Walter Veltroni DallAmeriCaruso

Walter Veltroni Intervista.
A 80 anni dalla nascita di Lucio Dalla, in occasione del ritrovamento delle riprese integrali del suo famoso concerto al Village Gate di New York del 1986, arriva al cinema solo lunedì 20, martedì 21 e mercoledì 22 novembre “DALLAMERICARUSO. IL CONCERTO PERDUTO“, il nuovo film evento diretto da WALTER VELTRONI e prodotto da Nexo Digital e Sony Music.

L’elenco delle sale e i biglietti in prevendita sono disponibili su www.nexodigital.it/dallamericaruso-il-concerto-perduto/

Intervista a Walter Veltroni, DallAmeriCaruso

Walter Veltroni, cosa rappresenta per la storia della musica italiana il concerto perduto e ritrovato di Lucio Dalla al Village Gate di New York?

Per me è una meraviglia, nel senso che io ho sentito tanti concerti di Lucio dal vivo, ma ritrovare insieme tutti questi brani, Anna e Marco, Balla Balla Ballerino, Stella di Mare, Futura, L’anno che verrà, insomma, sono delle meraviglie. Con il lavoro che abbiamo fatto sull’audio queste canzoni assumono una potenza, una forza, una capacità di coinvolgimento che secondo me ci restituiscono tutta la grandezza di Lucio. Io mi auguro che le persone che andranno a vedere questo film lo vivano come un concerto. Non c’è nulla di male se le persone canteranno, applaudiranno. Si devono sentire come se fossero a un concerto.

Proprio per questo lo hai definito un film da cantare! Che poi il canto è anche un modo proprio per avvicinarsi ancora di più al mito di Lucio.

Sai, lui è un artista che per quelli della mia generazione è stato fondamentale, ma quelli della mia età hanno insegnato ai loro figli a ascoltare le canzoni di Lucio Dalla. Quando erano bambini magari gli hanno propinato Attenti al Lupo, immaginando fosse una canzone di bambini e non lo era, poi invece crescendo gli avranno fatto ascoltare le cose più belle. E sono infinite le cose belle di Lucio. Lui faceva parte di una generazione fantastica di cui facevano parte Fabrizio De Andrè, Francesco De Gregori, Lucio Battisti, Antonello Venditti, Francesco Guccini, Ivan Graziani, Pierangelo Bertoli, Claudio Baglioni, Franco Battiato, Pino Daniele. Un momento incredibile della storia della canzone italiana e anche della società italiana. Un concerto di Lucio come tu hai visto era uno spettacolo perché Lucio aggiungeva improvvisazione e poi aveva una cultura musicale spaventosa che veniva restituita tutta attraverso queste note.

In effetti Lucio Dalla poteva essere considerato come il più americano fra i cantanti italiani proprio per questa capacità di sperimentare anche, di contaminare la propria musica.

Sì, il più americano, il più napoletano, il più portoghese, il più brasiliano. Lui aveva una cultura musicale molto profonda, oltre a un talento che è un dono di natura. Lui era veramente un mostro, insomma hai visto come suonava il sax, hai visto come introduceva i brani. Lucio introduceva sempre degli elementi, dei tempi, dei temi musicali all’interno anche di brani conosciuti. Un modo per renderli ogni volta diversi.

Nel film c’è un grande rispetto proprio per queste improvvisazioni che precedono il via vero e proprio delle canzoni.

Sì, io non ne ho toccata nessuna perché Lucio si divertiva, giocava, e quindi lo spettatore deve giocare con lui. Lucio prima di fare, non so, L’anno che verrà andava dall’altra parte e tu pensi che stia andando dall’altra parte e poi invece ti riporta lì. Io ho lasciato le cose così come erano perché l’ho vissuto quel gioco lì e mi piacerebbe che lo vivessero altri.

Nel 1986 cosa rappresentava l’America nell’immaginario collettivo?

Ancora più di oggi la terra delle possibilità, della frontiera, della libertà. Insomma, il 1986 era un momento non brillantissimo negli Stati Uniti, però il fascino di quel paese era rimasto assolutamente intonso. L’America è sempre stata terra di scoperta, un grande laboratorio che riusciva a integrare culture, linguaggi, religioni, molto diverse tra di loro.

Ed è proprio per questo che hai inserito anche l’omaggio alla Leggenda del Pianista sull’Oceano.

Esatto, io cercavo un ponte emotivo tra la prima parte e la seconda, siccome ero rimasto molto colpito dalla bellezza epica di questo racconto di emigranti che vedono per la prima volta la Statua della Libertà e urlano ‘America‘! Ho cercato di usare quelle immagini per congiungere le due parti del film.

Credo che il film sia comunque un omaggio e un modo anche per celebrare l’arte e tutti i suoi linguaggi, quindi anche quell’aspetto così cinematografico della vita di Lucio, come poi hai raccontato anche nella prima parte, quella dedicata proprio a Caruso.

Sì, ma poi c’è la fotografia di Luigi Ghirri, c’è lo sport, ci sono tante cose diverse che servono a raccontare anche la passione per la vita che aveva Lucio.

E c’è John Turturro…

Sì, e mi piaceva perché John Turturro è un ponte tra America, Italia e Napoli, così come Caruso era un ponte tra America e Italia. Quindi abbiamo giocato lungo quest’asse e anche la presenza di queste immagini che Turturro girò nel 2010 e poi non montò nel suo film sono state molto utili per far sentire Caruso e far vedere Lucio mentre canta Caruso.

Lucio Dalla amava la vita e il finale del film è proprio la celebrazione del suo amore per le cose semplici. Un bel messaggio anche per il futuro, sempre attuale.

Sì, penso sì, ma io non volevo finire questo film tristemente, cioè non volevo che ci fosse qualcosa che aveva a che fare con la fine. Fellini diceva che lui non voleva mai nei suoi film che ci fosse la parola fine. Mi sono comportato allo stesso modo.

Anche perché hai definito Lucio Dalla come il cantante più felliniano della storia italiana.

Assolutamente sì. Perché lui era innamorato della fantasia, della finzione, del gioco, esattamente come Fellini.

Videointervista a Walter Veltroni