A poco più di un anno dall’uscita del suo album NON SO CHI HA CREATO IL MONDO MA SO CHE ERA INNAMORATO, Alfa pubblica una Deluxe Edition che non è solo un’aggiunta discografica, ma un tassello importante nel suo percorso di crescita personale e artistica.
“NON SO CHI HA CREATO IL MONDO MA SO CHE ERA INNAMORATO DELUXE” è molto più di una semplice riedizione: è un nuovo capitolo del racconto iniziato con l’album originale, un’evoluzione che ne amplia la visione e ne approfondisce il significato. La deluxe edition sarà disponibile nei formati CD e Vinile colorato e rappresenta un tassello fondamentale nella continua esplorazione del tema centrale dell’opera: l’amore, filo conduttore che unisce ogni traccia, ogni parola, ogni emozione.
I nuovi brani di Alfa non solo si integrano armoniosamente con quelli già pubblicati, ma arricchiscono la narrazione con nuove sfumature e prospettive, dando voce a diverse declinazioni dell’amore, tra sogno e realtà, fragilità e desiderio.
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In questa intervista, Alfa racconta la genesi dei nuovi brani, la sorprendente collaborazione con Manu Chao, il legame profondo con Genova e il desiderio di comunicare a un pubblico sempre più trasversale, senza rincorrere le logiche di mercato.
Intervista ad Alfa
Alfa, pubblichi la Deluxe Edition del tuo progetto a poco più di un anno dall’uscita del disco; una scelta inusuale. Da dove nasce?
In realtà è nata più da un’esigenza artistica che da una decisione discografica. Non ho mai pensato a questa Deluxe come a un’operazione commerciale. L’ho fatto perché avevo bisogno di un disco di transizione, un passaggio tra quello che ho pubblicato e quello che sto già scrivendo. Sento che la mia testa è già lì, al disco successivo. Questi cinque nuovi brani servono anche a me per capire come muovermi nella scrittura futura e per abituare il mio pubblico a una musica più matura, forse anche un po’ più scura.
C’è sicuramente un senso di evoluzione nei nuovi brani. È come se ci fosse una nuova consapevolezza in te, un lavoro più profondo su te stesso.
Assolutamente sì. Io non sono nato artista, anzi: sono cresciuto con tanta timidezza e insicurezza, qualità che non sono certo tipiche di un performer. La musica mi ha dato l’occasione di crescere, di rinascere. Oggi sento il bisogno di essere pienamente artista, di lavorare a fondo su ciò che scrivo, su come comunico, su ogni aspetto delle mie canzoni e produzioni. In questa fase della mia vita sto cercando di pretendere il massimo da me stesso.
Mettersi in discussione è una delle cose più difficili da fare. Eppure sembra che tu stia affrontando questo percorso con molta lucidità.
Sì, perché non voglio diventare uno di quegli artisti che trovano una formula e poi la ripetono all’infinito. Mi annoiano. Preferisco rimettere in discussione ciò che faccio, cambiare. La mia scrittura cambia, io cambio. Se guardo a com’ero sei anni fa, vedo un’altra persona. È un percorso di crescita che parte innanzitutto da un cambiamento umano.
La scelta di pubblicare “A me mi piace” come singolo, con la collaborazione di Manu Chao, è stata una sorpresa per tutti. Come è nata?
È stata una scelta molto personale. Manu Chao è un idolo legato alla mia città, Genova, e alla mia infanzia. I miei genitori lo ascoltavano, e io sono nato durante il G8, quando lui si esibiva proprio lì. È un cerchio che si chiude. Lui ha accettato con entusiasmo, ha registrato delle voci inedite: non è un campionamento, è un vero featuring. Se non fosse stato così, non l’avrei mai fatto uscire. Per me era fondamentale il suo coinvolgimento pieno.
Sul palco in Francia avete dimostrato una perfetta sintonia.
Incredibile. Manu è più ragazzino di me, ha un’energia contagiosa e una mente totalmente aperta. Non sembra nemmeno consapevole dell’impatto che le sue canzoni hanno avuto sulle persone. Collaborare con lui mi ha insegnato tanto, soprattutto nel modo di approcciarsi alla musica e alla vita. È una persona risolta, equilibrata, e si vede.
In più occasioni hai espresso un legame molto forte con Genova. Anche nei tuoi videoclip si respira questo attaccamento.
Genova per me è fondamentale. Nei miei video mostro i vicoli, il centro storico: è la Genova vera, quella multietnica, portuale, vissuta. Non quella da cartolina. È importante raccontare questo volto della città, quello più autentico, perché ha una storia culturale e politica incredibile. Mi auguro davvero che Genova possa diventare un nuovo polo culturale, un po’ come lo è diventata Napoli. Siamo pochi a Genova, ma c’è una comunità artistica forte e unita. Bisogna spingere perché le cose accadano.
Hai superato un miliardo di streaming, eppure dai l’impressione di non essere ossessionato dai numeri.
In passato ci soffrivo di più, perché sono nato dal web e per me i numeri erano tutto: un metro di paragone e di valore. Ma poi ho scoperto i concerti, e la realtà ha preso il sopravvento. Oggi per me contano le persone sotto il palco. Il web rimane un canale fondamentale, ma non è più ciò che definisce il mio valore.
Alfa, “Il filo rosso” ha avuto una vita sorprendente. L’ha persino citata un sacerdote durante un’omelia…
Sì, e non è stato l’unico caso. Un mio amico mi ha detto che l’hanno usata come canzone per il saggio di danza di fine anno delle elementari. È pazzesco, perché per me quel brano racconta un amore complesso, maturo, non nasce per le famiglie. Ma è arrivata a quel pubblico, e questo significa che ha raggiunto la trasversalità. E allora ho fatto bene il mio lavoro. Io cerco sempre una scrittura semplice, quasi elementare. Uso errori grammaticali o licenze poetiche proprio per essere accessibile. Voglio che le mie canzoni parlino a tutti, dal bambino all’anziano. “Il filo rosso” ha centrato questo obiettivo, anche se non ci avrei mai scommesso.
In un certo senso, proprio “Il filo rosso” è stato il ponte tra il vecchio disco e questa nuova versione…
Esatto. È un brano che ha aperto la strada, che ha mostrato una nuova direzione. La Deluxe nasce da lì e oggi rappresenta una tappa fondamentale del mio percorso, un ponte tra ciò che ero e ciò che sto diventando.
Il filo rosso è stato un esperimento, e ora voglio continuare a sperimentare. Ci sono brani come Anna che magari non mi aspetto funzionino tanto, ma che per me sono significativi. È una storia, ha sonorità gospel, qualcosa di completamente diverso da quello che facevo prima. Per me è un bivio: il folk mi ha accompagnato per tanto, ora voglio provare altro. Mi annoio facilmente e ho bisogno di capire dove posso arrivare. I generi musicali sono un modo per conoscermi.
E proprio Anna per noi è uno di quei brani che “valgono il prezzo del disco”.
Wow! Mi fa piacere. Sì, Anna è uno di quei brani che amo proprio per questo: non nasce con l’idea di essere un singolo, ma è pieno di sincerità, di tentativi nuovi. È un modo per mettermi in gioco.
Mettersi in gioco è anche ciò che fai dal vivo. Sul palco sembri trasformarti.
È vero. Non nasco come performer, è frutto di tanta terapia. Ma quando salgo sul palco cambia tutto: canto di pancia, senza pensare. È uno dei pochi momenti in cui sono davvero nel presente. Credo che la mia generazione abbia il problema di pensare sempre ad altro, con mille input. Invece il palco è il mio “qui e ora”. Lo amo per questo.
Alfa, ora ti aspetta un tour molto ricco, anche all’estero. Che aspettative hai per l’Europa?
Cerco di tenerle basse. Faremo sei club in dieci giorni, on the road con un bus. Sarà dura, ma bellissimo. Londra la ricordo come uno dei giorni più belli della mia vita. E suonerò a Bruxelles, una città dove non sono mai stato: ci andrò prima da musicista e poi da turista. È una cosa che mi fa esplodere il cervello. Sono piccole cose, ma significative. Voglio farmi sorprendere.
E in Italia, tra festival e palazzetti, ti aspetta una lunga stagione. Come la vivi?
Con emozione, sempre. È un’estate piena e intensa. Voglio viverla tutta, senza distrarmi. Non vedo l’ora di incontrare il pubblico, anche perché ogni concerto è un’occasione per capire meglio chi sono.
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Speaker radiofonico, musicista e collaboratore di diverse testate nazionali e internazionali. Segue come inviato il Festival di Sanremo dal 1999 e l’Eurovision Song Contest dal 2014 oltre a numerose altre manifestazioni musicali. In vent’anni ha realizzato oltre 8.000 interviste con personaggi del mondo della musica, dello sport e dello spettacolo. Nel 2020 ha pubblicato il romanzo “La Festa di Don Martello”, nel 2022 “Galeotto fu il chinotto” e “Al primo colpo non cade la quercia” e nel 2205 “Ride bene chi ride ultimo”
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