Intervista a Mazzariello che, dopo aver vinto Area Sanremo, ha conquistato un posto tra le Nuove Proposte del Festival di Sanremo 2026.
Con “Manifestazione d’amore”, il cantautore porta sul palco dell’Ariston un brano intenso, capace di unire quotidianità, immagini astratte e una riflessione profonda sulla fragilità della vita e degli affetti.
In “MANIFESTAZIONE D’AMORE” il protagonista vive in una bolla tutta sua, costretto a correre e a performare seguendo i ritmi frenetici della città. Tutto accade in fretta, e in una metropoli così grande sono solo i legami veri a dare colore al quotidiano. Ma c’è un momento preciso in cui tutto cambia: sfiorando la morte a un incrocio, realizza di non aver salutato la persona a lui più cara. Quante volte, senza nemmeno accorgercene, ci siamo trovati a correre così tanto da rischiare di perdere ciò che davvero conta?
Mazzariello, come stai vivendo queste ore dopo la vittoria ad Area Sanremo e la conferma della partecipazione a Sanremo 2026?
Sto vivendo un misto di emozioni difficili da spiegare. È stato un concentrato di adrenalina, felicità, incredulità. Non me lo aspettavo minimamente, quindi è stato tutto ancora più forte. Mi sento onorato, davvero. Quando realizzi che stai per salire su un palco come quello dell’Ariston, ti passa davanti tutto il percorso fatto fino a quel momento.
L’anno scorso avevi già affrontato Sanremo Giovani. Quanto ti ha aiutato quell’esperienza nel percorso di Area Sanremo di quest’anno?
Mi ha aiutato tantissimo, anche solo a livello umano. I passaggi sono simili, ma l’esperienza dell’anno precedente mi ha permesso di affrontare tutto con un pizzico di consapevolezza in più. Forse avevo le “spalle un po’ più larghe”, anche se l’emozione resta fortissima. Inoltre è stato bellissimo ritrovare amici e colleghi come Matteo Alieno e Selmi: condividere certi momenti rende tutto più vero.
Il brano che porterai in gara, “Manifestazione d’amore”, sembra segnare un’evoluzione nella tua scrittura. È una sensazione corretta?
Sì, lo penso anch’io. È un brano a cui tengo molto e che rappresenta un passo avanti naturale rispetto a quello che avevo fatto prima. L’ho scritto insieme a Gianmarco Manilardi e Francesco Pecchia: siamo amici, ci troviamo, scriviamo e lavoriamo con grande libertà. Credo che questa canzone abbia una profondità diversa, anche per il tema che affronta.
Il testo colpisce per l’idea narrativa: un momento di pericolo che diventa occasione di consapevolezza. Da dove nasce questa immagine?
Nasce dal pensiero della fine, o meglio, dalla possibilità della fine. C’è questo personaggio che sta per essere investito da una macchina: non succede nulla, ma quel rischio improvviso accende una scintilla. In quell’attimo realizzi tutto quello che avresti voluto fare: abbracciare qualcuno, chiamare un amico, dire qualcosa che hai rimandato. È una canzone che parla del tempo che diamo per scontato.
Dal punto di vista musicale il brano è semplice ma molto raffinato, con una dinamica che cresce gradualmente. Quanto è stato importante l’arrangiamento?
È fondamentale. Mi piace tantissimo il fatto che parta in modo intimo e poi si apra piano piano. C’è una crescita emotiva che accompagna il testo. Ci sono anche piccole citazioni, persino dei richiami ai Beatles, che amo molto. È una canzone che resta semplice, ma ha delle soluzioni che la rendono intensa e memorabile.
Hai già immaginato come cambierà “Manifestazione d’amore” con l’orchestra dell’Ariston?
Vi dico la verità: all’inizio non avevo nemmeno realizzato che avrei cantato con l’orchestra. Quando me ne sono reso conto è stato incredibile. È un onore immenso avere musicisti straordinari che accompagneranno il brano. Sono certo che l’orchestra lo arricchirà tantissimo e mi darà un supporto enorme anche emotivamente.
In questo ultimo anno il tuo approccio vocale sembra ancora più riconoscibile. Hai lavorato in modo particolare sulla voce?
In realtà non più di tanto. Studio canto, certo, ma credo che la differenza stia nel brano stesso. In “Manifestazione d’amore” c’è una parte più ballad, soprattutto all’inizio, che l’anno scorso mancava. Questo mi ha permesso di esplorare una sfumatura diversa della mia voce.
Nei tuoi testi convivono quotidianità e immagini quasi oniriche. Come trovi l’equilibrio tra questi due mondi?
Non lo so davvero, succede in modo naturale. Ho spesso la testa tra le nuvole e quando scrivo cerco di non mettermi troppi paletti. Mi affido molto alle parole: se una parola mi colpisce, da lì parte tutto. È come se costruissi un percorso emotivo intorno a quel suono, a quell’immagine.
C’è una canzone nella storia di Sanremo che senti particolarmente vicina al tuo modo di fare musica?
Sì, sicuramente “Fai rumore” di Diodato. La prima volta che l’ho ascoltata ho pensato subito: “Questo cantautore vince”. E infatti è successo. Amo quell’approccio autorale, intenso ma diretto. Anche “Brividi” mi è piaciuta molto, pur essendo diversa. Sanremo ha ancora spazio per questo tipo di canzoni, e questo mi dà fiducia.
Sanremo 2026 rappresenta un punto di arrivo o un nuovo inizio?
Decisamente un nuovo inizio. Arrivare fin qui è già tantissimo, ma lo vivo come una possibilità di crescere ancora, di raccontarmi meglio e di farmi conoscere davvero. Il palco dell’Ariston è una responsabilità enorme, ma anche un regalo incredibile.

Speaker radiofonico, musicista e collaboratore di diverse testate nazionali e internazionali. Segue come inviato il Festival di Sanremo dal 1999 e l’Eurovision Song Contest dal 2014 oltre a numerose altre manifestazioni musicali. In vent’anni ha realizzato oltre 8.000 interviste con personaggi del mondo della musica, dello sport e dello spettacolo. Nel 2020 ha pubblicato il romanzo “La Festa di Don Martello”, nel 2022 “Galeotto fu il chinotto” e “Al primo colpo non cade la quercia” e nel 2205 “Ride bene chi ride ultimo”
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