malakay

Da martedì 22 febbraio “Millennium Ghetto” – il nuovo singolo del rapper e produttore sardo Malakay – ha anche un video, prodotto da Nubifilm Studio con la regia di Claudio Spanu, in cui la fuga dell’artista dai suoi rapinatori non è nulla di diverso da quello che tentiamo di fare ogni giorno: scappare dai nostri errori passati, dalle nostre paure e da ciò che non vogliamo più vedere. Ma non importa dove ci nasconderemo o quanto lontano andremo. I nostri demoni verranno infatti a cercarci ovunque saremo.

Millennium Ghetto” è il primo capitolo di una narrazione più ampia e complessa, una fotografia di questo momento storico, delle paure e delle ansie che viviamo a causa della pandemia, a cui fanno da contraltare i riferimenti culturali e le angosce che hanno dominato la fine del vecchio millennio e l’inizio del nuovo.

Malakay, la nostalgia verso i primi anni 2000

Attraversato da una nostalgia verso i primi anni del nuovo millennio e con un’idea di suono a metà strada tra Kanye West, Pharrell e Ty Dolla Sign, il brano si apre con il discorso che Bill Clinton fece alla fine del 1999, quando si temeva che il millennium bug potesse mandare in crash tutti i computer del pianeta, scatenando una guerra informatica e un blocco mondiale delle infrastrutture.

I riferimenti alla cultura pop dei primi anni 2000, che hanno segnato l’immaginario culturale di Malakay, diventano così i protagonisti del brano: dall’uscita di College Dropout (l’album d’esordio di Kanye West, nda) ad Austin Powers (la serie di film parodia sulle storie di spionaggio degli anni ’70, nda), passando per Grindhouse (il film di Quentin Tarantino e Robert Rodriguez, nda).

“È appena uscito College Dropout/ fa ancora ridere Austin Powers/ mi sento Rodriguez in Grindhouse/ Darth Maul sembra il nuovo Darth Vader / We were born in the millenium ghetto”.

Millennium Ghetto: Il Sound

Rappresentante della scena rap da oltre dieci anni, con “Millennium Ghetto” Malakay ha sviluppato un sound e un immaginario in cui le sonorità elettroniche si fondono con quelle hip hop: “Ho iniziato a lavorare sul beat partendo dal sample di un coro africano. Volevo qualcosa di etereo, che sembrasse quasi sacro, per lavorare sul contrasto con gli altri elementi”. Le influenze elettroniche e ambient – testimoniate dalle sonorità distorte dell’inciso e dall’utilizzo del Talkbox, avvicinano infine il brano alla trap: “Avevo l’intenzione di creare un sound nuovo, diverso il più possibile da quello che stavano facendo tutti gli altri“.

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