Intervista a Fase, che ha pubblicato il nuovo singolo “Stare BENE stare MALE”, un manifesto di contraddizioni, un grido liberatorio tra euforia e malinconia, che racconta la fragilità e la forza di chi vive intensamente ogni emozione.
Su un beat malinconico e contemporaneo, FASE esplora l’altalena tra cadute e rinascite, tra amore, rabbia e desiderio.
Il cantautore torinese FASE torna a Milano, per la prima con un evento unico nell’ambito della Milano Music Week! L’appuntamento è per il 20 novembre alle 19.00 all’Ostello Bello Milano Duomo, dove l’artista si esibirà in un concerto speciale accompagnato da un talk con ospiti d’eccezione.
«Sono entusiasta di esserci in questa settimana che è una vera festa per chi vive di musica e ama la musica – dichiara Fase –Essere alla Milano Music Week per me è un po’ come tornare a casa. Milano, in un certo senso, mi ha adottato: qui racconterò il mio percorso e aprirò una finestra sulla mia nuova musica».
L’evento unisce musica e ascolto, trasformando il palco in un luogo di dialogo e condivisione.
FASE guiderà il pubblico attraverso le diverse “fasi” della creazione musicale e del suo modo di vivere oggi il ruolo di cantautore, una figura che sta tornando a occupare un posto centrale nel panorama contemporaneo.
Ospite speciale sarà Amanda Roberts, artista dall’anima antica e profonda, capace di fondere romanticismo e leggerezza. Insieme daranno vita a momenti di musica e sintonia autentica.
A moderare l’incontro sarà il giornalista Fabrizio Basso, che accompagnerà FASE nel dialogo con il pubblico su temi attuali come la forza creativa della vulnerabilità, l’autenticità nella scrittura e il valore dei concerti nell’epoca dominata da smartphone e social media.
Un’occasione per riscoprire il potere dell’ascolto e la magia della musica dal vivo, in un incontro che promette emozioni, riflessioni e spontaneità.
Intervista a Fase
1. “Stare Bene Stare Male” è un titolo che riassume una condizione umana universale. Da dove nasce questo brano e cosa rappresenta per te oggi?
È nato in uno di quei momenti in cui ti senti sospeso: non stai davvero bene, ma neanche così male da fermarti. Una terra di mezzo dove però si consuma tutto: le domande, i dubbi, la fame di vita. Oggi per me rappresenta una presa di coscienza. Non si tratta di scegliere tra lo stare bene o male, ma di riconoscere che si può esistere anche in quella zona grigia, e che lì si è comunque vivi. Anzi, forse è proprio lì che si sente di più il battito.
2. Hai descritto la canzone come «l’urlo di chi non vuole più restare intrappolato nei rimpianti». Quali sono i tuoi rimpianti e come sei riuscito a trasformarli in musica?
Il più grande è aver rimandato troppo spesso ciò che avrei voluto dire o fare, per paura di sbagliare o non essere all’altezza. La musica è diventata il mio modo di urlare tutto ciò che ho taciuto. Scrivere per me non è mai solo un esercizio artistico, è un atto di sopravvivenza. Ogni strofa è un rimpianto che si trasforma in forza.
3. Nel brano c’è un equilibrio potente tra euforia e vuoto, rabbia e desiderio. È una scrittura più istintiva o frutto di una riflessione profonda sulle tue esperienze?
È una scrittura che parte dal ventre. Istintiva, cruda, ma che viene dopo una lunga digestione emotiva. Quando scrivo non ho filtri, ma arrivo lì dopo aver attraversato tempeste. È un equilibrio che conosco bene, quello tra l’euforia e il vuoto. Lì dentro ci ho vissuto a lungo. E quando lo racconti senza paura, la gente lo sente.
4. Musicalmente il pezzo ha un sound fresco ma anche malinconico. Come hai lavorato sugli arrangiamenti per rendere questa doppia anima del brano?
Ho voluto che la malinconia non fosse mai fine a se stessa, ma avesse sempre una spinta, una corsa verso qualcosa. Per questo convivono i synth più aperti, quasi liberatori, con momenti più cupi e sospesi. Abbiamo lavorato molto sull’alternanza di pieni e vuoti: strumenti che entrano e poi spariscono, voci che sembrano lontane e poi ti esplodono addosso. Volevo che l’ascoltatore sentisse quella tensione emotiva anche solo chiudendo gli occhi.
5. Spesso nelle tue canzoni parli di fragilità e forza come due facce della stessa medaglia. Pensi che mostrarsi vulnerabili sia oggi un atto di coraggio?
Assolutamente sì. Viviamo in un mondo dove ci si sente costretti a fingere certezze, a mascherare tutto. Ma chi ha il coraggio di mostrarsi nudo, anche quando sanguina, ha già vinto. Io non scrivo per sembrare invincibile, scrivo per dire “anche io cado, ma ci provo lo stesso”. La fragilità non è una debolezza, è una fiamma che brucia dentro. E se la usi bene, può illuminare anche gli altri.
6. Dopo “Fiamme” e “Buonavita”, “Stare Bene Stare Male” segna una nuova tappa del tuo percorso. C’è un filo che lega questi brani, magari una sorta di trilogia emotiva?
Assolutamente sì, anche se non era previsto all’inizio. A posteriori mi rendo conto che Fiamme, Buonavita e Stare Bene Stare Male sono come tre istantanee diverse della stessa anima in trasformazione.
“Fiamme” è lo scatto della lotta interiore, del fuoco che ti brucia dentro quando stai per crollare.
“Buonavita” è il tentativo di risalire, con ironia e malinconia, un brindisi stonato ma necessario alla vita che ti resta.
“Stare Bene Stare Male” è il punto di rottura: smetti di nasconderti e ti concedi il diritto di stare anche male, se serve. È lì che trovi la tua verità, ed è da lì che riparti davvero.
È una trilogia emotiva, sì. Ma soprattutto è una presa di coscienza.
7. Parli spesso del rapporto tra corpo e mente, tra vivere e sopravvivere. Che ruolo ha la musica nel tuo equilibrio personale?
La musica è l’unico posto dove non mento a me stesso. È il mio spazio sacro, dove tutto — il corpo, la mente, i dolori, i sogni — possono convivere senza filtri.
Quando scrivo, sento il battito tornare regolare. Quando salgo sul palco, il caos si organizza. Quando ascolto certe melodie, il mio corpo smette di tremare.
Vivere e sopravvivere a volte si confondono. La musica mi aiuta a ricordare perché sto lottando.
Senza, non reggerei l’urto.
8. Il progetto Buonavita singolo e podcast sembra un’estensione del tuo mondo musicale nel racconto del reale. Come è nata l’idea di trasformare un brano in un format di dialogo e riflessione?
È nato tutto per istinto. Dopo aver scritto Buonavita, mi è venuto naturale chiedermi: “Ma che cos’è davvero una buona vita?”.
E lì ho capito che non volevo solo raccontare la mia visione. Volevo ascoltare quella degli altri.
Il podcast è stato un modo per ampliare lo spazio della canzone, per trasformarla in un luogo di scambio. Ho scelto persone vere, storie vere, e ci siamo messi a nudo senza copione.
Oggi, per me, Buonavita è molto più di un singolo: è un manifesto emotivo collettivo.
È come dire: ognuno ha le sue crepe, ma possiamo farci luce a vicenda.
9. Torino è molto presente nella tua musica e nel tuo immaginario. Quanto ti ha influenzato la città e cosa rappresenta per te oggi?
Torino è la mia pelle. È la nebbia che mi porto addosso, ma anche la luce dei tramonti che solo qui hanno quel colore.
È una città che non si concede subito. Devi viverla, perdertici dentro, ascoltarla. Un po’ come me.
Mi ha insegnato il silenzio, ma anche la rabbia. Mi ha dato i vuoti, ma anche le rinascite.
Ogni via di Torino è legata a una mia canzone, a un amore, a una notte in cui pensavo di mollare tutto.
Per me, Torino non è solo lo sfondo. È un personaggio. È parte della mia voce, dei miei testi, di ciò che voglio lasciare.
Oggi rappresenta la memoria e il futuro: è il posto da cui parto ogni volta per raccontare il mondo, ma anche il punto a cui torno quando ho bisogno di ricordare chi sono.
10. Nei tuoi testi si percepisce una forte attenzione alla verità, anche quando fa male. È difficile restare sinceri in un’epoca che tende a spettacolarizzare tutto?
Oggi è difficilissimo restare a luci accese. Viviamo in un’epoca dove tutto dev’essere confezionato, filtrato, viralizzabile. La verità invece è scomoda, ruvida, spesso fuori fuoco. Ma è proprio lì che si nasconde la parte più viva di noi.
Restare sinceri significa rischiare di non piacere, di non performare, di non essere cool. Ma è anche l’unico modo che conosco per sentirmi in pace con quello che faccio. Io non mi metto in scena, mi metto a nudo. E ogni volta che lo faccio, anche se fa male, so che c’è qualcuno dall’altra parte che si riconosce, che si sente meno solo.
La verità non ha hype, ma ha radici. E se vuoi durare, quelle ti servono più dei numeri.
11. Hai un passato da frontman con i Fase39. Quanto è cambiato il tuo modo di scrivere e di vivere la musica da quando sei diventato solista?
Con i Fase39 ero parte di una famiglia. Era bello, potente, ma anche confuso a volte. Essere solista ti costringe a guardarti dentro, a sentire il peso di ogni parola che scegli. Scrivere oggi è un atto più consapevole, più viscerale. Ho imparato a non aver paura del silenzio, a usare anche le pause come parte del racconto. E poi… oggi ogni brano è davvero mio, non solo per firma, ma per anima. È una responsabilità enorme, ma è anche una libertà che mi ha cambiato la pelle.
12. “Per come sei tu” parlava delle crisi di panico, “Fiamme” della dipendenza, ora “Stare Bene Stare Male” delle contraddizioni interiori. È come se la tua discografia fosse un percorso terapeutico. Lo è?
Lo è. Ma non solo per chi ascolta. Lo è innanzitutto per me. Ogni brano che ho scritto nasce da un’urgenza reale: attacchi di panico, cadute, risalite, dipendenze emotive, momenti in cui pensavo di non rialzarmi.
“Per come sei tu” è nata da una notte in cui mi sono sentito morire per l’ansia, e nessuno poteva capirmi. “Fiamme” è un abbraccio dato a chi si è perso, anche a me stesso. “Stare Bene Stare Male” è lo specchio di tutte le volte che mi sono chiesto: ma starò mai davvero bene, o ho solo imparato a conviverci?
La mia musica è come un diario emotivo, ma anche un ponte. Perché quando la condivido, quella fragilità non è più solo mia. Diventa voce per chi non riesce a raccontarsi, o per chi cerca un modo per iniziare a farlo.
È una terapia cruda, ma vera. E forse è l’unica che funziona davvero: quella che ti mette davanti a te stesso e ti dice “ok, sei questo. Ma puoi farcela comunque”.
13. Guardando avanti, stai già lavorando a un nuovo progetto o pensi di continuare a esplorare questo equilibrio tra musica, introspezione e racconto sociale?
Sto lavorando a un progetto che è un passo avanti, ma con lo stesso cuore.
Non voglio rinunciare all’introspezione, al racconto emotivo, ma sento il bisogno di allargare il campo: raccontare non solo quello che ho dentro, ma anche quello che vedo fuori. La solitudine, le crepe nei legami, il rumore delle città, le parole non dette.
La mia musica continuerà a essere vera, ma sempre più libera. Non inseguo la perfezione, inseguo lo scatto giusto: quello che ti prende allo stomaco.
Il prossimo progetto sarà come aprire una porta su una stanza piena di specchi: ci troverai le mie fragilità, le mie contraddizioni, ma anche le tue. E spero che, ascoltandolo, ognuno possa portarsi via qualcosa.
Un respiro. Una cicatrice in meno. Una scintilla in più.

Speaker radiofonico, musicista e collaboratore di diverse testate nazionali e internazionali. Segue come inviato il Festival di Sanremo dal 1999 e l’Eurovision Song Contest dal 2014 oltre a numerose altre manifestazioni musicali. In vent’anni ha realizzato oltre 8.000 interviste con personaggi del mondo della musica, dello sport e dello spettacolo. Nel 2020 ha pubblicato il romanzo “La Festa di Don Martello” e nel 2022 “Galeotto fu il chinotto” e “Al primo colpo non cade la quercia”.
📢 Segui iMusicFun su Google News:
Clicca sulla stellina ✩ da app e mobile o alla voce “Segui”
🔔 Non perderti le ultime notizie dal mondo della musica italiana e internazionale con le notifiche in tempo reale dai nostri canali Telegram e WhatsApp.
