Sanremo Teatro Ariston

Ogni anno la famiglia Vacchino apre le porte del Teatro Ariston, “tempio della musica italiana”, ai giovani di Area Sanremo per far conoscere il teatro dove ognuno di loro sogna un giorno di poter cantare. Una visita che diventa il modo di ripercorrere la storia della musica italiana con foto e manifesti che s’incontrano lungo la visita che porta i giovani artisti dai camerini, alla galleria, dalla platea al palco.

Un’attività molto apprezzata che quest’anno è stata arricchita dall’incontro con alcuni professionisti, tra cui Pippo Balistreri, che hanno lavorato dietro le quinte dell’Ariston e che hanno raccontato la loro esperienza ai giovani di Area Sanremo

Intervista a Walter Vacchino, proprietario del Teatro Ariston di Sanremo

Lei ha appena tenuto un incontro con i giovani partecipanti. Che impressioni ha avuto dei ragazzi e quali speranze vede per i giovani artisti, non solo in ambito musicale?

Questo è un momento particolarmente significativo per i giovani. Dopo il Covid, eventi come questo non sono più solo occasioni di intrattenimento, ma rappresentano una necessità per restituire serenità in un mondo sempre più complesso e frammentato. La musica è un linguaggio universale, capace di unire, e i ragazzi che si avvicinano a quest’arte lo fanno con grande passione, affrontando testi e melodie che spesso rappresentano una vera forma di poesia. Ho visto in loro energia, voglia di mettersi in gioco e una grande sensibilità, qualità che, soprattutto oggi, sono fondamentali. È un momento speciale, direi unico, che richiede la sensibilità non solo degli artisti, ma anche di chi ha il potere di guidare il mondo verso una direzione più umana e solidale.

Durante l’incontro ha evidenziato l’importanza del lavoro di squadra. Quanto è fondamentale questo aspetto, specialmente in un contesto come il Festival di Sanremo?

È essenziale. Il Festival di Sanremo e il Teatro Ariston sono nomi noti in tutto il mondo, ma dietro il successo c’è una squadra straordinaria. Non parliamo solo di artisti e conduttori, che sono il volto più visibile dell’evento, ma anche di tecnici, giornalisti, forze dell’ordine, squadre sanitarie e tutti coloro che lavorano dietro le quinte. Il successo di una manifestazione come questa è il risultato di un lavoro collettivo, dove ognuno porta il proprio contributo con passione e dedizione. È come una grande orchestra: ci sono i solisti, certo, ma senza l’armonia dell’intero gruppo, il risultato non sarebbe lo stesso.

Nel suo intervento ha menzionato Ghali e il suo messaggio di pace. Che ruolo gioca il Festival nel trasmettere valori come questi?

Il Festival è, prima di tutto, un inno alla pace e alla convivenza. Ghali ha saputo incarnare questo spirito con il suo intervento, dimostrando come la musica possa essere un potente veicolo di messaggi positivi e universali. L’Ariston non è solo un teatro: è un simbolo, una casa dove la musica diventa il linguaggio per costruire ponti e abbattere barriere. Pensiamo non solo alle 2.000 persone presenti in sala durante il Festival, ma anche ai milioni di spettatori che lo seguono da casa. La platea del Festival è enorme, diffusa e intergenerazionale, e ogni anno si rinnova con entusiasmo, portando avanti valori autentici che resistono al tempo.

Qual è la canzone che per lei ha un significato speciale o che le evoca un ricordo unico?

È difficile scegliere una sola canzone, perché ognuna porta con sé un ricordo diverso. Tuttavia, ricordo con affetto un brano di Jovanotti che ascoltavo spesso in macchina insieme a una persona a me cara: quel momento resta vivo nella mia memoria. Poi ci sono brani storici come Papaveri e papere, che ho scoperto solo in età adulta avere un significato politico, e pezzi più leggeri ma coinvolgenti come Il clarinetto di Arbore. Mi piacciono le canzoni che hanno ritmo, umorismo e capacità di raccontare una storia. In campo artistico, però, non esistono classifiche: ogni brano rappresenta un universo a sé, e ognuno di noi lo interpreta in base al proprio vissuto.

Durante l’incontro abbiamo assistito a un momento di grande emozione tra lei e Pippo Balistreri, storico maestro di palco del Festival. Che cosa ci può raccontare di questo legame?

Pippo è una figura fondamentale del Festival di Sanremo. Lavora con noi dal 1981, e in questi anni il rapporto professionale si è trasformato in una profonda amicizia basata su stima e affetto reciproco. L’abbraccio di oggi è stato del tutto spontaneo, un gesto naturale che ha rappresentato l’intensità del nostro legame. È stato emozionante condividere quel momento, soprattutto perché oggi era presente anche mia sorella. Questo rende il Teatro Ariston una grande famiglia, dove i legami umani sono al centro di tutto.

Guardando al futuro, quali sono le sue speranze per il Teatro Ariston e il Festival di Sanremo?

Il mio desiderio è che il Teatro Ariston e il Festival continuino a rappresentare una casa per la musica, un luogo dove i giovani possano esprimersi liberamente e crescere artisticamente. Il futuro che voglio immaginare è basato sulla solidarietà, sul dialogo e su una cultura che metta al centro valori come la pace e il rispetto reciproco. Abbiamo una grande responsabilità: creare un domani che sia fonte di ispirazione per le generazioni future.