Shigera

Giovane, autentico e con una scrittura che arriva dritta al cuore, Shigera è una delle voci più interessanti del nuovo panorama cantautorale italiano. La sua musica nasce dal bisogno di raccontarsi senza filtri, trasformando le fragilità in forza e le esperienze quotidiane in versi intensi e universali.

Con uno stile che unisce introspezione e melodia, Shigera si muove tra pop, indie e cantautorato, costruendo un linguaggio personale e riconoscibile. Nei suoi brani convivono emozione, sincerità e una voglia costante di ricerca. In questa intervista, l’artista ci parla del suo percorso, delle ispirazioni e del significato più profondo dietro le sue canzoni.

Intervista a Shigera

1. Il tuo progetto si chiama Shigera, come la nebbia milanese: cosa ti ha spinto a scegliere questo nome e quale atmosfera vuoi evocare con la tua musica?

Ho scelto la nebbia perché mi affascina da sempre. Mi sembra la metafora più adatta per descrivere la società di oggi: confusa, sfocata, piena di contraddizioni. Ci muoviamo a tentoni, senza punti di riferimento, con la paura di quello che si trova oltre. Shigera vuole raccontare questo clima, ma anche ricordare che oltre la nebbia si nascondono cose bellissime. Per questo lo scrivo con i kanji 詩華羅, che significano “velo poetico fiorito”: un invito a guardare cosa c’è sotto quel velo.

2. Nei testi emerge l’idea di un limbo emotivo in cui navighiamo oggi: come questo concetto si riflette nelle sonorità del tuo progetto?

Ho sempre amato gli ostinati e i suoni che si ripetono. C’è qualcosa di ipnotico nella ripetizione, e spesso nei miei brani il testo e la musica rispecchiano questa preferenza. In Lockdown al vuoto del testo corrisponde una chiusura musicale improvvisa; in Barboncini i cori “O-Á” richiamano quasi l’abbaiare insistente del barboncino; in Petrolio il pianoforte culla come onde in mare aperto; in Sono stato i suoni restano sospesi, a metà tra coscienza e sonno.

3. La tua musica non vuole consolare, ma creare uno spazio intimo: come definiresti l’esperienza emotiva che vuoi offrire a chi ti ascolta?

Vorrei dare all’ascoltatore uno spazio intimo in cui essere autentico. Un luogo dove non serve “raccontarsela”, ma si può stare da soli con le proprie emozioni, anche quelle scomode. Nulla è mai solo bianco o nero: viviamo sfumature infinite, spesso difficili da nominare. Spero che la mia musica aiuti a riconoscerle e a sentirsi meno soli davanti a queste complessità.

4. Petrolio è uno dei brani più significativi del progetto. Come è nato il pezzo e quali emozioni volevi trasmettere attraverso di esso?

I testi dei miei brani spesso sono scrritti a quattro/Sei mani con mio fratello, Federico, e Morris Bragazzi, sceneggiatore e videomaker nonchè amico di lunga data. Petrolio è uno dei pochi testi che ho scritto io. Nasce da un ricovero in ospedale durante la pandemia, dieci giorni di immobilità che mi hanno segnato profondamente. Ho voluto raccontare quella staticità, la necessità di libertà, il tempo che non passa. È un brano molto personale, ma credo che ognuno possa ritrovarvi esperienze diverse con lo stesso peso emotivo.

5. Ho notato la scelta di costruire canzoni su giri armonici semplici e una produzione essenziale. Come lavori sull’equilibrio tra minimalismo e intensità emotiva?

Da questo punto di vista seguo molto gli insegnamenti di mio padre: come lui, anche io penso che l’abilità nella comunicazione, stia nel riuscire ad esprimere cose complesse con semplicità, tale che anche un bambino può cogliere qualcosa. Per questo uso giri armonici semplici, per comunicare potenzialmente a tutti. Spesso quindi l’aspetto armonico è quello che curo di più durante la produzione, proprio perché già minimale in partenza. Poi mi piace giocare con la voce e con i testi delle canzoni per dare quell’intensità. In Petrolio mi affatico nel cantarla apposta per dare quel tenore emotivo. Il testo di Barboncini veicola già da solo molte delle sfumature emotive della canzone, come amarezza e frustrazione.
Poi io tengo moltissimo a mettere in praticamente ogni pezzo, delle linee musicali finali, come code del ritornello, dei “drop” possiamo dire che siano di facile memoria ed incisivi, che rimangano e richiamino; spesso questi sono proprio il collegamento tra il minimalismo e l’intensità emotiva del pezzo.

6. La tua voce evoca malinconia, una caratteristica che si lega alla tradizione cantautorale italiana. Quanto influisce la tua interpretazione vocale nel comunicare le tue emozioni?

Trovare la mia voce per me è stato un percorso lungo. Per anni ho cercato di imitare altri, provando a scrivere per conto terzi senza trovare una mia identità. Mi dicevano che non avevo un timbro riconoscibile, e questa cosa mi ha pesato. Con Petrolio ho capito che la mia voce è sempre stata lì: era la mia voce naturale, quella con cui parlo ogni giorno. Da lì ho iniziato a cantare in modo più autentico, e l’intensità è arrivata da sé.

7. Nel progetto affronti paure, sogni e contraddizioni che spesso restano inespresse. Ci sono state canzoni in cui ti sei sentito particolarmente vulnerabile nel condividere questi sentimenti?

Le canzoni in cui mi sento più esposto sono quelle che ho scritto io: Petrolio e Lockdown. Petrolio racconta un mio momento di fragilità personale, Lockdown una vulnerabilità collettiva. Ogni volta che canto Petrolio dal vivo devo stare attento a non farmi tradire dall’emozione.

8. L’indie-pop è un terreno musicale molto vasto. Quali sono le tue principali influenze e come le hai fatte dialogare con il tuo stile Personale?

Ne ho tantissime. In casa ascoltavamo musica inglese e cantautorato italiano, e crescendo ho esplorato generi diversi. A un certo punto ho scelto Lucio Battisti come modello: con pochi accordi riusciva a dire cose profondissime. Dall’altra parte amo la scena inglese, band e artisti che mescolano strumenti classici ed elettronica in modo originale: Alt-J, Benjamin Clementine, Editors, The National, Jacob Bellens, Four Tet. Infine, nelle produzioni con Federico Sapia (Fede McAllister) è stata forte l’influenza di Stranger Things: ha riportato sonorità anni ’80 che mi hanno ispirato molto.

9. Guardando al futuro del progetto, hai già in mente nuovi brani o collaborazioni che possano ampliare l’universo musicale di Shigera?

Sto lavorando a sei brani nuovi per il prossimo disco, che vorrei far uscire l’anno prossimo. Alcuni potrebbero diventare dei singoli, ma è una decisione che prenderò strada facendo.

10. Se dovessi invitare qualcuno ad ascoltare il tuo album con una sola frase, quale sceglieresti per descrivere l’esperienza unica che offre la tua musica?

Non sei così solo come alle volte puoi arrivare a pensare.

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