Enrico Ruggeri

Enrico Ruggeri racconta al Corriere della Sera la sua visione sulla musica italiana, Sanremo, Fiorella Mannoia e la cultura musicale di oggi.

Enrico Ruggeri torna a far discutere con un’intervista al Corriere della Sera, in cui riflette sulla sua carriera, sul presente della musica italiana e sul valore delle canzoni al di là delle mode e degli algoritmi. Il cantautore milanese, due volte vincitore al Festival di Sanremo e oggi volto televisivo di Rai 2 con il programma Gli occhi del musicista, difende una visione artigianale e profonda della musica, lontana dalle logiche del mainstream digitale.

Autore prolifico, Ruggeri ha scritto brani diventati simbolo della musica italiana, molti dei quali affidati ad altre voci. Tra questi Mare d’inverno per Loredana Bertè, Il portiere di notte per Mina e naturalmente Quello che le donne non dicono, interpretata da Fiorella Mannoia al Festival del 1987.

Proprio su questo brano Ruggeri rivela un retroscena: il finale sarebbe stato modificato dalla cantante, trasformando il “sì” previsto nel testo in un “no”. Una scelta che il cantautore definisce «una forzatura, figlia della cultura woke», perché – spiega – la forza della canzone sta proprio nelle speranze disattese e nel desiderio di ritrovare l’amore iniziale.

Sanremo, pressioni e trionfi

Protagonista di alcuni dei Festival più memorabili, Ruggeri ricorda la vittoria del 1987 con Si può dare di più insieme a Umberto Tozzi e Gianni Morandi. Un successo nato «negli spogliatoi della Nazionale Cantanti», come racconta, e vissuto con la pressione e l’attenzione mediatica che quel successo portò con sé.

Oggi Ruggeri vede un panorama musicale polarizzato, dove il successo sembra misurarsi soprattutto attraverso numeri e classifiche. Ma sul punto non ha dubbi:

«La musica italiana è viva e vegeta. Non è quella di Spotify, delle radio commerciali o della televisione, ma c’è eccome».

Proprio questa convinzione è al centro del suo programma su Rai 2, Gli occhi del musicista, che punta a raccontare le storie e le anime dietro le canzoni, restituendo alla musica il suo valore umano e non solo commerciale.

Ruggeri commenta anche la moda degli stadi e degli show monstre, dichiarando di non essere attratto da quel tipo di competizione:

«Io mi sono spinto al massimo fino al Forum. Ho un pubblico diverso, più elevato. D’altronde si vende più tavernello che champagne».

Nel corso della sua carriera Ruggeri ha incrociato personaggi unici: da Mina – che lo chiamò in prima persona per scegliere Il portiere di notte – a Giulio Andreotti, che arrivò a tornare sui suoi passi per ascoltarlo cantare in studio. Momenti che raccontano quanto la sua musica abbia attraversato mondi e generazioni diverse.

Dopo concerti, dischi, tv, radio e libri, Ruggeri non ha dubbi: il palco resta la sua dimensione più autentica. È lì, racconta, che capisce davvero cosa arriva alle persone:

«Quando canto il brano sull’Alzheimer vedo negli occhi chi tornerà a casa ad accudire un genitore. È la più grande soddisfazione: emozionare gli altri».

Dalla critica al conformismo musicale contemporaneo all’orgoglio del mestiere, l’intervista di Enrico Ruggeri è la testimonianza di un artista che continua a credere nella musica come artigianato, visione e identità. Una voce fuori dal coro, che invita a guardare oltre le classifiche e a ricordare che – prima di tutto – una canzone è un’emozione.

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