La nostra intervista ad Amalfitano , all’anagrafe Gabriele Mencacci Amalfitano, a ridosso dell’uscita di “Tienimi la mano, Diva!“, il suo nuovo album pubblicato per Flamingo Management, prodotto da Francesco Bianconi e Ivan A. Rossi.
Questo progetto è dedicato al lato demoniaco della bellezza e all’amore, al loro carattere più pagano a quello che è stato di Afrodite. Un lavoro dedicato all’apice dei vent’anni, all’invidia dei trenta, alla nausea dei quaranta. Un disco lontano da ogni punto di riferimento che ci farebbe sentire a casa, al sicuro, ma all’interno di un universo fatto di amori folli, figure mitologiche, diavoli su diavoli: metà uomini e metà comete.
Intervista ad Amalfitano
Partiamo dal tuo nuovo album “Tienimi la mano, Diva!”, a cosa si deve la scelta del titolo?
«”Tienimi la mano, Diva!” viene dal passato più remoto, dall’invocazione alle muse per ispirarci il canto. Ma volevo anche intenderlo come una vera richiesta d’aiuto, perché spesso cantare di cose che ci hanno fatto male e che magari non vogliamo rivivere, beh li hai bisogno di una mano».
Il disco è prodotto da Francesco Bianconi e Ivan A. Rossi, come ti sei trovato a lavorare con loro?
«Mi sono trovato benissimo, sono artisti eccezionali, che sanno vivere la musica in maniera densa e sanno tenere insieme tutte le idee che compongono un album. Perché fare singoli o fare un album sono due cose completamente diverse, fare un album intero entri veramente la vita di qualcuno quando lo metti insieme, e servono persone ispirate, sensibili e molto intelligenti».
A proposito del processo di creazione di questo progetto, da quali riflessioni sei partito e a quali conclusioni sei arrivato?
«Più che riflessioni o conclusioni, è stato un percorso catartico, un momento di passaggio che ha avuto i suoi punti bassi per finire in un esplosione, è sceso giù nel cuore ed è risalito come di rimbalzo, e poi lasciare andare tutto questo e continuare».

Pensi ci sia un filo conduttore testuale e/o sonoro tra le tracce in scaletta? Musicalmente parlando, che tipo di lavoro c’è stato dietro la scelta del sound?
«Il sound volvo fosse più vicino possibile a come lo avrei suonato dal vivo, quindi siamo andati verso il rock, che alla fine è il genere musicale che più mi ha accopagnato nella mia vita. La scaletta invece è stata fatta ragionando su come accompagnare l’ascoltatore nel mio mondo senza essere troppo invadente».
Sei laureato in filosofia e in storia delle religioni, come descriveresti il momento che stiamo vivendo?
«Più che periodo, quanti periodi, viviamo tanti mondi contemporaneamente e se ne aggiungono sempre altri, ovviamente tutto questo crea molta confusione e fa sembrare tutto contraddittorio, forse dovremmo riavviciarsi a quelle culture che nella coincidenza degli opposti, nelle contraddizioni, ci si lasciavano andare per trovare proprio lì la pace».
Per concludere, quali elementi e quali caratteristiche ti rendono orgoglioso del risultato finale di “Tienimi la mano, Diva!”?
«Sento di padroneggiare meglio la mia lingua per scrivere canzoni, questa cosa mi ha fatto mi ha cambiato la vita».
Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte di raccontare. È autore del libro “Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin” (edito D’idee), impreziosito dalla prefazione di Amadeus. Insieme a Marco Rettani ha scritto “Canzoni nel cassetto”, pubblicato da Volo Libero e vincitore del Premio letterario Gianni Ravera 2023.
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