella tragedia: il Ciclope uccide Aci, l’amato di Galatea, credendo così di risolvere il problema. Ma non è l’ostacolo a impedirgli l’amore: Galatea semplicemente non lo ama. È un insegnamento attualissimo: nemmeno il potere e la forza possono comprare l’amore.
Infine, nel terzo disco, ci sarà la metamorfosi: Aci diventerà un fiume e vivrà per sempre accanto a Galatea, sotto un’altra forma. È una lezione sulla trasformazione, sull’eternità che nasce dal cambiamento.
Hai già anticipato che questa trilogia avrà un’evoluzione anche linguistica e musicale. Come procederà il percorso?
Dopo questo primo capitolo in siciliano, nel secondo e nel terzo entrerò anche in altre lingue. Il latino sarà la lingua di transito, perché è la radice comune che ci porta verso l’internazionale. Poi ci sarà l’inglese, ma anche il francese e lo spagnolo: lingue che non sono la mia madrelingua, ma che ho imparato e amato ascoltando musica. Penso ai Rolling Stones, ai Radiohead, ai Pixies, agli Smashing Pumpkins. Quelle sonorità hanno fatto parte della mia formazione e sono entrate dentro di me. Voglio usarle senza timore, con la mia pronuncia siciliana, perché anche quello è un modo autentico di fare musica.
E dal punto di vista sonoro, cosa dobbiamo aspettarci?
Sto già lavorando con una band delle mie parti, gli Uzeda: sarà un progetto più rock, diretto, istintivo. Ci sono influenze che a Catania hanno avuto una grande forza, un rock crudo e viscerale. Registreremo tutto in presa diretta, voce compresa. Sarà selvaggio, istintivo, una vera esperienza collettiva. Non so ancora cosa ne verrà fuori, ma è questo il bello: lasciarsi sorprendere dalla musica.

Speaker radiofonico, musicista e collaboratore di diverse testate nazionali e internazionali. Segue come inviato il Festival di Sanremo dal 1999 e l’Eurovision Song Contest dal 2014 oltre a numerose altre manifestazioni musicali. In vent’anni ha realizzato oltre 8.000 interviste con personaggi del mondo della musica, dello sport e dello spettacolo. Nel 2020 ha pubblicato il romanzo “La Festa di Don Martello”, nel 2022 “Galeotto fu il chinotto” e “Al primo colpo non cade la quercia” e nel 2205 “Ride bene chi ride ultimo”
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