Intervista a Tommaso Paradiso, che il 28 novembre pubblicherà il nuovo album Casa Paradiso, il primo per Columbia Records – Sony Music Italy. Qui il link per l’acquisto di una copia fisica.
Intervista a Tommaso Paradiso, il nuovo album “Casa Paradiso”
Partiamo dal titolo: “Casa Paradiso” suona subito come un ritorno alle origini. In che momento hai sentito il bisogno di tornare “a casa”, artisticamente parlando?
Ogni tanto uno prende delle traiettorie strane, no? A volte sei scontento di quello che hai fatto prima, anche se in quel momento ci credevi e lo sostenevi pure a gran voce. Io non mi pento di nulla, sono orgoglioso di ogni disco.
Però venivo da anni difficili: il Covid, il lockdown, una guerra, poi un’altra… Tutte situazioni di pericolo che ti fanno cercare un luogo di conforto. E allora torno alle cose semplici: il pane e salame, la bruschetta con l’olio. Anche musicalmente reagisco così: vado verso le sonorità che amo di più, i passaggi armonici che mi fanno stare bene.
Il disco nasce da immagini molto forti. La più importante è quella che apre “Tornare a casa”. Come si è evoluto quel brano?
La prima versione era un po’ più classica, con accordi più complicati. Poi ho pensato: “Questi errori li ho già fatti”. Ho voluto renderla più semplice, più coerente con il disco.
La prima frase è una delle più belle che abbia mai scritto: “Sono qui che tremo, non come Zenga ma per davvero”. Mi ispirai a quel famoso episodio tra Variale e Zenga… Metterlo nella canzone mi ha fatto godere proprio.
Il disco è un equilibrio tra nostalgia, realtà e desiderio. Come sei riuscito a far convivere questi elementi?
Perché convivono in me in maniera paritaria. La nostalgia è un luogo di conforto, sono legatissimo alle immagini del passato. La malinconia è quella che spinge gli artisti a creare. E il desiderio è la speranza: io quando vado a dormire ho sempre una fiammella che non si spegne mai. Alla fine sono un ottimista.
Rispetto al passato, oggi componi più per slancio o per riflessione?
Se prima vivevo solo di slanci, adesso vivo di slanci e riflessioni.
Non posso più permettermi di vivere solo di slanci: da ragazzo ero un cane per strada, senza responsabilità. Oggi ho una famiglia, una casa. Sono amore che arriva da un’altra parte. Quando smetti di vivere di slanci, inizi a riflettere di più.
Nel disco c’è anche un momento più rock: “Goditela”. Che ruolo ha nel progetto?
Serviva un pezzo movimentato, quasi rock: parte con un chitarrone elettrico, la batteria picchia, va veloce. È divertentissimo da suonare dal vivo.
E poi racchiude immagini italiane che adoro: la Panda, le spiagge del Lazio…
Proprio a proposito di Italia: nei tuoi testi racconti un’Italia concreta, reale, spesso dimenticata. Quanto è importante per te?
Sono morbosamente innamorato del nostro Paese. E poi amo il cinema, in particolare i film balneari degli anni ’50 e ’60: mostrano l’Italia più bella, quella degli stabilimenti, degli scogli, dello spaghetto alle vongole.
Quelle cose ce le abbiamo ancora addosso. E io sogno un’Italia che torni a quella bellezza.
“70.000 voci” sembra introdurre perfettamente il mondo di “Casa Paradiso”. È la canzone che ha aperto il lavoro?
Sì, è stato il primo brano che ho scritto. Volevo immagini tipiche dell’Italia: “Ranieri al Cagliari, benvenuto in Italy…”.
Il disco ha molto a che fare con l’Italia e questa canzone è il ponte perfetto tra il passato e il presente.
L’unico featuring del disco è “Ma come fanno i rapper”, insieme a Setak. Com’è nata?
Da vent’anni di amicizia. Noi stiamo a cena una decina di giorni al mese quando siamo a Roma. È una persona che frequento sempre. La canzone è semplicemente la descrizione di un’amicizia.
C’è un brano molto evocativo: “Citofonare paradiso”, musicalmente piuttosto differente rispetto al resto dell’album.
Qui entrano in gioco i miei amici Mamakas, bravissimi. Questa canzone contiene l’immagine che amo di più: sei in aereo e stai tornando a Fiumicino.
Prima di atterrare passi sul centro di Roma: vedo lo stadio Olimpico illuminato, riconosco tutte le zone. È un pugno al cuore, e l’ho messo lì.
“Non mi va” invece è un momento divertito, quasi un divertissement.
È il pezzo fuori dal disco. Io sono un cazzone e volevo un brano cazzone, come diciamo a Roma.
Mi ha ispirato Gringo, un brano di Sabrina Salerno, che è la colonna sonora di “Fratelli d’Italia”.
Il pubblico ti considera uno dei cantautori più capaci di fotografare la quotidianità. Hai mai sentito il peso delle aspettative?
No. Io mi dico: questo è il meglio che posso fare ora.
Certo, il giudizio lo soffro, sono umano. Ma mentre scrivo non mi pongo limiti. Le opinioni del pubblico le ascolto dopo.
Il 2026 sarà un anno importante, tra tour nei palazzetti e nuovi progetti. Oggi, cosa ti rende più orgoglioso della tua musica?
Il live. Siamo diventati una bella realtà.
Ho la fortuna di suonare con musicisti incredibili, che sono anche amici. L’energia dal vivo si sente, il pubblico la percepisce.
È una sensazione stupenda. Per loro è stupenda, per me anche di più.

Speaker radiofonico, musicista e collaboratore di diverse testate nazionali e internazionali. Segue come inviato il Festival di Sanremo dal 1999 e l’Eurovision Song Contest dal 2014 oltre a numerose altre manifestazioni musicali. In vent’anni ha realizzato oltre 8.000 interviste con personaggi del mondo della musica, dello sport e dello spettacolo. Nel 2020 ha pubblicato il romanzo “La Festa di Don Martello”, nel 2022 “Galeotto fu il chinotto” e “Al primo colpo non cade la quercia” e nel 2205 “Ride bene chi ride ultimo”
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