La nostra intervista a Rose Villain, in occasione dell’uscita del suo secondo album “Radio Sakura“, fuori per Warner Music Italy a partire da venerdì 8 marzo.
Reduce dal debutto sanremese con “Click Boom!“, la cantautrice milanese è pronta a dare alle stampe il degno sequel di “Radio Gotham” disco pubblicato lo scorso anno e che l’ha proiettata tra le nuove promesse della scena urban pop.
Con questo lavoro, Rose Villain si conferma una performer di livello, abile nel mostrare i suoi volti e le sue anime con eleganza e freschezza. Ecco cosa ci ha raccontato a proposito di questa sua nuova fatica discografica.
Intervista a Rose Villain
Quando ci siamo incontrati prima di Sanremo, ci hai incuriosito anticipandoci che questo nuovo disco è un po’ come se si fosse scritto da solo. Ci racconti in dettaglio come si è svolto il processo creativo di “Radio Sakura”?
«Guarda, realizzare questo disco è stata la cosa più naturale della mia vita. È come se la musica fosse sgorgata fuori dal mio corpo. È stato un anno pieno di cose e appena mi sono fermata un attimo, mi
sono ritagliata un mese di tempo e sono andata a New York, che considero un po’ il mio nido e il mio rifugio, e così queste dodici canzoni sono uscite di colpo. La considero un’esperienza bellissima, molto positiva e molto luminosa».
Il filo che unisce queste dodici tracce è la ricerca della speranza, espressa sin dal titolo con questa metafora legata alla fioritura e quindi alla rinascita. Facendo un parallelismo con il precedente “Radio Gotham”, quali sono da una parte i punti di contatto e dall’altra le principali differenze tra queste tuoi due lavori?
«Allora, “Radio Gotham” rappresentava una sorta di esplorazione dei miei lati più oscuri, così come “Radio Sakura” prosegue una qualche ricerca di me stessa. Li considero entrambi come se fossero un po’ i miei diari di bordo, sui cui ho scritto di quello che vivo e di quello che ho vissuto. Il primo era forse un disco con un pochino di frustrazione e di rabbia, mentre nel secondo è rimasta quella nostalgia e quella stessa inquietudine, che alla fine mi apparterranno sempre e che considero parte del mio essere artista. Di sicuro, la connessione che si è creata con le persone attraverso il primo album mi ha reso molto più confident nell’aprirmi e nel non aver paura a mostrarmi vulnerabile».
La traccia che apre l’ascolto è un vero e proprio inno alla resilienza, che canti a due voci insieme a Madame. Da questo pezzo in particolare e un po’ da tutto il disco in generale traspare un certo interesse nei confronti della cultura giapponese, dalla citazione appunto del samurai Hattori Hanzo ai fiori di ciliegio. Cosa ti affascina nello specifico della cultura e delle tradizioni del Paese del Sol Levante?
«Sono stata diverse volte a Tokyo, ho girato un po’ il Giappone ed è veramente uno dei posti che più mi hanno colpito, perché possiede un’estetica e una cultura che considero entrambe molto eleganti. I giapponesi riescono a mostrarsi delicati anche raccontando le cose più violente e più crude, riescono a
comunicarle a modo loro, come un qualcosa che non ti arriva come un pugno in faccia. Mi colpisce il loro approccio alle cose, anche quelle che possiamo considerare peggiori, sanno come fartele assorbire. Questa per me è una chiave per leggere la vita, trovare le cose negative e riuscire in qualche modo a renderle se non piacevoli almeno digeribili».

Oltre a Madame, nel disco sono presenti diversi i featuring da Ernia a Bresh, passando per TheSup e Guè. Come sono nati questi incontri e cosa pensi abbiamo aggiunto alla narrazione di questo disco?
«Amo molto gli incontri artistici, anche se i featuring sono molto legati agli ambienti urban e rap, mi è sempre piaciuta l’idea di unire le forze. Lo trovo divertente e, se vogliamo, anche molto sorprendente. e Se noti, sia in “Radio Gotham” che in “Radio Sakura”, tutte le collaborazioni si allontanano dalla cosiddetta comfort zone. Io mi butto sempre l’amo e sono felice quando dall’altra parte mi rendo conto che la stima è reciproca, perché è con questi artisti che ci si può spingere a fare cose particolari, a toccare anche tematiche difficili. Tutti e cinque gli ospiti di questo nuovo disco sono stati incredibili, l’unico che non conoscevo era Bresh, ma anche con lui siamo entrati subito in sintonia».
Una delle tracce che più mi hanno colpito al primo ascolto è “Trasparente”, che racconta di questa sorta di solitudine in cui a volte ci autoconfiniamo. Da quali riflessioni è stata ispirata questa canzone?
«Essendo un’artista, sento tutto in maniera amplificata. Mi ritengo una persona iper sensibile, ma ammetto di avere un po’ questa cosa del voler a tutti i costi essere notata, ma non in termini di popolarità, bensì di riuscire ad arrivare agli occhi, alle orecchie e al cuore delle persone. Diciamo che il successo non mi è arrivato in un attimo, ma ancora adesso mi capita di sentirmi trasparente. Questa cosa credo che sia tipica della mia generazione, a seguito dell’avvento dei social, sembra che tutti vogliano in qualche modo essere notati. Non è solo una questione di approvazione, ma alla fine la canzone abbandona questo mood un po’ arreso e viene fuori la speranza e la voglia di non arrendersi a questa situazione. Ricordo che “Trasparente” l’ho registrata una sola volta, buona la prima, il giorno della consigliata del disco ho sentito l’urgenza di non lasciarla fuori».
L’ascolto si chiude con “Milano almeno tu”, che sviscerail rapporto di odio-amore che hai con la tua città, una città tentacolare e sempre più in continua evoluzione, che continua a rappresentare una meta attrattiva e un sogno per tante persone. Per chi ci è nato e cresciuto è diverso, specie per chi come te ha avuto modo di confrontarsi con altre culture e con altre realtà, non è vero?
«Sì, infatti, questa canzone ce l’avevo nel cassetto da un po’ di tempo, è l’unica che non ho
scritto lo scorso anno, anche se l’ho riaperta e rilavorata. A me sembra che tutti cerchiamo di fuggire dal posto in cui nasciamo e cresciamo, da dove abbiamo le prime esperienze legate all’infanzia e all’adolescenza, magari le prime delusioni e i primi traumi. È vero, Milano è una città in evoluzione, ma mi ha sempre trasmesso la sensazione di voler scappare via. Io la vedo un po’ come
un po’ una signora anziana, un po’ burbera e imbruttita, ma di classe e molto elegante. La sento tanto Milano, al punto da soffrire quando sto qui, mentre andare via significa ritrovare me stessa. Eppure sento il suo richiamo, perché qui c’è la mia famiglia, così come ci sono anche le esperienze, belle e brutte, perchè Milano è comunque il set di tante situazioni che mi hanno addolorato».

Il 2024 sarà per te un anno ricco di live, prima dei concerti in programma nel mese di ottobre a Firenze, Padova, Napoli e Milano, ti ritroverai a luglio ad aprire quattro date dei Coldplay allo stadio Olimpico di Roma. Niente male se ti fermi a pensare a quel tuo primo show realizzato lo scorso dicembre ai Magazzini Generali, immagino che dentro di te ci sia un turbinio di pensieri e di stati d’animo…
«Sai, non credo di avere una percezione del mio successo, tendo a non essere mai soddisfatta al 100% e questa credo che sia la chiave giusta per continuare a dare il massimo. Quindi non mi accontento mai, ma sono felice degli step che faccio. Sia le tappe per l’apertura dei Coldplay che le date del mio tour mi daranno la possibilità di presentare le mie canzoni dal vivo, questa è la cosa che più mi emoziona. Se ci penso mi viene già da piangere, considero tutto quello che mi sta capitando qualcosa di incredibile».
Sanremo è una vetrina che ti ha permesso di arrivare a un pubblico nuovo, che con “Click boom!” ha avuto modo di conoscere il tuo mondo e di entrare in questo disordine che forse alla fine ci rende molto più vicini di quello che pensiamo. Qual è il tuo personale bilancio del Festival?
«È stata un’esperienza pazza, sono felice di averla vissuta in modo autentico e di aver portato una canzone non necessariamente per tutti, ma che grazie al cielo è piaciuta a molti. La gente si è connessa a “Click Boom!” e ne sono orgogliosa perché è un pezzo che non ha rappresentato per me alcun compromesso, ma che incarna ciò che sono. Insomma, Sanremo sarà pure un frullatore, ma per chi vuole fare musica è una vetrina di inestimabile valore».
Per concludere, hai più volte ribadito il concetto che questa sia la musica più bella che hai realizzato finora, ma quali elementi e quali caratteristiche ti rendono orgogliosa di un disco come “Radio Sakura”?
«Ricordo perfettamente quando da ragazzina compravo i dischi dei miei cantanti preferiti, non so, ad esempio quando ho sentito per la prima volta “Nevermind” dei Nirvana o quando mi è capitato di ascoltare canzoni che reputo ancora oggi speciali. Ecco, avvertivo quella robina nello stomaco, sentivo le cosiddette farfalle, una sensazione di piacere. E la mia musica riesce a ricreare quelle stesse emozioni, pur non scrivendo a tavolino per la massa, bensì per me stessa. Riuscire a connettermi con gli altri in modo così autentico mi restituisce un senso di profondo amore, oltre che una grande felicità».
Videointervista a Rose Villain
Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte di raccontare. È autore del libro “Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin” (edito D’idee), impreziosito dalla prefazione di Amadeus. Insieme a Marco Rettani ha scritto “Canzoni nel cassetto”, pubblicato da Volo Libero e vincitore del Premio letterario Gianni Ravera 2023.
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