Sessant’anni di carriera, una voce che non ha mai smesso di farsi sentire e una visione lucida – e tagliente – del panorama musicale italiano; Livio Macchia, colonna portante dei Camaleonti, torna a parlare tra ricordi, aneddoti e giudizi senza filtri, da Lucio Battisti a Ligabue, passando per Celentano e Sanremo.
«Noi siamo sul palco da sessant’anni: è un record», afferma con orgoglio in un’intervista al Corriere della Sera. «All’inizio andavamo a scuola insieme, poi la musica ha preso il sopravvento e non ci siamo più fermati. Siamo partiti nei club, sei ore a sera sul palco, tra prove e concerti, ma era puro divertimento».
Con Lucio Battisti, Macchia aveva un rapporto speciale. «Vivevamo nello stesso palazzo, lui al quinto piano, noi al primo. Tutte le sere si mangiava insieme, si faceva musica, si andava al cinema. “Mamma mia” ce l’ha regalata lui, è stato e sarà sempre il numero uno». Poi, qualcosa cambiò: «Da quando ha conosciuto la moglie, come Celentano, è diventato un altro. Lei se lo teneva stretto».
Anche Celentano, figura centrale del Clan a cui i Camaleonti gravitavano attorno, era inizialmente «divertente come lo vedi», ma la vita privata ha segnato una svolta anche per lui.
Sulle nuove generazioni (e non solo), Livio Macchia è netto: «Ligabue non mi piace, fa canzoni tutte uguali. Mille volte meglio Vasco Rossi, anche se non canta, ma parla». E anche sul Festival di Sanremo non ha dubbi: «Meglio non parlarne. Oggi contano solo le visualizzazioni e lo streaming. Noi con L’ora dell’amore abbiamo venduto due milioni di copie, ci compravi una casa. Oggi con sei milioni di stream ti compri un cartone di uova».
La critica al brano “Cuoricini” è feroce: «Una canzone carina, ma sembra scritta per lo Zecchino d’Oro. A cinquant’anni non ti vergogni a cantare una cosa così?».
Tra i ricordi più vivi, quello di Teo Teocoli: «Voleva cantare a tutti i costi, gli arrangiammo canzoni napoletane in chiave rock. Poi ha trovato la sua strada: era un matto vero, ma divertente». E quello di John Lennon: «A St. Moritz ballava uno di quei balli cretini, tutti in pista e poi giù per terra, fermi. Incredibile».
Anche Mario Lavezzi ha fatto parte della storia del gruppo: «Portò una ventata di freschezza, ma poi andò militare. Non lo riprendemmo e fu la sua fortuna: da lì partì con Battisti e Mogol. Ogni volta glielo dico: il nostro no è stato la tua svolta».
A 83 anni, Livio Macchia non smette di amare la musica e il contatto con il pubblico: «Amo ancora il palco, la piazza, le luci, le prove. Pure i selfie con la gente, anche se sono una rottura». La nostalgia si fa sentire: «Invecchiare non è facile, devi dire addio a chi eri. A questa età abbiamo meno futuro e più passato, ma la vita la apprezzi di più».
E sul destino finale? «Spero nel Paradiso. Sono stato troppo bravo, mi vogliono tutti bene. Abbiamo vissuto una bellissima avventura».
Foto dai social di Livio Macchia

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