Daniele Cobianchi Ritchie Cunningham

Disponibile in digitale RICHIE CUNNINGHAM“, il nuovo progetto discografico di DANIELE COBIANCHI che è stato anticipato dall’omonimo brano, uscito il 24 maggio (distribuzione Artist First/Etichetta DCAA). L’EP arriva dopo il concept album “Ciclista amatoriale” uscito nel maggio del 2023.

Richie Cunningham, scritto dallo stesso Cobianchi e prodotto da Alberto Bianco,è disponibile al seguente linkhttps://found.ee/danielecobianchi-richiecunningham

È online su YouTube il concept video che cita una scena del film cult di Robert Zemeckis “Ritorno al Futuro.

In edizione limitata è disponibile un 45 giri in cui il lato A è “Richie Cunningham” e il lato B è “Non hai perso mai“.

Ecco la tracklist di “Richie Cunningham”:

  • “Richie Cunningham”
  • “Non hai perso mai”
  • “Come un concerto di Vasco”
  • “Uomini ormai”

La title trackRichie Cunningham“fa riferimento al personaggio protagonista della serie cult “Happy Days“, interpretato dal regista e sceneggiatore premio Oscar Ron Howard allora ventenne, e nasce dalla voglia di diffondere un vero e proprio manifesto generazionale.

Intervista a Daniele Cobianchi

Cosa rappresenta il nuovo singolo RICHIE CUNNINGHAM nel tuo percorso artistico? Ci spieghi qual è il messaggio che vuoi comunicare con questo progetto discografico? 

Richie Cunningham è una canzone che ha l’ambizione di diventare un piccolo manifesto generazionale. Viviamo in un momento storico nel quale è molto difficile essere felici e questo indipendentemente dall’età che si ha e dalla generazione a cui si appartiene. Anzi, la divisione tra le generazioni è sempre più ampia. Se tu hai 50 anni sei già definito come boomer, chi ha 50 anni magari guarda i giovani e pensa che siano solo leggeri e frivoli, mentre i giovani non riescono a essere più profondi perché noi persone più adulte non abbiamo costruito per loro, non abbiamo salvaguardato per loro un’idea potente di futuro, non gli abbiamo dato una mano a costruire un futuro che sembra impalpabile. Richie Cunningham è una canzone che ha questo tipo di ambizione, cioè quella di riconnettere generazioni differenti non guardando al passato con nostalgia, dicendo che probabilmente in quegli anni stava meglio. È chiaro che a fine degli anni Settanta il mondo era ugualmente complicato ma c’era una possibilità in più di avere una felicità condivisa, probabilmente perché c’erano anche dei modelli di riferimento e dei media che erano più in grado di fidelizzare le persone, facendole anche stare insieme. Quindi l’ambizione di questo progetto discografico è quello di innestare nel presente e nel futuro una serie di valori che noi generazione X abbiamo conosciuto in quegli anni e che, secondo noi, sono ancora importanti oggi e che potrebbero aiutare queste nuove generazioni a guardare avanti con fiducia.

Musicalmente quali sono influenze che ti hanno guidato nella composizione del brano?

Io ho avuto la fortuna di innamorarmi in età avanzata di tutto un mondo musicale, diciamo di pop folk o di quello che chiamano adult contemporary, cioè di un mondo musicale che tra l’altro in giro per il mondo fa dei numeri pazzeschi anche da un punto di vista di ascolti e di stream. In. Italia invece questo mondo non appartiene alle playlist di Spotify, non appartiene alle radio e difficilmente riesce ad esprimersi. Però è quello che è più nelle mie corde in questa fase della mia vita, nell’adulto che sono diventato, perché mi permette di esprimere con profondità tutta una serie di messaggi che riesco a mettere nella musica e che trovano in questo tipo di riferimento sonoro e di scrittura autorale la massima espressione. 

Amo molto gli artisti come Damien Rice, Fink, Amos Lee, che partono dalla chitarra, che scavano nel folk, ma sono riusciti a trovare una contemporaneità nel folk che permette di raccontare e di approfondire le tematiche che sono all’interno dei brani.

Qual è il valore aggiunto che ha dato la produzione di Alberto Bianco?

Alberto Bianco è un musicista e un cantautore, oltre che un produttore, che io ammiro e stimo molto e collabora con artisti che amo molto come Niccolò Fabi. Quando ho pensato che tipo di sound dare a questi brani ho trovato quasi naturale che Alberto potesse essere la persona capace di dare un colore sonoro ai miei brani. E devo dire che l’ha fatto sapientemente bene mettendomi a disposizione il suo gruppo di lavoro. E quindi con Riccardo Parravicini che ha registrato l’album con musicisti straordinari come Filippo Cornaglia alla batteria e Matteo Giai al basso, e poi con l’intervento di Stefano Carrara che è un altro musicista straordinario. 

Tutti insieme sono riusciti a dare quei colori, a fare in modo che i brani nella loro semplicità potessero avere un vestito molto autentico che li valorizzasse e non creasse delle sovrastrutture sonore. Sono tracce molto spontanee, se si sente la versione chitarra e voce e poi sentono gli arrangiamenti si capisce esattamente il tipo di lavoro che Alberto è riuscito a fare insieme al suo gruppo di lavoro. 

Cosa ti ha colpito del personaggio interpretato da Ron Howard?

Allora Richie Cunningham era un modello per una generazione perché non era bello, non era il più figo di tutti, era un ragazzo semplice, un ragazzo con una famiglia normale, un ragazzo che studiava, un ragazzo che aveva dei sogni, un ragazzo che era simpatico, un ragazzo che guardava al futuro con grande ottimismo.

E invece oggi i modelli che hanno le generazioni, che hanno la stessa età che avevo io in quegli anni, i modelli che i social ci propongono, sono molto lontani da noi, molto lontani anche dalla realtà, sono persone che ottengono celebrità per non si sa quale tipo di motivo, dove tutto viene misurato su quanti like hai e per avere questi like sei disposto a fare qualunque cosa.

Credo che questo tipo di modello che le nuove generazioni hanno, di successo, di presente e non di costruzione del futuro, siano gli elementi principali che generano poi un’infedeltà e una grande frustrazione perché sono modelli che anche quando si ottengono non durano e non costruiscono nulla per la vita di questi ragazzi.

Come mai hai scelto di omaggiare nel videoclip proprio “Ritorno al futuro”? 

L’idea di fare la citazione della citazione mi affascinava molto, quindi di continuare ad andare a ripescare nel passato per dare dei messaggi nel futuro. Se vi ricordate Marty McFly nella sua vita prima di tornare nel futuro era un disastro, perché nel passato erano successe delle cose che ricorderete bene che avevano guidato il futuro in una direzione che lui non amava. E quindi l’idea che lui venisse rimbalzato all’audizione della scuola con un pezzo perché era troppo rumoroso, perché era troppo moderno, mi faceva gioco da contraltare nel raccontare invece un brano come il mio cantato da un giovane che viene rimbalzato perché, a detta di un anziano, questa cosa è troppo boomer. E quindi ho trovato molto divertente usare la citazione dal punto di vista cinematografico, ma soprattutto hopensato fosse molto interessante concettualmente avere un giovane che interpretasse il mio brano e che io interpretassi quello che in realtà rimbalzava questo giovane, perché il brano non aveva delle regole di ingaggio da streaming, non era sufficientemente up-tempo, dotato di AutoTune, adatto ai tempi di oggi.

Musicalmente qual è l’eredità degli anni ’70,che ancora oggi fa capolino nella musica?

Il brano non ha nessun tipo di eredità anni ’70 né anni 50, non ammicca da un punto di vista sonoro a quegli anni e nemmeno all’estetica di quegli anni. Il brano è contemporaneo, ma nemmeno il testo ammicca a una eredità nostalgica. “Richie Cunningham” usa un sistema valoriale che c’era in certi anni e lo vuole rimettere a disposizione delle nuove generazioni oggi con un pezzo che in realtà è iper-contemporaneo. 

Quali sono gli artisti di quel periodo che ti hanno ispirato?

Se si parla degli anni 50 è indubbiamente l’inizio del rock ’n’ roll, da Elvis, tutti coloro i quali hanno cambiato le regole del gioco e soprattutto una colonna sonora di anni nei quali c’era un grande ottimismo, una grande voglia di costruire il mondo, l’idea di futuro era molto potente. E’ una musica che ha accompagnato una generazione a costruire un futuro che era molto più bello e più felice degli anni della guerra o del dopoguerra.

Invece relativamente agli anni 70, io non sono mai stato un rocker, però è chiaro che per me è molto importante l’idea di come la musica riesca a essere la colonna sonora di una trasformazione culturale e generazionale. E quindi la musica di oggi è una musica fatta di presente, che racconta l’io, l’oggi e l’adesso, ma non accompagna verso un futuro, non è un motore che accompagna un’intenzione verso un tipo di futuro che è migliore del presente.

Hai scelto di omaggiare il periodo anche con un 45 giri in vinile. Cosa pensi della nuova diffusione di questo supporto?

L’idea di realizzare i 45 giri me l’ha data sempre Alberto Bianco e trovo che sia un’idea geniale. Chiaramente i vinili stanno tornando perché il vinile ridà una fisicità a un prodotto musicale che lo streaming ha un po’ distrutto. Quindi l’idea che esista un pezzo fisico dà, secondo me, anche alla canzone una filigrana, una texture più concreta rispetto a quello che la canzone rappresenta, al concetto che porta con sé. E poi naturalmente mi divertiva molto l’idea che in “Happy Days” il jukebox era l’elemento chiave, l’elemento attorno al quale accadevano le cose. Anche Fonzie lo faceva partire con un pugno e quindi, come dire, il 45 giri è simbolicamente l’elemento più rappresentativo di un brano che si intitola “Richie Cunningham”. 

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