Omar Pedrini torna a farsi sentire, e come sempre lo fa con parole lucide, scomode e sincere. Nella terza puntata del vodcast Milano sogna, dedicato alla scena musicale anni ’90 attorno al Jungle Sound, l’ex leader dei Timoria riflette su passato, presente e futuro della musica italiana, senza risparmiare critiche al sistema attuale fatto di numeri, ansie da sold out e poca sostanza.
«Ci dicevano che il rock andava cantato in inglese. Oggi ai ragazzini dicono il contrario. È stata un po’ la nostra vittoria», afferma Pedrini, che si definisce “provinciale”, cresciuto nella periferia di Brescia. A Milano, però, con i Ritmo Tribale trovò “cugini” e una scena musicale viva: «Al Jungle Sound ti sentivi parte di un giro. L’incontro, l’annusarsi erano fondamentali. Oggi invece ci si brucia nell’ansia di comunicare tutto e subito».
Nel suo racconto c’è spazio anche per una critica feroce al culto dell’apparenza: «I numeri sono diventati la nuova bibbia. C’è chi si inventa i sold out solo per non sentirsi in imbarazzo. Perché un artista deve sentirsi realizzato solo se riempie il Forum?». Pedrini non ci sta, e rilancia: «Bisogna ricreare spazi piccoli dove conti esserci, anche solo davanti a 100 persone. Luoghi in cui i ragazzi possano esprimere le loro verità, le loro idee, le loro ferite».
Le parole dell’artista bresciano suonano ancora più potenti se pensate alla luce del suo percorso recente. Pedrini è infatti ancora in fase di recupero dopo l’ultimo intervento chirurgico al cuore, avvenuto lo scorso 19 marzo, seguito da quattro giorni in coma farmacologico. «Siamo al 75% del recupero e tutto procede bene», ha rassicurato sui social, ringraziando i medici dell’ospedale Fornaroli di Magenta, in particolare il chirurgo Camillo Bertoglio, che ha soprannominato “Dottor Rock”.
Pedrini continua così il suo viaggio fatto di musica, riflessioni e resistenza, senza perdere mai l’ironia: «Mi sono risvegliato dopo il coma chiedendomi com’era finita la festa del papà… e il risultato dell’Italia». E nel frattempo, senza rincorrere mode o metriche social, chiede solo una cosa: più verità, più spazi, meno ossessioni da classifica. Perché il rock, prima di tutto, è un atto di libertà.

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